domenica 23 maggio 2010

Commento alla puntata del 23/05/10 di "canzonenapoletana@rai.it"

Carissimi lettori, finalmente, dopo una settimana di digiuno, come sempre non annunciata come nella più normale tradizione Rai, si riprende a commentare le meravigliose puntate di "canzonenapoletana@rai.it".
Il ciclo che inizia è dedicato ad un altro poeta ritenuto spesso minore, ossia Francesco Fiore.
Si comincia con un brano di quelli binari, dove gli accordi minori e maggiori si dividono equamente strofe e ritornello. E' una descrizione spassosissima di quelli che sarebbero i migliori luoghi di amoreggiamento, visti direttamente dal punto di vista di questo sentimento che, quasi miracolosamente, acquista così una certa umanità.
L'interprete che abbiamo il piacere di ascoltare è il posteggiatore PietroMazzone, in un disco del 1911, fortunatamente ben tenuto.
E sulle stesse atmosfere arriva questo brano, musicato nel 1917 da E. A. Mario, intitolato "Chiammala 'nfamità". Non siamo più davanti ad un brano spassoso, anzi siamo davanti ad un brano pieno della sofferenza di un uomo lasciato.
Il brano è quasi una canzone di giacca, interpretata da uno dei migliori tenori di quel periodo, Raffaele Balsamo.
Si continua con un brano del 1918, l'unico che si sente in una versione moderna, questa "Guappo no!", che si ascolta da Mario Trevi. E' forse uno dei brani più drammatici di Fiore, dove un uomo si immagina di essere "guappo", ossia un po' "bravo" nel senso manzoniano del termine, ma alla fine si convince che non lo può essere. L'interpretazione è molto convincente, anche perché Mario Trevi è uno degli ultimi buoni interpreti di "canzoni di giacca" che ha Napoli.
Stiamo ascoltando un brano di quelli binari, completamente in maggiore, intitolato "'O piccerillo". Lo stiamo ascoltando da Roberto Ciaramella, uno dei più grandi interpreti d'inizio secolo per quanto riguarda il repertorio macchiettistico.
Stiamo ascoltando un pezzo intitolato "Comm'è difficile", interpretato da Salvatore Papaccio e scritto da Nicola Valente e Francesco Fiore nel 1922. E' la storia di un uomo che dice alla propria moglie che fare le cose facili e la cosa più difficile di questo mondo (forse è vero!).
E' un valzer che Papaccio interpreta con moltissima leggerezza, anche se sulle note lunghe vuole sempre dimostrare la stupenda potenza della sua voce.
Stiamo ascoltando un altro brano del 1922, molto più conosciuto e tutt'ora ascoltato con piacere (che nostalgia della versione di Teresa Rocco a Napoli nova!). Si parla di "Vommero e Margellina", scritto, come molto suo repertorio, da Francesco Fiore insieme al grande Gaetano Lama, conosciuto mondialmente come l'autore di "Reginella" (versi di Bovio, 1917).
E' la storia di due innamorati che stanno rispettivamente uno al Vomero e uno a Mergellina, e dei loro piani per sposarsi. E' molto carina, ed era da una vita che non la ascoltavo!
Si è ascoltata poi una bellissima habanera intitolata "Nun è chella ca dico io", che abbiamo sentito cantare a Giuseppe Milano. E' un ritmo non particolarmente usato ad inizio secolo a Napoli, ma forse è uno dei ritmi più adatti per la musicalità molto equilibrata del dialetto. Il brano si gioca su un incontro con un'innamorata talmente cambiata che non la si riconosce, e su questo si fanno numerose varianti spassose.
La puntata si chiude con un brano che io non amavo, ma solo perché non ne avevo mai sentito una versione che mi avesse attratto. Il brano è la marcettina spassosa "beneditto 'o mese austo". E' un brano di inno all'estate, come stagione caratterizzata dal risveglio delle ragazze, che si fanno finalmente vedere.
Comunque sono molto felice di questo ciclo, perché Francesco Fiore è uno dei poeti più prolifici ma meno conosciuti da chi, come me, è solo un grandissimo appassionato della canzone napoletana, ma magari non ha la possibilità di farsi una collezione grandiosa del suo repertorio (come me la vorrei fare!).
Appuntamento, ovviamente, alla prossima puntata!

sabato 22 maggio 2010

Note su "Fragmentos de un sueño" di Luis Cifuentes Seves

Carissimi lettori, oggi torno da voi per parlarvi di un libro la cui lettura mi ha talmente trasportato che ho letto venti capitoli in due giorni.
Il libro in questione si intitola "Fragmentos de un sueño", ed è basato su interviste agli Inti-Illimani condotte da Luís Cifuentes Seves.
Il volume è arrivato alla mia conoscienza grazie al blog inti-illimani.splinder.com, tenuto da Stefano, un grandissimo esperto della materia (visitatelo che vale davvero la pena, anche perché è l'unico posto raggiungibile con facilità per sapere tutto ciò che capita agli Inti!).
Entrando tecnicamente all'interno del libro, quella che noi possiamo leggere, gratuitamente nel web alla pagina www.cancioneros.com/...fragmentos-de-un-sueno-de-luis-cifuentes-seves-capitulo-1-fragmentos-de-un-sueno, esso è una testimonianza di una formazione degli Inti che già, purtroppo per noi, non esiste più. I primi diciannove capitoli sono infatti frutto di interviste effettuate agli Inti quando stavano ancora in Italia, tra la Sardegna e Roma.
Gli Inti che parlano in queste pagine sono ancora filosoficamente molto vicini a quello che per molti è il loro periodo aureo, e stanno vivendo, pur fra svariate difficoltà, quello che per la sottoscritta è il loro periodo migliore.
Il libro forse non ha la leggerezza del più recente "Treinta años en vivo: viva Italia" (Ed. Arcana, 2003), ma forse fa apprezzare di più la profonda cultura che questo gruppo ha sempre racchiuso in sé.
Intanto è un volume profondamente votato alla spiegazione dell'effettivo percorso degli Inti-Illimani, la cui interpretazione, soprattutto in Italia, è fortemente distorta perché se ne esagera il lato politico. Si vede spesso il gruppo definirsi come un ensemble di "musica strumentale", ma non nel senso di strumentalizzabile è al servizio di qualcuno.
I capitoli, tranne gli "interludi" dove parlano persone che sono spesso dietro le quinte delle vite del gruppo, sono tutti incentrati su vari temi, sia cileni che internazionali e sia musicali che non musicali. Si assiste a ragionamenti spesso complicati, ma imperniati di una semplicità disarmante.
Devo dire personalmente di aver sempre capito molte cose che il gruppo afferma sulle proprie dinamiche, che però, ad un lettore italiano, potrebbero aprire nuove prospettive di ascolto e riappropriazione di questa arte musicale così profondamente pregna di forza (all'epoca).
E' molto difficile raccontare questo libro, come è difficile raccontare un'istantanea appena scattata, perché si debbono catturare degli sprazzi di luce brevissimi e fortissimi che accecano.
Credo di aver trovato nel volume il ritratto di un gruppo fortemente orgoglioso delle proprie radici, che le voleva mettere a contatto con altre culture senza perderle.
Scusate se non vi riesco a dire di più, è veramente difficile esprimere quello che ho provato nel leggerlo. Con questo articolo, come sempre, ho solo voluto farvi venire un po' di curiosità.
Se siete hispanofoni gettatevi in questa lettura ammaliatrice, ne vale davvero la pena.

giovedì 20 maggio 2010

"Mazzate pesanti" al "grande capo"

Carissimi lettori, stasera torno a scrivere perché il nostro "grande capo" (non ringrazierò mai abbastanza Cinzia Marzo per questa definizione!) ne ha fatta una delle sue.
Avrete sentito parlare di "federalismo demaniale", ossia di un provvedimento vergognoso perché si vuole svendere l'ambiente, che in ogni paese civile è competenza assoluta dello Stato, alle regioni. Io dico: se lo Stato non si occupa delle questioni di effettivo interesse nazionale, allora a che cosa serve?
Ritengo che e ssendo l'ambiente il più grande propulsore del turismo, che fino a prova contraria è uno dei settori che più ci permette di avere ricchezza, esso deve essere assolutamente appannaggio dello Stato. E' lui che deve far rispettare questa nostra grandissima ricchezza, affinché certi immobiliaristi non ne traggano guadagno uccidendo le nostre regioni e le nostre risorse.
Sappiamo tutti che Berlusconi è famoso per i numerosi condoni edilizi che elargisce, ma qui si è veramente toccato il fondo.
Vogliamo parlare anche del fatto che con questo stesso provvedimento si vende il patrimonio artistico alle regioni? Ver-go-gna!
Il patrimonio artistico è, per definizione, un bene di interesse nazionale, quindi deve essere tutelato dallo Stato, che può e deve lasciare autonomia alla regione nel valorizzarlo, ma sempre con un suo sostanziale grande aiuto.
Dovete scusarmi lo sfogo breve ed arrabbiato, ma quando si deve divagare si divaga, ormai lo avrete capito!

martedì 11 maggio 2010

Renato zero: "Presente 09 tour"

Carissimi lettori, ho il piacere di recensire il nuovissimo dvd di Renato Zero, che accompagna la riedizione del suo ultimo e giustamente fortunatissimo album che, come saprete, si intitola "Presente".
Il concerto, preceduto da quella leggera dose di teatro che fa giustizia all'istrionismo del nostro, inizia con quella che da sempre è la mia canzone preferita di Renato, la vecchia ma poco conosciuta dal grande pubblico "Vivo".
La voce del nostro è caratterizzata da una grande potenza, solo leggermente incrinata da piccole "storture", che però su di me hanno un grande effetto. La versione del brano, ripreso da quel capolavoro del 1977 intitolato "Zerofobia", è meno classica e più caratterizzata da venature rock blues, che però non sconvolgono l'impianto del brano (per fortuna!). Il pubblico, ovviamente, canta dannatamente.
Si arriva subito alle nuove canzoni di "Presente", con quella che ci ha fatto capire che Renato era "Ancora qui". Non ci sono gli effetti e i controcanti che sono permessi dalle sovraincisioni, ma non è che Renato ha bisogno di queste cose, se le usa è solo per necessità artistica (ancora una volta: fortuna!). L'interpretazione è leggermente commossa, ma è allegra e tenera come si confà al testo del brano. Il pubblico è caldissimo, magari non lo si sente cantare molto, ma di festa ne fa tantissima.
Il messaggio di speranza di questo brano è perfettamente tradotto dal grande clima di empatia profonda che si è subito creato.
Continuiamo il viaggio all'interno di "Presente", con quello che è stato il secondo singolo estratto, quella "Questi amori" che ha convinto anche molta critica specializzata.
Renato qui perde quella rabbia che forse era data da un leggero nervosismo, per portarci verso quella tenerezza pura che è poi forse la sua più grande qualità.
Il pubblico sembra talmente ammaliato che, almeno secondo me, canta con molta discrezione, talmente tanta che la sua presenza si percepisce solo dai grandiosi applausi che punteggiano il brano. La risata schietta del finale condisce il bellissimo assolo di Mark Harris, geniale pianista che ci delizia con i suoi assoli venati di blues e di jazz.
Rivelocizzando il ritmo si torna un po' indietro negli anni con questa "Emergenza noia". C'è una grandissima semplicità in questo concerto, d'altronde basato prevalentemente su sonorità elettroacustiche (sempre meglio dell'elettronica, che come sapete io non amo!).
Qui Renato si sta facendo prendere da quei momenti in cui torna un po' allo stile arrabbiato che gli ha dato talmente tanta fortuna che il grande pubblico fa una cesura, che vi giuro che non c'è, tra un Renato zero trasgressivo (legato agli anni Settanta) e uno stupidamente definito patetico, più recente.
Proseguendo troviamo il brano che ha annunciato uno degli album più belli del nostro, quel "Dono" che aveva visto un quasi unanime consenso nel 2005. Il brano, come tutti quelli di foggia classica, diventa leggermente più rock, ma giusto quel poco a cui obbliga l'assenza degli archi di Renato Serio. Il pubblico, in un coro coordinato, intonato e felice, canta alcune parti di testo a cui Renato fa delle rispostine tenere e perfette. Sono molto commossa da questo regalo che il "fiacco" ci ha voluto fare, complimenti perché ci hai donato un altro gioiello (scusate lo sfogo a lui direttamente dedicato, ma quando ci vuole ci vuole).
Continuiamo ad andare indietro nel tempo con questa "Qualcuno mi renda l'anima", (e ci andiamo davvero perché si va verso il1974!), un brano che, se fosse conosciuto, dimostrerebbe ai "signori della cesura", che questa è una loro invenzione per tentare di capire uno dei personaggi veramente più forti e impegnati che l'Italia possa vantare. Il brano, credo, è un grido di un violentato (o anche di una violentata, non si capisce), giusto per dimostrare a qualcuno che per essere impegnati si può benissimo essere poetici. La versione riprende, naturalmente riadattata e maturata, quella di invenzioni, scordandosi quasi del tutto quella di "Icaro", se non fosse per il crescendo e urlo finale. Il pubblico naturalmente delira, come commenta questo discorso nostalgico ma tenero che gli è dedicato (ente di cui gli artisti si scordano, credendolo quasi un atto dovuto, mentre, ve lo dice una che è famosa per i suoi abbandoni clamorosi di artisti che ama, non è assolutamente così!).
E si torna a cantare il nuovo Renato Zero, con una bellissima ballata intitolata "l'incontro". E' un appello a noi giovani affinché non ci vendiamo, mamma mia che difficile attuarlo!
E' un brano tenero e rabbioso, anche grazie ai numerosi interventi della chitarra elettrica, che Zero utilizza quasi sempre distorta.
E dopo aver cantato il "Presente" di Zero, torniamo a cantare uno dei capolavori assoluti della sua storia, quella "Inventi" che è stata colonna sonora e causa di moltissime emozioni della mia infanzia, poiché io scoprii Renato Zero con una persona che era molto legata al repertorio anni Settanta, quello che aveva segnato la sua adolescenza.
L'arrangiamento, come si era già detto per "Qualcuno mi renda l'anima", ricorda molto più quello di "Invenzioni" piuttosto che quello di "Icaro" o di "Prometeo" (quest'ultimo non l'ho mai amato). Il pubblico, con il solito coro coordinato, intonato e felice, dice "Inventi la poesia". E' una versione dolcissima, direi perfetta anche grazie ad un bellissimo assolo di chitarra classica, strumento che il nostro ha rivalutato molto soprattutto dal punto di vista solistico.
Andando avanti si continua a rievocare il passato lontano di Renato Zero, con "Potrebbe essere Dio", un brano di un vero credente che, come tale, non vuole mai imporre la propria opinione a nessuno, ma solo presentarcela. La versione è bellissima, anche perché Renato Zero utilizza spesso le sue basse. Il brano in questa sede acquista una dolcezza e si direbbe quasi una solennità segreta e nuova: un ennesimo capolavoro!
Ed eccoci a quella bellissima, fortunatamente presa anche come singolo sennò non sarebbe mai passata alla radio, "Non smetterei più". Naturalmente, come nel cd "Presente", qui c'è presente il cantante di soul siciliano Mario Biondi. Forse, ma è solo un forse perché io non posso guardare i crediti del dvd quindi c'è un problemino, si sente anche il sax soprano di Stefano di Battista.
Sono particolarmente felice che Renato Zero abbia voluto pubblicare questo dvd, poiché la tournée non ha potuto toccare Perugia, quindi me la sto godendo per la prima volta e, come sempre, ha avuto una scaletta ben strutturata.
Ora c'è Mario Biondi che canta un brano del suo repertorio in inglese, infatti è la prima volta, nel cd di Renato Zero, che il nostro si esprime in italiano. I sorcini gli hanno dato un aiuto, che Mario Biondi ha veramente gradito.
Andando avanti si torna indietro nel tempo con una canzone del 1976, che erano vent'anni che non veniva ripubblicata. Anche qui, come in tutti i precedenti ripescaggi dal vecchio repertorio, c'è un ritorno molto forte alla versione di "Trapezio", di cui, anche qui ci ripetiamo, perde solo la solennità classica, che può essere data solo dagli strumenti acustici. Il brano a cui ci si riferisce si intitola "Salvami".
Andando avanti, tornando a "Presente", si canta uno dei brani più piccanti e colorati del Renato Zero storico, che si possano trovare nel repertorio recente. Mi riferisco a "L'ormonauta", che dal vivo, come tutto questo repertorio, è caratterizzato da un grandissimo divertimento.
Anche qui ovviamente si sente quella leggera "sporcizia" che è un nuovo ma fondamentale ingrediente della voce di Renato.
Si continua con un altro brano da "Presente" di cui, mea culpa, non mi ricordo il titolo. Comunque è un messaggio meraviglioso, in un periodo in cui i coltelli si usano, con fin troppa facilità, per troncare anche troppe vite innocenti. E' una di quelle ballate aperte, un po' alla Don Backy, che d'altronde è uno dei cantanti preferiti di Renato Zero (e si strasente!).
Si continua alla scoperta di "Presente" con "L'ambulante". Il brano qui acquista una rabbia che non fa perdere la tenerezza, ma che forse fa sviluppare più quella coscienza che, pur nella dolcezza del ritratto, è nascosta e va capita. Questo brano, non so perché non mi venne in mente ai tempi della recensione di "Presente", potrebbe ricordare il "Venditore di felicità", tra i primi pezzi mai incisi di Renato Zero, tratto dall'"Orfeo 9" di Tito Schipa junior (1970).
Ed eccoci ad un bel lento intitolato "Quando parlerò di te", una bellissima serenata d'addio. L'innamorato, al contrario delle canzoni napoletane di cui si parla di domenica, pretende di non essere più amato da una donna che lui, in fondo, ancora ama.
Nonostante l'addio che l'uomo pronuncia con determinazione, c'è sempre una tenerezza segreta ma forte.
Ed ecco un altro ritorno ai tempi di "Zerofobia", che il pubblico accoglie delirando. La canzone, precisamente "Morire qui", ricorda come canto la versione di "Zerofobia", ma c'è una dolcezza che la rimanda verso il mondo dell'ultimo Renato Zero, precisamente alla versione di "Prometeo" (1990). E' particolare anche l'entrata in questa canzone, che non le ha mai contemplate, delle tastiere e del pianoforte, che dà una grande forza armonica ad un brano che, negli anni e soprattutto in "Zerofobia", era quasi tutto ritmo. Voglio confessare una cosa: questa caratteristica delle versioni storiche non me lo hanno mai fatto amare, mentre ora, in questa nuova veste diversa ma rispettosa, forse me ne sto innamorando e dopo diciotto anni è veramente un miracolo.
Ed ecco un brano sull'amicizia e, direi, anche sulla sincerità, quel sentimento che, anche se oggi non pare, salva le vite dallo svendersi.
Ed eccoci a quello che è il singolo che attualmente gira nelle radio, una delle canzoni meno belle di "Presente" (sono gusti personali ma scritti sinceramente!). La canzone, intitolata "Muoviti", è comunque bella se analizzata obbiettivamente e forse anche freddamente, anche perché comunque il disco è tutto buono.
La versione è molto pura, anche perché Zero è molto filologico con il proprio repertorio, anche per permettere ai suoi ammiratori, che come ho detto sono molto canterini, di venirgli dietro (infatti, per fortuna, per lui il concerto non è mai un'occasione per mostrare la sua bravura, ma una festa collettiva!). La tenerezza e la speranza, come su tutto questo disco, lasciano la loro traccia di leggerezza, portandosi con loro l'ennesimo grido seguito dall'ennesimo applauso a scena aperta.
E' veramente un'atmosfera unica, come ogni buon concerto del nostro.
E a proposito di sorprese, che come avrete visto qui sono tante, eccoci ad una "113" che, almeno, io non avevo mai sentito dal vivo. Qui Renato Zero, va detto, torna veramente allo stile di "Invenzioni", davvero una meraviglia.
Renato Zero, come spesso faceva in quegli anni, si è divertito in un breve "scat", che viene seguito da una leggera variazione classicheggiante delle tastiere, che prelude al finale del brano, veramente filologicissimo.
Andando avanti si torna al "normale", continuando ad andare indietro nel tempo, pur tornando ai tempi a noi più vicini con questa bellissima "Figaro", che Zero interpreta a duo con il pubblico. Meravigliosa, tenera e grata, questa canzone, come molto repertorio del nostro, ha quelle virtù che dànno all'arte quell'umanità che spesso le manca.
Si torna a cantare il "Presente" di Renato Zero, con il brano che apre il cd intitolato "Professore". In questo brano il cantautore, forse con eccessiva protervia ma con giustizia, rivendica il diritto di vivere senza scuole e schemi.
Il canto, contrariamente alla versione da studio, è limpido e perfetto. Il pubblico lo aiuta, soprattutto nel finale, che dà il via ad una mai stancante "Felici e perdenti", che il cantante interpreta in duo con questo artista segreto che si chiama pubblico. L'interpretazione è rabbiosa, come tutte quelle presenti nei vari cd live che l'hanno contemplata, sin da "Amore dopo amore, tour dopo tour", risalente al lontano 1999.
La batteria e le percussioni permettono, contemporaneamente e in maniera complementare, di addolcire e rafforzare la rabbia di questo brano, tratto da un cd che ha una storia un po' particolare che voglio approfittare per raccontarvi. L'album in questione, risalente al 1994, si intitolava "L'imperfetto" e uscì il 30 agosto di quell'anno, in un caldissimo giorno. Mi ricordo benissimo di essere andata nel mio negozio di fiducia. Alla mia richiesta del cd di Zero, bellissimo, la signora dovette prenderlo dalo scatolone dei nuovi arrivi, perché io non le detti neanche il tempo di metterlo in vetrina. Troppo bello!
Tornando al presente di Zero si canta una ballata addolcita ma sempre rabbiosa, perché spessissimo in Zero, da sempre ma specialmente ora, la rabbia è nascosta nella dolcezza. E' una denuncia, un po' alla Cinzia Marzo. Mentre la salentina si rivolge a Dio senza Chiesa dei popolani, Zero, pur non denotando esplicitamente riferimenti cattolici è più legato ad una religiosità più standard.
Andando avanti, dopo "Il sole che non vedi", si ascolta un brano che ha una storia particolarissima per me, legata alle mie scuole elementari. Io, ve lo giuro, feci un tema a partire da questa canzone che, da allora, sia per la sua effettiva bellezza che per questo episodio, è una delle mie preferite del repertorio di Zero. Il brano è intitolato "Buon natale" ed è tratto da "Tregua", primo dei tre doppi album di inediti pubblicati dal nostro tra il 1980 ed il 1982.
La voce del "fiacco" qui, se possibile, rende questo messaggio di fratellanza ancora più forte, in un periodo come questo in cui, per qualsiasi problema, invece di lottare si decide di uccidere.
L'arrangiamento è più ricco rispetto all'originale, che era basato su un pianoforte aiutato leggermente da delle tastiere. Qui, sin da subito, arrivano gli archi insieme ai suoni sintetici (purtroppo il pianoforte praticamente si sente solo alla fine!), per poi far entrare tutto il gruppo di strumenti, fino al finale che contempla un assolo di chitarra elettrica forse un po' inutile ma non stupido.
Il dvd è finito, purtroppo, ma si chiude con un inedito che, ancora una volta, è dedicato a noi che amiamo Zero e ci sentiamo a lui uniti da vera comunitarietà.
Bellissima ballata, a tenpo di bolero in fondo, tenera, aperta, unica come sempre.
E' veramente un bel dvd, che va a coronare una nuova edizione di un buon disco di Zero, oserei dire che questo conviene anche a chi ha il cd, perché veramente vale troppo la pena di goderci un Renato in forma smagliante.
Capolavoro!
Ma poteva mancare "I migliori anni della nostra vita"? No!
Come sempre il pubblico canta il ritornello, e Renato se lo gode come forse mai aveva fatto, senza lasciare risposte. Meravigliosa canzone, interpretazione impeccabile, senza smagliature di sorta.
Spero di avervi fatto piacere con questa recensione, soprattutto spero di aver rifatto giustizia ad una mia grandissima passione che, forse da troppo tempo, era lontana da questo blog.
Arrivederci e, ovviamente, "Ciao nì!".

domenica 9 maggio 2010

Commento alla puntata del 09/05/10 di "canzonenapoletana@rai.it"

Carissimi lettori, eccoci alla terza e ultima puntata di "canzonenapoletana@rai.it" dedicata ad Alfonso Mangione.
Si inizia con una spassosissima ma incomprensibile canzone degli anni Trenta, dal titolo "L'uommene su misura". L'interprete è Gilda Mignonette, che, con la sua solita maestria canta una melodia di Mario Nicolò.
E' un brano binario, prevalentemente in maggiore, condito però da interessanti e semplici passaggi in minore, messi in una parte precisa della strofa e caratterizzati da un breve rallentamento del ritmo.
Ci troviamo ora davanti ad uno spassosissimo e romanticissimo duetto intitolato "Canzone 'e ll'acqua chiara", cantata da Ebe de Paolis e da un cantante che non si è riconosciuto.
A livello musicale è una marcetta, ancora una volta i tempi binari, caratterizzata da un tipico intervallo di quarta aumentata che dà a questi pezzi una raffinatezza unica.
Il testo è una riflessione, che potrebbe ricordare certe poesie del grande Di Giacomo, sull'amore.
Abbiamo il piacere di ascoltare una bellissima canzoncina divertente intitolata "'A pinnicillina", che utilizza questa parola in una serenata ad una donna. La voce di Roberto Murolo, nonostante il suo essere accompagnata da un'orchestra, è già quella dolce e perfetta che in molti amiamo.
la sua dizione, non c'è neanche bisogno di dirlo, è già perfetta. Spero che qualcuno, sarebbe ora davvero, pubblichi finalmente un'antologia del primissimo murolo.
Andando avanti, siamo ormai alla fine, arriviamo al 1949 anno di uscita di questa "Cummendatore e grazie". E' un altro di questi brani binari che erano l'ideale per la poesia saltellante di Mangione. Capisco poco il testo, purtroppo, ma è un pezzo di quelli festivalieri, non a caso fu lanciato ad una Piedigrotta.
Eccoci ad un brano dell'anno successivo, scritto come il precedente insieme a Evemero Nardella, intitolato "Fazzulettiello 'e seta".
E' un brano di quelli un po' crepuscolari, ma il crepuscolarismo arricchisce una bella e triste serenata, dedicata ad un fazzolettino di seta, che ascolta la tristezza di un'innamorata che deve lasciare l'uomo che veramente ama per un altro. Questo personaggio maschile, il lasciato, è colui che racconta questa storia, con una melodia in minore impreziosita da una scala con gradi aumentati.
Nel 1954 Alfonso Mangione fa in tempo a partecipare ad uno dei primissimi festival della canzone napoletana, con una bellissima ballata su musica di Mario Cosentino. E' una ballata raffinata, che mischia parti maggiori e minori in maniera già non prevedibile.
L'ultimo brano è "Cienti bbaci", una macchiettuccia spassosa che si ascolta dalla voce di quello che è stato il più grande interprete di musica da teatro, sia essa sceneggiata o macchietta. Naturalmente ci stiamo riferendo a Nino Taranto, che interpreta questa canzoncina, binaria come sempre, dove un innamorato, un po' esagerato, chiede cento baci dalla propria innamorata.
Meraviglioso ciclo, speriamo che il prossimo sia altrettanto buono.

venerdì 7 maggio 2010

"Tre madri corretta

Carissimi lettori, questa sera pubblico uno "sfogo" in salentino un po' speciale.
Ho provato a tradurre in questa lingua, da me considerata tanto nobile, una bellissima canzone di Fabrizio de Andrè.
Il brano mi ricorda tante cose, a raccontarle faremmo notte. Vi dico solo che si tratta delle "Tre madri" della "Buona novella", forse il miglior episodio del disco (opinione personalissima e discutibile ma certissima per me).
Spero che vi piaccia e gradirei davvero qualche opinione da parte di qualche leccese, in quanto ho faticato non poco a trovare alcune soluzioni e ho anche qualche dubbio.
Credo di aver dato una struttura leggermente portoghese ad una frase, precisamente a quella che dice "se cerca nu cantu de paradisu", dove la parola "cantu" è utilizzata come equivalente di "angolo".
So che in poesia esistono le cosiddette "licenze poetiche", ma siccome io tengo a sapere bene le lingue in cui mi esprimo, sarei felicissima se mi faceste sapere opinioni e cose che non vanno alla mia e-mail, visibile nel mio profilo.
Buona lettura.
Tre madri
Titu, nu sinti fiju de Diu,
ma nc'è ci more
te dice addiu.
Dimacu tie nu teni patre
ma chiù de tie mammata more.

Cu troppe lacrime chiangi, Maria
sulu l'immagine de n'agunia:
percé alla vita, lu terzu giurnu,
lu fiju tou have turnare:
lassa ca nui, chiancimu forte,
ci nu ha chiù turnare de la morte.

De iddu chiangiu quiddu ca perdu,
le razze piccicche, la fronte e la facce,
ogni sua vita ca vive ancora,
ca isciu se stuta de ora a ora.

Fiju de sangu, fiju de core,
e ci te chiama "nostru signore"
'ntra lla fatia de nu surrisu,
se cerca nu cantu de paradisu.

Pe' mmie si fiju, vita ca more,
te portau cieca sta entre mia,
prima allu piettu e mo alla cruce
te chiama amore sta uce mia.

Nu issi statu fiju de Diu
te tinia 'ncora pe' fiju miu

giovedì 6 maggio 2010

Omaggio personale a De Andrè in salentino

Carissimi lettori, questa sera pubblico uno "sfogo" in salentino un po' speciale.
Ho provato a tradurre in questa lingua, da me considerata tanto nobile, una bellissima canzone di Fabrizio de Andrè.
Il brano mi ricorda tante cose, a raccontarle faremmo notte. Vi dico solo che si tratta delle "Tre madri" della "Buona novella", forse il miglior episodio del disco (opinione personalissima e discutibile ma certissima per me).
Spero che vi piaccia e gradirei davvero qualche opinione da parte di qualche leccese, in quanto ho faticato non poco a trovare alcune soluzioni e ho anche qualche dubbio.
Credo di aver dato una struttura leggermente portoghese ad una frase, precisamente a quella che dice "se cerca nu cantu de paradisu", dove la parola "cantu" è utilizzata come equivalente di "angolo".
So che in poesia esistono le cosiddette "licenze poetiche", ma siccome io tengo a sapere bene le lingue in cui mi esprimo, sarei felicissima se mi faceste sapere opinioni e cose che non vanno alla mia e-mail, visibile nel mio profilo.
Buona lettura.
Tre madri
Titu, nu sinti fiju de Diu,ma nc'è ci morete dice addiu.Dimacu tie nu teni patrema chiù de tie mammata more.
Cu troppe lacrime chiangi, Mariasulu l'immagine de n'agunia:percé alla vita, lu terzu giurnu,lu fiju tou have turnare:lassa ca nui, chiancimu forte, ci nu ha chiù turnare de la morte.
De iddu chiangiu quiddu ca perdu,le razze piccicche, la fronte e la facce,ogni sua vita ca vive ancora, ca isciu se stuta de ora a ora.
Fiju de sangu, fiju de core,e ci te chiama "nostru signore"'ntra lla fatia de nu surrisu,se cerca nu cantu de paradisu.
Pe' mmie si fiju, vita ca more,te portau cieca sta entre mia,prima allu piettu e mo alla crucete chiama amore sta uce mia.
Nu issi statu fiju de Diute tinia 'ncora pe' fiju miu

mercoledì 5 maggio 2010

Riflessioni sull'Unità d'Italia.

Carissimi lettori, oggi mi va di riflettere sull'unità d'Italia, evento di cui, come saprete, si celebra il centocinquantenario.
E' veramente desolante vedere che il capo d'un partito rappresentato nelle istituzioni nazionali, ossia fa parte del parlamento, ritenga inutile o indegno ricordare la gente che si è battuta per questa causa.
Si possono avere lecite riserve su questo evento, anche e soprattutto sulle sue conseguenze future e sui rapporti di forza che caratterizzano la vita dello Stato, ma i patrioti che si sono battuti per questa causa non hanno colpa riguardo a come l'unità si sia effettivamente concretizzata.
Poi, se volete sapere la mia, io non sarei per uno Stato unitario come è ora ma per uno federalista (non fatto sulle indicazioni di un partito chiamato Lega Nord che come tale di noi centro-meridionali se ne infischia, grazie!), ma gente come Menotti, Pellico, Cavour, Garibaldi e Mazzini non va dimenticata.
Soprattutto, va detto ancora, se una persona lavora nelle istituzioni nazionali, è obbligata a riconoscersi non solo nella Costituzione, a cui ha giurato fedeltà, ma anche nei valori che costituiscono la base della storia della Nazione.
Io spero che questo centocinquantenario, che da oggi si è iniziato a celebrare, sia un'occasione per cementare questo paese, non omologandolo, ma unendo le nostre singole identità nel rispetto.
Insomma, diciamo finalmente, con Francesco de Gregori, un sentito e sincero "Viva l'Italia!".

lunedì 3 maggio 2010

Commento alla puntata del 02/05/10 di "canzonenapoletana@rai.it

Carissimi lettori, con un giorno di ritardo dato che il computer m'aveva detto "ci vediamo un giorno di questi", ecco la seconda puntata su Alfonso Mangione commentata da me. (ovviamente i parla di "canzonenapoletana@rai.it".
Si inizia con uno spassosissimo brano binario musicato da Staffelli, che si ha il piacere di ascoltare da Paolo Sardisco.
Si parla, credo, di un innamorato che si lamenta del fatto che la sua innamorata non lo corrisponda in questo giorno festoso, in questo sabato.
Nell'ultima strofa, compatibilmente con lo spirito di Mangione, la poesia si risolve in un incontro allegro e romantico tra i due, che giustifica questa bellissima musica binaria che mette tanta allegria.
Dello stesso anno, dopo "Sabato senza sole", si ascolta "'O veleno", valzerino lento con la musica di uno dei musicisti di punta di quel periodo, il grande Nicola Valente. L'interprete è Gilda Mignonette, la grande signora della canzone napoletana tra Napoli e New York.
Il testo, purtroppo, è incomprensibile, quindi qui finisce la trattazione del brano (il disco è veramente ridotto più che alla frutta!).
Ed eccoci a Gennaro Pasquariello, che canta un brano del 1929 il cui titolo non mi è arrivato alle orecchie. E' la storia di uno di quei personaggi alla "Rosso malpelo" di verghiana memoria, condito con ancora più dramma, e tinteggiato con pennellate più da sceneggiata che altro.
E' bella ma è veramente inascoltabile. Il brano si chiama "'O lupo".
Stiamo ascoltando Arturo Gigliati, probabilmente lo stesso che qualche anno dopo renderà ancora più notevole la già di per sé ricca poesia napoletana, che interpreta nel 1930 questa marcetta intitolata 'A pusteggia". Il testo non lo capisco, ed è difficilissimo anche parlarvi della melodia, ma posso dire che è uno di quei brani in minore, caratterizzati dalla raffinatezza e da certi "diminuendi" interessantissimi.
Del 1931 è questa "'A muntagna", che viene interpretata da Vittorio Parisi, grande tenore di quegli anni. Il brano, sia a livello di testo che a livello di musica, ricorda "Sciummo", pezzo abbastanza famoso del Festival di Napoli del 1952. E' in tonalità minore, caratterizzato da una scala popolare che rievoca benissimo questo quadretto di uno spaccalegna e la sua tristezza, raccontata in terza persona, anche se il protagonista è colui che parla.
Dello stesso anno è questa "'A riva 'e mare", uno di quei brani caratterizzati dall'alternanza tra parti in minore ed in maggiore. La musica è di Gaetano Spagnuolo, ottimo musicista di quegli anni. Non so dirvi bene del testo, perché, come sempre, stiamo ascoltando incisioni d'epoca.
Non so neanche dirvi che ritmo sia precisamente, d'altronde all'epoca i compositori erano caratterizzati da una maggior fantasia ritmica rispetto ad oggi.
La puntata si chiude con una bellissima canzone, intitolata "Canzone felice", musicata da Nicola Valente e cantata da Vittorio Parisi. Non riesco purtroppo a dirvi di più, naturalmente non per colpa mia, scusate sempre scusate!