domenica 21 marzo 2010

Commento alla puntata del 21/03/10 di "canzonenapoletana@rai.it"

Carissimi lettori, eccoci alla quarta puntata del ciclo su Salvatore di Giacomo di "canzonenapoletana@rai.it". E' un ciclo che mi dà una felicità del tutto particolare, perché ritengo di Giacomo un poeta con un respiro del tutto speciale, che va al di là della sempre riconosciuta grande qualità letteraria. Ritengo il suo napoletano pregno di una dolcezza particolare, di un certo pittoresco malinconico, che mi è particolarmente congeniale.
Si inizia con una carinissima "'E tre terature", una delle più sconosciute canzoni di Di Giacomo. E' una canzoncina d'amore piccantino, genere nel quale il nostro era un maestro insuperabile. La versione che ascoltiamo, come sempre, è d'epoca ed è molto rovinata. E' interessante perché i protagonisti sono due tra i più importanti interpreti del teatro napoletano, Eduardo Scarpetta e Bianca Cappello. La versione è forse un po' troppo teatrale, anche un po' sguaiata, ma si può ricorrere, per scoprire questo gioiellino digiacomiano, all'antologia della canzone napoletana compilata ed interpretata da Carlo Missaglia, grande cantante e suonatore di cui qui si è già pubblicato un profilo.
Un genere che si addiceva molto alla poesia di Di Giacomo, anche per la sua grandissima passione per quell'epoca storica, era la musica di ispirazione barocca, specialmente le "barcarole". Ne stiamo ascoltando una, intitolata "Pusilleco", scritta sempre nel 1898, ancora una volta insieme a Vincenzo Valente. Non capisco il testo, purtroppo, posso solo dirvi che la melodia è profondamente bella.
Stiamo ora ascoltando una "Serenata triste", che ci viene interpretata da Beniamino Gigli, forse il tenore che ha interpretato meglio la canzone napoletana pur non essendo napoletano. E' una serenata dove un uomo si rassegna all'instabilità dell'amore della propria amata, ma con una galanteria veramente invidiabile. La musica è una "barcarola", con delle pause che la rendono più raffinata e meno barocca, ma forse anche meno bella della precedente.
Siamo con un posteggiatore, quel Giorgio Schotler che avevamo già trovato in una delle prime puntate del ciclo, che ci sta proponendo uno dei brani meno conosciuti dell'autore napoletano, intitolato "Ma chi sa". Purtroppo anche stavolta mi è impossibile riferirvi particolari del testo, perché il disco da noi ascoltato è molto rovinato. A livello musicale ritorna l'impronta di Pasquale Mario Costa, in una delle sue ultime collaborazioni col Di Giacomo.
La puntata continua con "Palomma 'e notte", uno dei classici assoluti della produzione digiacomiana, la cui musica è di Francesco Buongiovanni, infatti potrebbe ricordare altri capolavori del musicista, sempre caratterizzati da questo tempo ternario raffinatissimo, come "'A cartulina 'e Napule", scritta circa una ventina d'anni dopo. La versione che stiamo ascoltando è quella di Gennaro Pasquariello, ottima ma non perfetta, soprattutto per alcune pause che, con una sensibilità moderna, si tenderebbe a trovare discutibili. Notevolissima, secondo me, è la versione di Raffaella de Simone contenuta in "Concerto napoletano", bellissimo cofanetto dell'Acheri music, dove alcuni cantanti della Napoli di oggi si appropriano, rispettosamente e meravigliosamente, dei capolavori di quella di ieri.
Stiamo ora ascoltando, dalla voce di un tenore, una delle più rare canzoni di Di Giacomo "Tu nun me vuo' cchiù bene". La versione è troppo veloce, senza interpretazione effettiva, senza posto per le sfumature. Il grido d'amore del protagonista è espresso con troppa fretta dalla voce di Eugenio Cibelli. Molto migliore, almeno per me, è la versione contenuta nella "Napoletana" di Roberto Murolo.
La puntata si chiude con una tarantelluccia spassosa intitolata 'O campanellaro", risalente al 1908 ed interpretata da Francesco Marcarella. Non è una tarantella raffinata, vi si trova piuttosto una voglia di divertirsi con la musica e le note.
Chiedo scusa per la vaghezza di molti commenti a questa puntata, ma vi si sono sentite troppe canzoni molto rare e riprese perciò da dischi antichi, quindi meglio non si poteva fare.

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