martedì 22 gennaio 2013

Qualche parola sul cd dei Taranta minor

Carissimi lettori, oggi voglio tornare a parlare di musica popolare, presentandovi il primo cd dei Taranta minor, gruppo salentino capitanato da Ambrogio De Nicola, che i più appassionati ricorderanno essere stato chitarrista classico degli Officina Zoè in "Sangue vivo". Il cd si apre con "Quantave", bella pizzica molto leggera, non per questo debole, anzi. Le voci, almeno nella prima parte cantano con quella dolcezza che io spesso reclamo a troppi gruppi salentini. Quando l'innamorato sfoga la propria rabbia le voci si alzano, in maniera più tradizionale ma mai sguaiata (agli altri dico di imparare!). Le tre voci si direbbe che vadano alla ricerca di un certo Salento "confidenziale" che forse è il vero futuro della musica salentina, sicuramente meglio di questa tendenza all'imitazione pedissequa e sguaiata delle fonti. Andando avanti si trova "Quannu camini tie", classico ma non troppo cantato, soprattutto dai gruppi di nuova generazione, caro invece a quanti hanno ripreso con gratitudine repertori da quella prima ondata che negli anni Settanta segnò l'inizio di qualcosa che dura tutt'ora. La versione qui presentata ha come principale particolarità la mancanza di alcuni versi abituali "Ci quarche giurnu ieu cascheria malatu, guardannu lu litrattu sanaria". La terza traccia ci permette di apprezzare la particolare forma che prende la tarantella nelle mani dei "Taranta minor". La melodia è quella della "Ninella de Calimera", di cui però viene rispettato, se si pensa alla versione degli Ucci, solamente il ritornello. Le strofe sono particolari, molte sconosciute credo a chiunque. La terzina non la si sente, semmai si nota solo l'accento del primo quarto d'ogni battuta, oltre ad una progressione di chitarra che potrebbe ricordare certe colonne sonore di Nino Rota. Andando avanti, a proposito di classici, e qui non è questione di "generazioni", arriva "Fimmene fimmene". Musicalmente è basata su un basso ostinato di la, che però non dà per niente fastidio, perché il ritmo è un arpeggiato, paragonabile, anche se più semplice, a quello della versione degli Zoè su "Terra" (1997, inizialmente autoprodotto, ora dell'Animamundi). Il testo è caratterizzato da strofe in cui si citano specifiche varietà di tabacco, distici sconosciuti ai più. Purtroppo, anche qui, si ascolta il finalino sul tema del tarantismo ("E Santu Paulu meu de le tarante") che su questo brano ho sempre trovato ci stesse tragicamente. La traccia successiva è un pegno di gratitudine nei confronti di quella che è innegabilmente la più importante esperienza di Ambrogio De Nicola nel campo della musica popolare salentina, la colonna sonora del film "Sangue vivo". In questa pizzica, per certi versi paragonabile alla "Pizzica di Cutrofiano", si ricorda in più di un'occasione "Sale", soprattutto se si pensa all'ostinazione con cui si ribatte sul re maggiore. Molto particolare il giro tra re maggiore, mi settima e do maggiore, ottenuto a cappella nell'esecuzione della classica "La taranta è viva e nun è morta". La traccia successiva è "E lu sule calau calau", la cosa più bella sono gli arpeggi di chitarra di De Nicola. La traccia successiva sono degli stornelli sulla melodia "Fiore di tutti i fiori", con una parte strumentale che ricorda la versione di questo brano incisa dai Taranta Social Club in "Schermando". Il testo, però, è lontano dall'essere il convenzionale. Se nella parte finale esso utilizza molte strofe cantate nella classica "De sira", all'inizio si ricordano degli stornelli raccolti da Alan Lomax nel 1953. Brano prezioso come tutto il cd, che dimostra, a chi non se ne volesse convincere perché accecato dalla paranoia dell'innovazione, che con i brani più conosciuti si possono fare esperienze sempre interessanti anche senza mille strumenti. Andando avanti, saccheggiando sempre i dischi di Brizio Montinaro "Musiche e canti popolari del Salento" si ascolta "La tabaccara". La particolarità armonica è un passaggio in minore che fa fare i conti con la sofferenza di cui parla il testo. Il tamburello non batte con la botta accentuata, suona semmai con una dolcezza gustosissima che non è, però, nemmeno quella paranoia del controtempo, altrettanto fastidiosa. Andando avanti si riprende "Allu sciardinu", che viene eeseguita con una predominanza dell'accordo di tonica (do maggiore), al quale si sfugge giusto il tempo di un sol che copre solo una minima parte del giro strumentale. La traccia che continua il cd è una classica "Santu Paulu" interpretata, forse per dare circolarità, sulla melodia dell'iniziale "Quantave". Ritroviamo gli inconfondibili controtempi, o sfasature di tempo, della voce che non si fa imbrigliare dalle battute, ma ama piuttosto gestire il ritmo in maniera personale. E come la "Quantave" iniziale, ci sono gli inconfondibili vibrati della chitarra di De Nicola, che ricordano anche, perché no, le bellissime evoluzioni delle corde di Aldo Nichil in "Pizzicata". Qui il testo non presenta particolarità di rilievo, se non forse una variante di "Vidi ci balla moi vidi ci balla, sta balla nu cardillu e 'na palomma", che diventa "E ci nun ci balla moi e ci nun ci balla, e pare nu cardillu e na palomma". Cd che consiglio a tutti, soprattutto a quelli che ritengono fondamentale avere molti strumenti per eseguire la musica popolare, così magari cambiano perfino idea. Per conoscere il gruppo si consiglia la visita al sito www.tarantaminor.it.

martedì 8 gennaio 2013

Donatello Pisanello: "Sospiri e battiti"

Carissimi lettori, a dispetto del tantissimo tempo in cui non ho scritto, ecco un'altra occasione che mi permette di aggiornare questo blog, parlarvi del bel cd "Sospiri e battiti" che il musicista salentino Donatello Pisanello ha dato alle stampe l'anno scorso per la Phonosfere/Dodici lune. Il primo brano è quello che più di tutti rende palpabile lo stile abituale di Donatello, difatti per molta parte è una pizzica, solo con la battuta principale spostata dalla prima alla seconda parte della cellula ritmica. Il brano, dal titolo "Serenata senza effetto" è nella tonalità, particolarmente cara al musicista di Taviano (LE) di re minore. La parte a pizzica è guidata dall'organetto di Donatello, che ricama una delle sue tipiche melodie in minore, dove l'ossessività forsennata del basso sul re è equilibrata molto bene dalla larghezza del giro della mano destra. Il ritmo cambia in un ritmo collegabile alla cultura balcanica in corrispondenza di un passaggio dei bassi al la, tonalità che invece permette al contrabbasso di Angelo Urso, complice di Donatello Pisanello in questa avventura, di brillare e di ricordare il violoncello di Redi hasa ne "Il miracolo", disco degli Zoè a cui questo rimanda in più di una traccia, anche se, forse, "Sospiri e battiti" ha una maggiore cantabilità. Il finale è lentissimo è riprende in parte il tema principale. In questo brano c'è la complicità di Lamberto Probo ai tamburi a cornice, che dimostra virtuosismo mai slegato dalla semplicità della vera musica tradizionale salentina. Il secondo brano è snodato su un accordo di re minore che viene iterato con tre note di basso su un ritmo molto ostinato collegabile a certi ritmi balcanici. Solo nel finale il giro si allarga ad un sibemolle, ma non si ha mai quella sensazione di gabbia che qualche brano di Donatello Pisanello può dare (mi riferisco a certi brani degli Zoè spesso composti con la collaborazione di Cinzia Marzo come "Sale"). La terza traccia è un apparentemente innocuo valzer. Il problema (per chi pensasse di suonarlo) è che va fatto un accordo per battuta, ossia se nel primo quarto si usa solo la nota di basso bisogna aprire e chiudere i mantici di un ipotetico organetto in gran velocità. Questa esperienza cantabile viene interrotta bruscamente con una parte in cui l'organetto miracolosamente assume le sembianze di un organo, dando respiro melodico ad una delle caratteristiche più profonde ed inconfondibili dello stile di Pisanello, il "basso fisso" che imita il "basso" vocale così tipico della tradizione salentina. Sì perché Donatello, anche quando sembra più allontanarsene, ha sempre la tradizione come bussola del proprio cammino musicale, almeno finché tocca strumenti tradizionali. Ed eccoci alla title track del cd, un brano con un ritmo collegabile a certe cose arabe, in cui torna a fare capolino, con la sua solita insostituibile miscela di virtuosismo e semplicità, il tamburello di Lamberto Probo. La particolarità più evidente del brano è che è in minore (sol minore) ma gli accordi sono maggiori (incluso il sol, e qui la terza dell'organetto, quella nota che da la differenza tra minore e maggiore, è chiusa solo per la mano destra, non per la sinistra). Stupendo l'assolo di tamburello che rimanda, in fondo, al gioco di percussioni che interrompe improvvisamente la vorticosa "Cu lli suspiri" del bellissimo "Maledetti guai", album degli Zoè che a suo tempo recensimmo da queste parti. Ed arriviamo alla mia traccia preferita, oltre alla "Serenata senza effetto d'apertura, un valzer in una cantabilissima e sempre gradevole tonalità di la minore. Qui è l'organetto a portare atmosfere, la contemporaneità sembra prendersi una momentanea pausa (si vendicherà anche troppo nelle tracce successive). Il pregio di questo cd, che Donatello dovrebbe trasferire e contestualizzare maggiormente anche quando compone per l'Officina, è che i giri non sono mai troppo ostinatamente basati su un accordo (e come ho detto prima gli Zoè, non so chi ne ha la colpa, cadono su questa cosa ed è un peccataccio). La melodia è tutta basata, ad eccezione di un fa ed un sol che hanno il ruolo di accordi maggiori, su un bel trittico di accordi minori, ma non arriva mai la malinconia insita in questo tipo di strutturazione armonica. Ed avevo parlato di "vendetta della contemporaneità", eccola qui nella traccia successiva. Qui la cantabilità lascia spazio ad una melodia molto ripetitiva, un po' fastidiosa a certe orecchie (tra cui le mie), che non segue la logica delle scale in maniera convenzionale, quanto piuttosto a livello d'unione di singole parti che prese da sole sono tonali ma messe insieme scompongono il concetto di tonalità. La stessa sensazione si ha all'inizio della successiva, dove però ad essere poco orecchiabile e piacevole è forse il ritmo. Sembra anche che ci siano troppe note tra quelle della melodia e quelle dell'accompagnamento che sembra si facciano la guerra. Insomma anche questo cd rappresenta la contemporaneità come qualcosa di caotico e, per certi versi, disperante dove le ballate più leggere sono come delle oasi in un ceserto. Ovviamente, nel pieno rispetto della filosofia che guida i progetti in cui il musicista milita, non si sfrutta la tradizione per sperimentare, semmai ci si nutre di essa per fare qualcosa di proprio. Torniamo più vicini al cantabile con un brano che si sviluppa con un dodiesis ostinato come guida. La melodia è particolare, perché vari gradi della scala sono utilizzati non in modo convenzionale, anzi si ama indugiare su certe note "naturali" (tasti bianchi del pianoforte) che contribuiscono a far diminuire gli intervalli della scala base. Il ritmo è lento, quasi si potrebbe immaginare una camminata sul ghiaccio. Particolare il giro che, sul finale si arricchisce, oltre al fadiesis settima, che si è sentito spesso durante il pezzo, anche di un la e di un mi, da cui però si torna all'ineluttabile dodiesis "basso fisso" così pisanelliano come poche cose. Tornando alla tonalità di re, troviamo un brano dai giri larghi, che potrebbe ricordare, giusto a livello strutturale "Riu", bellissima composizione di Cinzia Marzo tratta da "Sangue vivo". Album consigliato soprattutto a quelli che ritengono necessario sfruttare per forza i testi della tradizione e rimusicarli in maniera spesso forzata, come dimostrazione che con gli strumenti di tradizione, magari uniti ad altri con altri bagagli culturali, si può fare davvero "altro" dalla tradizione senza toccarla.

sabato 5 gennaio 2013

Riflessioni d'anno nuovo.

Carissimi lettori, forse con un po' di ritardo scrivo i miei auspici ed i miei auguri per questo 2013 appena iniziato. È da una vita che non scrivo per questo mio ben amato blog, ma non me ne dimentico mai. Vorrei fare un elenco di desideri per questo nuovo anno, che mi pare essere già molto intenso per la musica popolare, quella che come nessuna da respiro e forza alla mia anima. Vorrei che gli organizzatori divulgassero meglio i loro eventi. Mettete in risalto gli artisti che sono i primi e più grandi responsabili delle emozioni che la gente si porta via dai concerti (e di questo chi organizza se ne infischia sonoramente ma forse sbaglia). Per quanto riguarda l'uso di Facebook consiglio a tutti gli organizzatori, l'ho già scritto sul social ma lo ripeto anche qui, di sfruttare gli attivi gruppi monotematici per divulgare i loro eventi (ovviamente questo consiglio va esteso agli artisti che si devono fare più furbi). Mi auguro che si chiudano i monopoli, sia a livello di interpreti che di editori, cosicché tutti possano avere spazio, se non equamente almeno in maniera paragonabile. Spero che non si generalizzino certe tentazioni di togliere la sua storica e bellissima indipendenza a questa musica, che non deve diventare patrimonio di un'élite, un'oligarchia di milionari o ricchi. Agli artisti auguro un anno di grandi attività, sperando che anche dei piccoli editori radiofonici come me possano stare dietro in maniera efficace a questo bellissimo movimento che, dando un futuro alla musica popolare, non la priva delle radici. A voi seguaci ricordo l'esistenza di www.pizzicaedintorni.it, mia creatura recente.