Carissimi lettori, ho il piacere di recensire, con due giorni di ritardo sulla messa in onda da parte della Rai, lo spettacolo "Due", con cui Lucio Dalla e Francesco de Gregori tornano insieme dopo trent'anni da quel bellissimo "Banana republic", album fondamentale della mia infanzia.
Si è iniziato con una "Over the raimbow", con la quale Lucio Dalla ci ha dimostrato di saper ancora suonare divinamente il clarinetto, come succedeva in quella bellissima, ma da molti forse dimenticata, cover di "Have you got a Friend" di Carole King, contenuta in un meraviglioso q disc.
Le canzoni iniziano con una "Tutta la vita" che i due artisti interpretano divertendosi molto, specialmente De Gregori, nella cui voce questo brano diventa molto sporco ed acquista un'anima blues e dylaniana, nella quale Dalla, pur divertendosi a fare dello "scat", forse si trova un pochino male. Comunque è piacevolissima, infatti amo ogni occasione in cui Dalla riesce ancora a farmi capire che si diverte, e vi giuro che non lo sento sempre (anzi, spesso, soprattutto quando ha quelle sonorità elettroniche che gli piacciono tanto ma che a me stanno proprio sul gozzo, mi sembra che si suicidi!).
Francesco de Gregori ha presentato lo spirito di questo concerto, che va interpretato come una specie di sessione di prove pubblica delle cinque date che vedranno i due artisti insieme sia a Roma che a Milano.
Continuando con il repertorio di Lucio Dalla, si ascolta questa bellissima "Anna e Marco", che anche in questo caso è stata iniziata da Francesco de Gregori, che però ama anche defilarsi. Nel brano, infatti, è predominante la limpidezza della voce di Dalla insieme ai virtuosismi della sua inseparabile corista Iscra Menarini.
La prima incursione nel repertorio di De Gregori la si fa con una bellissima versione di "Titanic", che nei suoi primi trenta secondi ci ha fatto veramente assaporare le atmosfere della nave d'inizio secolo.
Ogni strofa è interpretata da una delle due voci, le quali si alternano con numerose improvvisazioni che sono frutto di un divertimento sincero. Simpaticissimo e lo "scat" di Lucio Dalla durante le pause strumentali, bellissimi gli accompagnamenti della batteria che, con molta umiltà, lascia spazio alle percussioni e alla chitarra elettrica che miracolosamente diventa awayana. Un po' più deludenti sono i controcanti tra le due voci, perché nella musica leggera non si ha molto l'abitudine della comunità del canto. Va anche detto che, forse, le due voci non sono perfettamente intonate (forse de Gregori lo cerca a forza di scimmiottare Dylan e i suoi controtempi).
Continuando con il repertorio del romano, si ascolta un'emozionante versione de "la leva calcistica del '68", che Dalla arricchisce con leggerissime ma azzeccate venature di sassofono. Mi sta piacendo molto, perché i due artisti stanno smussando tutti quegli angoli delle loro personalità che me li fanno amare meno in condizioni normali. De Gregori sta un po' lasciando da parte la sua anima da "bluesman de noantri", mentre Dalla ha lasciato a casa un po' delle sue e sperienze elettronicheggianti, per tornare all'insostituibile sonorità acustica dei fiati e degli strumenti "veri".
Andando avanti e tornando al repertorio di Dalla, si ascolta una bellissima versione di uno degli ultimi gioielli che il bolognese è stato in grado di regalarci, quella "Canzone" che ha giustamente trainato al successo quell'ottimo disco che è "Canzoni" (1996).
Le atmosfere etniche forse in questa occasione si rarefanno un po', ma il nuovo vestito pop non le sopraffà mai fino a farle sparire. Curioso è lo "scat" di Lucio Dalla che imita il mandolino, rafforzamento delle atmosfere già presenti nella versione originale. Anche qui De Gregori ha fatto un brevissimo intervento vocale, che è stato seguito dall'unico momento poco piacevole di questo brano, un'interpretazione del ritornello con impostazione semilirica da parte di Lucio Dalla, che dimostra forse che il cantautore è veramente preso da quella "demenza senile" di cui lo accusano, anche se la sua testa, ve lo giuro, ancora funziona.
Si continua con uno dei brani che già fanno parte del periodo in cui iniziavo a distanziarmi da Lucio Dalla, forse per una freddezza musicale che iniziavo a riconoscere, od anche per un che di troppo impersonale nei testi. Il brano, che dette il titolo ad un album che Dalla pubblicò nel 1994, si chiama "Henna". Il brano, forse, a me non piace perché il messaggio antimilitarista, è riportato su un frangente troppo patetico, troppo sentimentale, che io in fondo non ho mai amato.
Tornando al repertorio di De Gregori si ascolta una bellissima canzone che ha turbato Dalla l'anno della sua uscita, la veramente notevole "Santa Lucia", che era presente in "Banana republic", anche se non la si condivideva, inquanto era solo De Gregori ad interpretarla. Lucio Dalla, forse, qui ne ha dato una versione esageratamente sporca, che non permette la scoperta completa della notevolissima melodia, comunque è stato un altro momento bellissimo di uno spettacolo per ora stupendo.
Ecco il primo brano di quelli di De Gregori che, nonostante la grande forza del testo, non mi ha mai colpito perché, in fondo, la via privilegiata per scoprire una canzone è sempre la musica. Il brano è "L'agnello di Dio", che era stata una canzone che aveva permesso al pubblico del cantautore di sapere dell'uscita di "Prendere e lasciare" (1996). Mi piacciono molto gli interventi del sassofono "ruvido" di Lucio Dalla.
Tornando al canzoniere di Lucio Dalla, finalmente si risente il repertorio per cui questo artista si è già aggiudicato un posto nella storia. Il brano è "Piazza grande", che è sempre stupendo, anche se, forse, sul finale si è un po' perso per un accordo di "sol maggiore" che va ad accompagnare, innaturalmente, un "la" eseguito dalla voce di Dalla.
Il concerto continua con una particolarissima e piacevolissima versione di "Just a Gigolo", uno dei brani che è stato composto da qualche anonimo immigrato italiano ed è stato "rubato" dallo "star system" americano. La versione di Lucio Dalla e Francesco de Gregori è un misto fra un swing, che è comunque la matrice dominante, portato da Dalla, e certe venature più blues e folk americano, portate da Francesco de Gregori.
Tornando alle atmosfere che avevano caratterizzato la rielaborazione di "Piazza grande", che portava con sé anche un mandolino, ascoltiamo un inedito intitolato "Granturismo", dedicato alla vita del girovago. La canzone afferma che "Un uomo se è uomo davvero radici non ha". Io rispondo che, anche questo gran viaggiare, se non si hanno radici nell'anima, le quali possono anche essere aiutate da quelle geografiche, non porta a niente, anzi porta a creare quei mostri che popolano la nostra attuale società, quella giustamente odiata da Guccini, quella del "villaggio globale".
Il brano, comunque, è bello, leggero, ben cantato e suonato.
Si continua, tornando al repertorio più che conosciuto e dedicandoci al canzoniere di De Gregori, con una delle mie canzoni preferite del romano, quella "Viva l'Italia" il cui disco originale mi fu regalato quando io ero molto piccola, quindi è pieno di ricordi. E' una versione leggermente più rurale, infatti il ritmo di blues è stato stemperato in un ben più italiano valzerino. Non amo il coretto che ha enfatizzato, come un tic-tac di sveglia ogni istante del brano, ma comunque mi ha fatto sempre piacere, le canzoni belle sono quasi sempre belle, per abbrutirle ci vogliono ben altre operazioni.
Questa volta, in questa pesca di capolavori, si fruga nel canzoniere di Dalla, andando a riprendere quella bellissima "Com'è profondo il mare", che ha segnato la grandezza di Dalla anche come poeta. L'accompagnamento è leggermente new age, non è forse particolarmente piacevole, ma è sempre un pezzo talmente notevole che si passa sopra tutto.
Interessantissimi sono i controtempi che ogni artista esegue nelle rispettive strofe, innescando fortissimi meccanismi creativi che, se da un lato non permettono di cantare il brano, ci dànno un assaggio di ciò che il canto dovrebbe essere sempre, una confessione a cuore aperto.
Continuando, sempre "rubata" dal repertorio di Lucio Dalla, arriva quella che, purtroppo, è diventata la colonna sonora di ogni veglione di capodanno che voglia avere le pretese di essere chic. Il brano, ovviamente, è "L'anno che verrà". E' una versione molto buona, anche se, forse, ha avuto esagerate venature blues in corrispondenza del "Vedi caro amico...", ma niente da eccepire.
Continuando, in questa "caccia al capolavoro", si arriva a "Rimmel", un altro di quei brani che fanno sfilare un fiume di ricordi dela mia infanzia. Va detto, infatti, che la cassettina originale del disco di De Gregori, che ancora possiedo anche se non ascolto più, mi fu regalata da una persona a me molto cara, oltretutto il vinile, invece, era uno dei più ascoltati della grandissima collezione di mio zio. La versione che si ascolta, interpretata da un Francesco de Gregori in grandissima forma, risente, forse, di qualche eco della notevole versione di Morandi nel già recensito "Canzoni da non perdere". Questa sera, bisogna dire la verità, la ruvidezza che De Gregori ha iniziato ad imprimere al suo canto da quindici anni a questa parte, non sta inficiando la coerenza melodica di queste bellissime canzoni.
Ed a proposito di gemme del repertorio di De Gregori, ci troviamo con una "La donna a cannone", interpretata dal romano solo voce e pianoforte, quindi con un prisma molto intimistico, che, comunque, questa canzone non ha mai perso. Divagando, a parte la versione contenuta nel q disc originale del 1983, notevolissima è quella contenuta in uno dei tre live che De Gregori fece uscire nel 1990 (ancora non esistevano i cd tripli, sennò questo poteva essere benissimo uno stupendo cofanettone!). Mi riferisco al disco che ha il titolo in inglese, scusate ma non lo posso andare a cercare, chiedo venia.
Andando avanti e tornando al repertorio di Dalla, si sente una "Caruso", uno dei brani più famosi e da me meno amati del bolognese. Quello che non mi piace, sinceramente, è l'esagerato patetismo un po' melodrammatico che quasi mai fa per me. L'unica versione di cui mi ricordo con emozione, forse per la presenza del grandissimo chitarrista che accompagnava Dalla, è quella che costui cantò accompagnato dal trio di Marco Poeta a Sirmione, in uno spettacolo televisivo presentato da Carlo Conti (recuperatevi l'esibizione di Lucio Dalla e "Marco Poeta e il suo trio di fadisti", che è una cosa geniale! Anzi ne approfitto per lanciare un appello: chi di voi l'avesse conservata e fosse nelle possibilità di postarla su Youtube lo faccia, per favore con riprese dirette dalla televisione, basta con le indecenze da telefonino!). La versione che abbiamo ascoltato, comunque, anche se forse era priva di quella classicità che si confà a questo brano come nessun altro ambiente, è stata penetrante.
Mi mancava un po' di vera polemica, ma eccola qui: come ca... spita si fa a fare una "Buonanotte fiorellino" a blues, con un inizio che farebbe pensare ad una bellissima "Quattro cani"? Va bene che De Gregori si sarà stancato di questo brano, ma se devo pensare ad una versione stravolta (comunque con molto più rispetto di quanto lui stesso non stia facendo con una sua creazione!) mi prendo un "Treinta años en vivo, Viva Itália" degli Inti-Illimani e mi godo la settima traccia, un valzerino con "temperinho" sudamericano che è appunto una "Buonanotte fiorellino".
Fortunatamente il concerto si riprende subito con un bellissimo inedito, intitolato "Non basta saper cantare", che riprende un po' le atmosfere di "Santa Lucia", citando leggermente, forse, anche quelle di "Napule è" di Pino Daniele.
E' davvero bella e mi auguro che Lucio Dalla mantenga le promesse che fa in questa presentazione, ossia mi auguro che questo brano sia presente nell'album che uscirà da questa tournée, dove, non è di troppo ripeterlo, si ascoltano due artisti mentre si divertono e giocano con il loro mestiere (veramente difficile!).
Si continua, tornando al repertorio edito ed andando verso il canzoniere dalliano, con "4 marzo 1943" che, fortunatamente, non è interpretata alla "Banana republic" (infatti quella versione non la sopporto: come si fa a fare questa canzone a reggae!). E' bellissima la fusione dei due stili che, come già avevamo notato nelle prime canzoni, sta piacevolmente continuando a creare un unicum irripetibile. La versione di "4 marzo" ricorda molto quella di "Dallamericaruso" (1986), che approfittando dell'occasione vi consiglio di scoprire.
Il concerto, veramente bello, si chiude con una versione di "Ma come fanno i marinai" che, pur essendo esageratamente sudamericana e non mantenendo l'insuperabile pezzo di clarino che la iniziava nel vinile "banana republic", è carina. Il clarinetto entra nella seconda strofa, ed è accompagnato da un leggero vocalizzo da transatlantico di De Gregori.
E' un concerto davvero bello, se potete andate alla data che vi è più vicina, perché vedere due mostri sacri divertirsi dà un gusto troppo grande.
Spero di avervi fatto venire voglia e curiosità, ci vediamo al "post che verrà".
Il pubblico scalpita, tirando forse fuori anche delle trombette da stadio, ma non ottiene assolutamente niente, d'altronde i due artisti sono abbastanza scorbutici.
giovedì 25 marzo 2010
Sui lavori in corso" tra bologna e Roma (dedicato al concerto di Dalla e De Gregori)
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