martedì 8 gennaio 2013
Donatello Pisanello: "Sospiri e battiti"
Carissimi lettori, a dispetto del tantissimo tempo in cui non ho scritto, ecco un'altra occasione che mi permette di aggiornare questo blog, parlarvi del bel cd "Sospiri e battiti" che il musicista salentino Donatello Pisanello ha dato alle stampe l'anno scorso per la Phonosfere/Dodici lune.
Il primo brano è quello che più di tutti rende palpabile lo stile abituale di Donatello, difatti per molta parte è una pizzica, solo con la battuta principale spostata dalla prima alla seconda parte della cellula ritmica.
Il brano, dal titolo "Serenata senza effetto" è nella tonalità, particolarmente cara al musicista di Taviano (LE) di re minore.
La parte a pizzica è guidata dall'organetto di Donatello, che ricama una delle sue tipiche melodie in minore, dove l'ossessività forsennata del basso sul re è equilibrata molto bene dalla larghezza del giro della mano destra.
Il ritmo cambia in un ritmo collegabile alla cultura balcanica in corrispondenza di un passaggio dei bassi al la, tonalità che invece permette al contrabbasso di Angelo Urso, complice di Donatello Pisanello in questa avventura, di brillare e di ricordare il violoncello di Redi hasa ne "Il miracolo", disco degli Zoè a cui questo rimanda in più di una traccia, anche se, forse, "Sospiri e battiti" ha una maggiore cantabilità.
Il finale è lentissimo è riprende in parte il tema principale.
In questo brano c'è la complicità di Lamberto Probo ai tamburi a cornice, che dimostra virtuosismo mai slegato dalla semplicità della vera musica tradizionale salentina.
Il secondo brano è snodato su un accordo di re minore che viene iterato con tre note di basso su un ritmo molto ostinato collegabile a certi ritmi balcanici.
Solo nel finale il giro si allarga ad un sibemolle, ma non si ha mai quella sensazione di gabbia che qualche brano di Donatello Pisanello può dare (mi riferisco a certi brani degli Zoè spesso composti con la collaborazione di Cinzia Marzo come "Sale").
La terza traccia è un apparentemente innocuo valzer. Il problema (per chi pensasse di suonarlo) è che va fatto un accordo per battuta, ossia se nel primo quarto si usa solo la nota di basso bisogna aprire e chiudere i mantici di un ipotetico organetto in gran velocità.
Questa esperienza cantabile viene interrotta bruscamente con una parte in cui l'organetto miracolosamente assume le sembianze di un organo, dando respiro melodico ad una delle caratteristiche più profonde ed inconfondibili dello stile di Pisanello, il "basso fisso" che imita il "basso" vocale così tipico della tradizione salentina. Sì perché Donatello, anche quando sembra più allontanarsene, ha sempre la tradizione come bussola del proprio cammino musicale, almeno finché tocca strumenti tradizionali.
Ed eccoci alla title track del cd, un brano con un ritmo collegabile a certe cose arabe, in cui torna a fare capolino, con la sua solita insostituibile miscela di virtuosismo e semplicità, il tamburello di Lamberto Probo.
La particolarità più evidente del brano è che è in minore (sol minore) ma gli accordi sono maggiori (incluso il sol, e qui la terza dell'organetto, quella nota che da la differenza tra minore e maggiore, è chiusa solo per la mano destra, non per la sinistra).
Stupendo l'assolo di tamburello che rimanda, in fondo, al gioco di percussioni che interrompe improvvisamente la vorticosa "Cu lli suspiri" del bellissimo "Maledetti guai", album degli Zoè che a suo tempo recensimmo da queste parti.
Ed arriviamo alla mia traccia preferita, oltre alla "Serenata senza effetto d'apertura, un valzer in una cantabilissima e sempre gradevole tonalità di la minore.
Qui è l'organetto a portare atmosfere, la contemporaneità sembra prendersi una momentanea pausa (si vendicherà anche troppo nelle tracce successive).
Il pregio di questo cd, che Donatello dovrebbe trasferire e contestualizzare maggiormente anche quando compone per l'Officina, è che i giri non sono mai troppo ostinatamente basati su un accordo (e come ho detto prima gli Zoè, non so chi ne ha la colpa, cadono su questa cosa ed è un peccataccio).
La melodia è tutta basata, ad eccezione di un fa ed un sol che hanno il ruolo di accordi maggiori, su un bel trittico di accordi minori, ma non arriva mai la malinconia insita in questo tipo di strutturazione armonica.
Ed avevo parlato di "vendetta della contemporaneità", eccola qui nella traccia successiva.
Qui la cantabilità lascia spazio ad una melodia molto ripetitiva, un po' fastidiosa a certe orecchie (tra cui le mie), che non segue la logica delle scale in maniera convenzionale, quanto piuttosto a livello d'unione di singole parti che prese da sole sono tonali ma messe insieme scompongono il concetto di tonalità.
La stessa sensazione si ha all'inizio della successiva, dove però ad essere poco orecchiabile e piacevole è forse il ritmo.
Sembra anche che ci siano troppe note tra quelle della melodia e quelle dell'accompagnamento che sembra si facciano la guerra.
Insomma anche questo cd rappresenta la contemporaneità come qualcosa di caotico e, per certi versi, disperante dove le ballate più leggere sono come delle oasi in un ceserto.
Ovviamente, nel pieno rispetto della filosofia che guida i progetti in cui il musicista milita, non si sfrutta la tradizione per sperimentare, semmai ci si nutre di essa per fare qualcosa di proprio.
Torniamo più vicini al cantabile con un brano che si sviluppa con un dodiesis ostinato come guida.
La melodia è particolare, perché vari gradi della scala sono utilizzati non in modo convenzionale, anzi si ama indugiare su certe note "naturali" (tasti bianchi del pianoforte) che contribuiscono a far diminuire gli intervalli della scala base.
Il ritmo è lento, quasi si potrebbe immaginare una camminata sul ghiaccio.
Particolare il giro che, sul finale si arricchisce, oltre al fadiesis settima, che si è sentito spesso durante il pezzo, anche di un la e di un mi, da cui però si torna all'ineluttabile dodiesis "basso fisso" così pisanelliano come poche cose.
Tornando alla tonalità di re, troviamo un brano dai giri larghi, che potrebbe ricordare, giusto a livello strutturale "Riu", bellissima composizione di Cinzia Marzo tratta da "Sangue vivo".
Album consigliato soprattutto a quelli che ritengono necessario sfruttare per forza i testi della tradizione e rimusicarli in maniera spesso forzata, come dimostrazione che con gli strumenti di tradizione, magari uniti ad altri con altri bagagli culturali, si può fare davvero "altro" dalla tradizione senza toccarla.
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Grazie Valentina
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