mercoledì 9 novembre 2011

Lucio Dalla: "Questo è amore" (2011)

Carissimi lettori, ieri è uscito il nuovo disco di Lucio Dalla, una raccolta "extraordinaria" (come l'ha definita lo stesso Dalla) che riporta alla luce brani particolari.

La prima traccia è "La leggenda del prode Radamès", omaggio del cantautore al Quartetto Cetra.

L'arrangiamento rimanda istintivamente e spudoratamente alle atmosfere del dalla giovanile, quello nato ancora prima del cantautore, il musicista che suonava dixieland. Il brano potrebbe essere considerato un ritratto ironico del trattamento che spesso si riserva alle donne e non dico altro.

La prima delusione (cocente!) si ha con la seconda traccia, la reinterpretazione di "Anema e core", capolavoro della musica napoletana scritto nel 1950 da Tito Manlio e Desposito.

Intanto non mi piacciono le libertà armoniche e melodiche che dalla si prende, poi, addirittura, sfociate nello spostamento di una parte di testo, in secondo luogo è deludente la pronuncia nel napoletano.

Non viene per niente conservata la classicità che ha fatto di questa melodia un brano tra i più conosciuti al mondo. Il canto non usa mai tentativi di avvicinarsi alle tecniche del bel canto (che poi Dalla ama e conosce).

L'ultimo inedito (l'unico vero inedito!) è "Anche se il tempo passa (amore)". Come ritmo potrebbe ricordare Mary Luis, anche se le sonorità sono quelle elettroniche ed elettriche che caratterizzano l'ultimo Dalla. Comunque sotto l'apparente semplicità si intravede un impegno nella ricerca di sviluppi melodici ormai poco consueti, tipici di chi ha avuto la fortuna di iniziare l'attività musicale negli anni Sessanta.

Nominata e vista! Eccoci ad una "Mary Luis", non riarrangiata, solo con alcune parti di canto affidate a Marco Mengoni. Devo dire che rende bene, il brano fra l'altro è molto bello e tratto da uno degli album più riusciti del nostro, quel "Dalla" che fra l'altro conteneva "Futura", "Mambo", "La sera dei miracoli" e altri classici di Dalla.

Da qui inizia la parte propriamente antologica, un percorso a ritroso, iniziando dalle più attuali, fra le canzoni meno conosciute. Il viaggio comincia con "Angoli nel cielo" title track del disco precedente del Dalla. Se dovessi descrivere il brano, che non conoscevo prima, direi che è una ballata dall'atmosfera molto sospesa, anche grazie ai tocchi di pianoforte e percussioni latine, che dove arrivano addolciscono sempre i tocchi di batteria.

Il brano successivo è uno degli esempi del Dalla che amo di meno, quello che, pur facendo tanta morale agli altri, leggere la dichiarazione per musicblog it per credere, copia dall'estero dei generi che neanche riesce a reggere. Il brano infatti sarebbe anche una suadente ballata, se non fosse riarrangiata con delle chitarre elettriche distorte che non le rendono giustizia, semmai la rendono inascoltabile.

Anche il brano successivo è un esempio di questo tipo di repertorio, in cui bei testi, magari anche belle melodie, sono riarrangiate talmente male che sono inascoltabili. Il brano si chiama "Malinconia d'ottobre", c'è un violoncello talmente mal usato che non riesci nemmeno a fartene cullare.

Il brano è curioso perché ha un pezzettino dedicato a Lisbona, al Café Martinho Da Arcada, bar che Fernando Pessoa frequentava negli anni Trenta del Novecento, in cui c'è sempre spazio per lui, come se dovesse arrivare ad ogni istante. A questo stesso ambiente si riferisce Antonio Tabucchi nel bellissimo "Sostiene Pereira", libro da cui è stato tratto un film, l'ultimo recitato da Marcello Mastroianni.

Dall'album "lucio" del 2003 viene questa bellissima "Amore disperato", che Dalla interpreta insieme a Mina. Il brano è stato originariamente composto per l'adattamento moderno e personale che Dalla ha fatto della storia di Tosca. Il brano ha una struttura fortemente classica, cosa che lo potrebbe paragonare a "Caruso", uno dei classici del repertorio dalliano. Sicuramente le due voci stanno molto bene insieme, anche perché entrambe amano molto allargare i propri orizzonti in sede interpretativa, non accontentandosi quasi mai di cantare semplicemente. Per avere conferma di ciò basta sentire l'ultima bellissima canzone di Mina dal titolo "Questa canzone".

Il brano successivo, tornando a Dalla, è "Prima dammi un bacio", altra traccia di "lucio" dal sapore fortemente nostalgico e melodico. Interessante questa valutazione del terzinato, lento come se fosse un bolero cubano, così tipico di classici come "Canzone per te" di Sergio Endrigo. Contrariamente al precedente citato, però, il brano di Dalla è in maggiore (il brano di Endrigo alterna strofe in minore a ritornelli in maggiore) ed è fortemente elettronico, addio a quelle fantastiche orchestre!

Saltando a piè pari l'album "Ciao" (1999) (per fortuna!) si arriva a "Canzoni" (1996) da cui si fa emergere un classico (checchè ne dica Dalla qualche brano famoso qui c'è!) come "Tu non mi basti mai", uno dei più belli dell'ultima produzione del cantautore.

Il successivo è una di quelle ballate che, se non fosse per l'arrangiamento pop troppo sfrontato (ti credo che si è stancato!) sarebbe anche bella. La strofa inizia e spesso torna su un inusitato dosettima aumentata e su un ritmo che non saprei descrivere. I ritornelli, o meglio la seconda frase melodica che implacabile continua la prima ad ogni sua riapparizione, ha come sue punte armoniche un fa maggiore utilizzato su una scala di sol e un finale su si minore e la alternati. Ritmicamente potrebbe ricordare certe canzoni anni Ottanta, che nel secondo compact avremo il piacere di riascoltare.

Il brano successivo, dal titolo "Latin lover", potrebbe essere considerato il secondo tentativo, dopo la già ricordata "Caruso", di scrivere un brano che ricordi ed utilizzi le caratteristiche del melodramma italiano in chiave moderna. Dallaè molto bravo ascrivere brani con queste strutture spesso terzinate, anche se forse la sua voce non è la migliore per la loro interpretazione, difatti questo pezzo renderebbe molto di più interpretato da una voce tenorile.

La melodia comunque è interessante ed aperta, anche se è semplice.

Il brano successivo fa parte del Lucio Dalla che non sopporto (preferisco quattro martellate piuttosto che ascoltare sto pezzo!). Se non sbaglio stava nel cd "Henna", uno di quelli che ho odiato di più della discografia di Dalla. L'unica traccia che andrebbe riscoperta è "Cinema", brano con l'inconfondibile partecipazione del già citato Mastroianni.

Arrivando a "Cambio" (1990, ultimo album veramente bello prodotto da Dalla) si riscopre un capolavoro sconosciuto intitolato "Le rondini". È una ballata sostenuta da una base completamente elettronica (ovviamente se fosse stata acustica era meglio!) dedicata ad una serie di sogni, forse alla libertà vera, quella interiore. Incredibile il sassofono nel finale, che si prodiga in assoli dalle venature jazz, tanto amati da Dalla, in dialogo con una chitarra elettrica distorta.

La prossima, sempre da "Cambio" è un brano completamente in "scat", se non fosse per il ritornello dove si dice solo "è l'amore" (a questo punto si poteva mettere il "pezzo zero" del cd 2 di questa antologia!). Questa non mi è mai piaciuta più di tanto ma sono solo gusti personalissimi e discutibilissimi.

Il secondo cd inizia con una delle canzoni più belle del repertorio del nostro, la poco conosciuta "Chissà se lo sai", interpretata anche da Ron. La versione di Dalla è forse più convincente, anche perché il cantautore ancora era orgoglioso del suo vero timbro (siamo arrivati con questo brano negli anni Ottanta). Vaanche detto che qui Dalla non ha bisogno di fare la morale sull'esterofilia imperante, anche perché se la fa è solo dato che sa benissimo che lui è il primo a non applicare ciò che chiede agli altri. Il brano è una bella ballata romantica, conclusa da uno di quegli assoli di sassofono di Dalla, allo stesso tempo dolci e graffianti.

Altro brano che ha cullato la mia infanzia è la seconda, "Soli io e te". Anche questa è una ballata, dove la musica leggera viene usata per creare delle melodie e delle armonie semplici ma non banali (spesso ormai la complicazione è talmente comune che essa stessa è la banalità!). Bella la corposità del suono del gruppo pop, dove gli strumenti elettronici non sostituiscono ma aiutano gli acustici.

La traccia successiva è un brano che non ricordavo dal titolo "Stornello". Da questo pezzo si deduce quella particolare familiarità del cantautore bolognese con il folk e con la melodia italiana, la stessa che lo ha portato ad incidere brani come "4 marzo 1943", "Piazza grande", "Itaca" ed altri. il brano ha una struttura quasi brasiliana che dà alla sua semplice melodia italiana un tocco molto esotico. La canzone ha anche un'altra curiosità, è natalizia, più semplice, anche se scettica, del capolavoro di De Gregori "Natale".

Ed eccoci ad un altro di quei quadretti storici che Dalla amava molto dipingere, con una ballata dalle tinte un po' blues, sospese, melodiche ma non troppo. Il brano si chiama "Viaggi organizzati". È da molto tempo che non ascolto la versione in studio di questo brano,che ho imparato ad amare follemente grazie a "Dallamericaruso", album che consiglio in maniera calda e spudorata. La versione da studio è molto più calma, d'altronde Dalla,come vero artista che è, si presenta per quello che è solo live, e forse ora non è neanche più in grado di tenere un concerto di quelli memorabili.

La traccia successiva è una poco conosciuta ma bellissima "Pecorella", tratta da "1983". Per chi non la conosce potrei presentare questa canzone come un brano dalle atmosfere latine, il bilico tra un accenno di chachacha e certe atmosfere jazz del pianoforte. La traccia successiva è "Solo", sempre tratta da "1983". È interessante la chitarra elettrica spesso usata con il wawa. Bello anche il ritmo sospeso come gli accordi, tra maggiore e minore, tra semplicità e avanguardia, d'altronde questo è il vero Dalla.

Continuando si ascolta "Mambo" tratta dall'album "Dalla" del 1978. Qui siamo davanti al Dalla migliore, né troppo vanguardistico (insopportabile!) né troppo semplice (riduttivo e poco stimolante!). Va anche detto che qui le tastiere non esistono, questo canto di sdegno e disprezzo è accompagnato con suprema sapienza solo da un gruppo di strumenti acustici, spesso suonati con abilità dallo stesso Dalla.

Interessantissima la scaletta che esegue il sassofono nella parte finale del brano, semplice, ricca ed ossessiva.

Le ritmiche sospese così care a Dalla sono le assolute protagoniste di questa ballata dal sapore quasi portoghese, dal titolo "Notte" estratta dal classico e bellissimo "Com'è profondo il mare" (1977). Il brano è in fa ma si adagia sia su scale di mi minore che in accenni di sol e do. Finalmente, verso la parte finale, il brano prende ad avere un ritmo non più sospeso, è preciso e classificabile come una specie di valzer terzinato con degli arpeggi che cesellano un giro su una scala di do che vede l'entrata fugace di un la minore.

Sempre dallo stesso lp viene la prossima traccia, uno di quei quadretti di guerra a cui Dalla ci ha sempre abituato quasi dolcemente. Il ritmo, nonostante il titolo sia "Tango", non è quello argentino, d'altronde Dalla non ama indugiare sulle ritmiche di questo grande paese, coltivate invece benissimo da Guccini in brani come "Tango per due". Qui le atmosfere argentine sono portate solo da una fisarmonica che fa brevi passaggi molto argentini, oltre a cesellare una di quelle melodie del migliore Dalla, compromesso tra semplicità e larghezza di veduta musicale (non mi stancherò mai di dire che questo è il Dalla che preferisco: né avanguardia né pop moderno odark!).

Sempre da "Com'è profondo il mare" (1977) viene questa "Quale allegria". Il brano è una riflessione amara sulla vita e sulle sue menzogne. Questa è una di quelle canzoni senza ritornello, un fiume di parole che sfocia naturalmente in un mare di note. Interessante anche lo scat finale, anche quello amaro e quasi urlato.

Sempre dallo stesso lp del '77 viene anche "Non andar più via", ballata lenta e articolata, come era il Dalla migliore. Il testo è un grido di libertà, una rivendicazione di esistenza di cui forse l'arte avrebbe bisogno più oggi che allora. Forse è anche un grido d'aiuto a chi ascolta, comunque è un bel brano. Interessante è la coda strumentale, con un leggero elemento disarmonico.

Da "Automobili", ultimo album scaturito nel 1976 dalla collaborazione con il poeta Roberto Roversi, viene questa "Due ragazzi". La prima parte è una tarantella spezzata e rivissuta da un musicista geniale, mentre la seconda è una ballata con tinte jazz. Il testo è la descrizione di un amore svoltosi in un auto. Veramente bella!

La traccia successiva già sta ai limiti di quel Dalla avanguardistico che non amo,così come non stimo il cantautore pop nato dopo "Amen" (1993. Il brano è una canzone d'amore un po' allucinato.

Molto bella e un po' felliniana è "Anna bell'Anna", presentata al Disco per l'estate 1974. In più punti ricorda le colonne sonore di Nino Rota o anche gli stilemi delle musiche del cinema muto. La ballata ha una struttura che permette al banjo di swingare, atmosfera rafforzata anche dall'interessante intervento del piano elettrico nonché dallo "scat" finale di Dalla. Va detto che il cantautore con gli anni ha forse perso smalto anche in questa sua seminale caratteristica.

Questa è una delle canzoni che più ha cullato la mia infanzia, si intitola "Il cojote". Credo sia una metafora dell'eterna sfida fra il debole ed il forte, spesso ingiustamente vinta da quest'ultimo. La metafora è rappresentata dal cojote e la stella, il racconto è scandito da continui "crescendo" che scandiscono il racconto triste e sentito. Difatti il brano ha tre tonalità re mibemolle e mi, e si torna in re solo per la chiusura in "scat", stile che spesso dialoga con la batteria che esegue virtuosismi.

Un'altra chicca, anche se non particolarmente importante nella mia vita, è la traccia successiva e conclusiva dal titolo "l'ultima vanità". Il brano è una specie di habanera, tra minore e maggiore, perfino con interessanti passaggi arabi nella parte iniziale, mentre la chiusa strumentale, brevissima, si schiude in un valzer.

Nell'insieme è un bel disco, ovviamente sconsigliato ai neofiti che devono (e dico devono!) cominciare con "12000 lune" del 2006, triplo cd con tutte le più belle di Dalla.

mercoledì 2 novembre 2011

Canti e pizzichi d'amore Canzoniere Grecanico Salentino

Carissimi lettori, pubblico una recensione di "Canti e pizzichi d'amore" del Canzoniere Grecanico Salentino, che apparirà anche su www.blogfoolk.com, ottimo blog dedicato alla musica popolare ed alternativa curato dal campano Salvatore Esposito.

Il Canzoniere Grecanico Salentino è uno dei gruppi più longevi della scena della riproposta salentina, il più antico tra quelli in attività e l'unico rimasto in piedi (seppur con formazione completamente rimaneggiata) tra quanti iniziarono negli anni Settanta la riscoperta del folklore basso-salentino.
Lo stile del gruppo si è sempre trovato in bilico tra riscoperta delle sonorità popolari ed innovazione, specialmente per quanto riguarda i testi (prima fase coincidente con gli anni Ottanta) e i tocchi strumentali (successivamente, fino ad oggi).
Dimostrazione di ciò è il disco "Canti e pizzichi d'amore", album pubblicato nel 2000 per l'etichetta "Salento altra musica".
L'album è composto da brani tradizionali rielaborati dal gruppo sia musicalmente che testualmente (è raro che il Canzoniere esegua i classici salentini con le strofe che si trovano nei corrispondenti documenti originali).
Il cd è introdotto da rullate di plettri (tipiche dello stile di Daniele Durante) che ci portano verso una "Pizzicarella" caratterizzata da un interessante ed inusitato passaggio in sottodominante che ricorda certe pizziche dei secoli precedenti. Il canto è portato da Rossella Pinto (storica voce femminile del gruppo sin dagli anni Settanta e fino al 2007, anno di uscita anche per Daniele Durante) ed Anna Cinzia Villani, allora alle prime armi come interprete di canti popolari, ma già dotata di una fortissima personalità.
Dal punto di vista testuale il brano è caratterizzato dal minor numero di strofe rispetto alla versione raccolta da Brizio Montinaro nel suo "Musiche e canti popolari del Salento", che contiene anche la parte di testo dedicata alla rondine.
Forse i controtempi di chitarra affievoliscono la forza della pizzica, comunque è una buona versione.

Sempre dai dischi di Brizio Montinaro proviene "Ferma Zitella", che invece viene eseguita per intero, con un ritmo molto fedele a quello del documento "di campo" seppure quest'ultimo è eseguito a cappella.
La prima strofa è cantata a cappella, poi entra una chitarra accordata in re minore, dalle forti risonanze barocche, accentuate anche dal mandolino e dal violino. I momenti strumentali forse tendono a far dimenticare che il canto è narrativo, una maggiore fluidità sarebbe un elemento a favore di una maggiore leggerezza e anche, perché no, di una maggiore filologia.

Tornando alla pizzica si arriva a "Canuscu na carusa",, ancora lontana dall'essere quel classico della tradizione salentina, lanciato in ogni salsa a partire dall'inclusione del brano nelle scalette del Concertone di Melpignano. La versione del Canzoniere è caratterizzata dall'importanza della voce baritonale di Durante, che per la prima volta all'interno di questo disco canta con piglio da protagonista, delegando i cori alle due voci femminili, Anna Cinzia Villani sulle basse, Rossella Pinto un'ottava sopra il canto principale. È interessante notare come il brano sia guidato, come già "Pizzicarella", dalla fisarmonica, che esegue un assolo successivamente ripreso da Durante nella canzone "A ddhai oju bu bisciu" del cd "E allora tu si de lu sud" (Animamundi 2007).

Dai dischi di Montinaro proviene la traccia successiva, giustapposizione di due brani di ispirazione religiosa: "Oh Diu quantu sta casa è benedetta" e "Sia benedettu ci fice lu munnu".
Il primo brano è eseguito a cappella, così come avviene nel documento originale, se non fosse che nella versione del Canzoniere assistiamo alla polifonia, con lo schema già enunciato per il brano precedente. La seconda parte della traccia è eseguita con l'accompagnamento degli strumenti, ma invece di usare cupacupa ed organetto (come nell'originale) il gruppo opta per un trio composto da tamburello, flauto e mandolino. Quest'ultimo è sicuramente lo strumento che esegue le parti più interessanti, dato che si assiste ad una contaminazione tra tecniche da "barbiere" e stili della tradizione portoghese, specialmente per quanto riguarda gli accordi eseguiti con il tremolo. La parte di flauto, ponte strumentale tra le varie strofe, è una serie di scale eseguita con un semplicissimo flauto dolce.

Nella traccia successiva, la classica "Quantave", fa la sua comparsa da protagonista il violino di Mauro Durante. È lui difatti a guidare questa pizzica che, a livello di intensità e di spirito, potrebbe ricordare la "Tarantata" o "indiavolata" di Luigi Stifani, seppure non ne ricalca mai i giri melodici.
Come per "Pizzicarella" anche qui va notata la tendenza del gruppo a stemperare la forza della pizzica, creando così una scuola che, in modo diverso, ha influenzato quasi tutti i gruppi salentini degli ultimi vent'anni.
Della tradizione il brano conserva l'entrata degli strumenti in momenti diversi, stratagemma che viene utilizzato anche per la loro uscita. Difatti il tamburello, dopo l'ultimo assolo di violino, esegue una serie di accenti dopo iquali sparisce, permettendo a chitarra, violino e fisarmonica di chiudere da soli il pezzo in sfumato.

La traccia successiva è "Ohi rondinella ci", brano lento che il gruppo riprende nella versione pubblicata su partitura dallo stesso Daniele Durante nel volume "Canzoniere", curato insieme a Luigi Chiriatti per le Edizioni Erreci di Lecce nel 1990. Il brano ha una struttura di ballata, paragonabile al Fado portoghese, seppure la fluidità della serenata viene intaccata dai troppo numerosi e lunghi assoli strumentali, eseguiti sia dai plettri che dal violino, creando una certa pesantezza in chi ascolta. Va anche detto che forse la voce di Anna Cinzia Villani in questo brano dolcissimo non convince, data la sua ancestrale durezza.

Tornando alle pizziche si esegue una strabiliante versione del classico "Te sira", delegata solo al tamburello, che usa la tecnica moderna con una terzina che ne ingloba varie al suo interno, e alla fisarmonica oltre alle solite tre voci. Il canto qui torna ad essere affidato a Daniele Durante, mentre le voci femminili fanno solo i cori, stavolta con Anna Cinzia Villani sulle note alte.

Dalle ricerche di Giovanna marini nonché dal primissimo repertorio del Canzoniere stesso viene la traccia successiva, un toccante canto funebre intitolato "'Ntunucciu". La versione del gruppo consta di due parti ben delineate. La prima, corrispondente al primo giro melodico, è un raffinato valzer lento solo inficiato da qualche nota di troppo della fisarmonica che prova, riuscendoci a stento, ad imitare la sacralità dell'organo.
La seconda parte, il resto del brano, è un valzer quasi festoso che, almeno secondo chi scrive, non si addice alla tristezza del testo. Solo la raffinatezza dei controcanti per terze smorza un po' l'atmosfera di festa, rafforzata dall'uso del tamburello, che nella tradizione non accompagna mai momenti tristi, spesso delegati alle sole voci.

Andando avanti si torna alle pizziche con una delle più classiche, quella conosciuta come "Pizzica di Aradeo". Il gruppo, così come avviene nella più schietta tradizione, la accompagna con un giro in "modo misto", maggiore-minore. Ciò che smorza molto sono i controtempi degli strumenti melodico-armonici rispetto al tamburello, unico a cui viene delegata l'esecuzione dell'ossessivo ritmo. Sembra vi siano anche dei problemi di utilizzo della metrica, vi sono delle strofe dette un po' troppo velocemente, il che fa perdere l'incisività del testo, costituito da strofe di varia origine accomunate dalla tematica romantica.

La traccia successiva è forse la meno riuscita del disco, una versione a pizzica-pizzica di "Sutt'acqua e sutta ientu", melodia suonata negli anni Cinquanta come tarantella, sicuramente molto più adatta a questo ritmo.
La versione del Canzoniere inizia in maggiore con una parte lenta caratterizzata dall'utilizzo di accordi di settima aumentata e settima, poco usati, raffinati ma forse inutili.
Nella parte a pizzica, come nel brano precedente, sono facilmente rilevabili gli effetti di una scansione alternativa (forse sbagliata) delle parole, perfino nell'uso del fiato.

Il momento massimo del disco è la sua ultima traccia, una "Ronda" registrata live. Il brano è un'insieme di varie melodie di pizzica, eseguite "a botta" (voce e tamburo) in una sfida fra Daniele Durante e Anna Cinzia Villani. Rossella Pinto interviene solo nel ritornello che riecheggia la pizzica di Ugento e viene interpretato a tre voci.