domenica 18 ottobre 2009

Commento alla puntata del 17 ottobre di "Canzonenapoletana@rai.it".

Carissimi lettori, ecco qui il commento ad una puntata, la prima, di un ciclo di "Canzonenapoletana@rai.it", dedicato a Pasquale Cinquegrana.
Si inizia con un brano, intitolato "Margaretella", risalente al 1887, interpretato, fortunatamente con un audio buonissimo, da Tommaso Maglione, da annoverare tra i cantanti chitarristi, tra cui Romano Zanotti, Mario maglione, Antonio Siano, che spesso amano ripescare gioielli d'epoca.
Il brano, tra i primi composti da Cinquegrana su musica di Di Capua, autore di "O sole mio", è già caratterizzato da quella ludicità che vedremo essere una delle caratteristiche di questo grande, anche se dilettante, poeta dialettale, tra i padri della canzone classica napoletana.
La melodia è fortemente legata ad un certo ambiente tardo-romantico napoletano, che amava spessissimo giocare con influenze colte e popolari.
Ed ecco qua una delle tante canzoni dedicate a maggio, questo mese che a Napoli ha sempre avuto una speciale atmosfera, allegra e devota ad un tempo.
Il brano è, ancora una volta composto dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, una canzoncina d'amore sfiziosissima, con influenze barocche.
Iniziamo con le incisioni d'epoca, con un brano intitolato "Montevergine", dedicato ad uno dei santuari più importanti della devozione popolare napoletana.
Il testo è difficilmente intellegibile, ma vi si riconoscono echi di tammurriate e strofe popolari. Il pezzo è inciso con il tipico duetto di strumenti napoletani, la chitarra ed il mandolino. E' interpretato da un tenore, o baritenore, voce che attualmente è estinta, molto efficace. (Scusate se non lo cito, ma la trasmissione è saltata e non si è sentito il nome dell'interprete).
Molti autori napoletani si sono dilettati a fare canti patriottici, ma, ovviamente, il patriottismo napoletano è "sollazzevole", giocoso, ironico, anche se non sempre irrispettoso (luogo comune da sfatare!).
Il brano, intitolato "E bersagliere", è una marcetta molto bella, che stiamo sentendo in una incisione d'epoca abbastanza buona. Io, però, vi consiglio caldamente di sentire la versione di Nunzia Marra, unica cantante che, almeno secondo le mie informazioni, ha riproposto questo canto. Questa canzone, tra l'altro, o meglio una sua parodia, fu la causa, non so se la principale, del fatto che Cinquegrana smettesse di insegnare.
Stiamo sentendo una canzone che prelude al genere di cui Cinquegrana diventerà uno dei più grandi esponenti, la "macchietta napoletana". Il brano si chiama "'O sentimento" ed è un duetto. Non vi posso dire di più perché l'incisione, anche questa d'epoca, è molto rovinata quindi non si capisce né il testo né la struttura musicale.
Ecco l'ultimo brano della puntata, quella "Margarita de Parete" scritta nel 1891 da Cinquegrana e Fassone, autore tra l'altro di "A tazza 'e cafè", stupenda tarantella che tutt'ora si canta.
Il brano di Cinquegrana, invece, è una marcetta sfiziosa, che d'altronde permette alla libertà espressiva del poeta di esprimersi e tradursi benissimo.
L'interpretazione è di Gennaro Pasquariello, il più grande interprete di canzone napoletana tra i due secoli.
Spero che vi piaccia questo ciclo, io mi sto divertendo un mondo a commentarlo!

giovedì 15 ottobre 2009

Intervista a Paquito del bosco (Direttore artistico dell'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana)

Carissimi lettori, aggiorno il mio blog con particolarissimo piacere, tramite un'intervista a Paquito del Bosco, direttore artistico dell'Archivio sonoro della Canzone Napoletana.
Per approfondire la conoscienza di questo grande "trovatore" di materiali d'epoca, si può anche andare sul sito http://www.canzonenapoletana.rai.it/, casa virtuale di questo juke-box partenopeo, che si può consultare, ascoltando anche i materiali in esso contenuti, sia nella sede rai di napoli, che alla Discoteca di Stato di Roma.
D: Nel documentario che Rai Educational ha curato sulla sua storia, si raccontano i suoi inizi come collezionista. Prima di iniziare a collezionare dischi e materiale d'epoca: cos'era la musica per lei?
R: Non ho un concetto preciso di cosa fosse la musica per me in quel periodo. Come tutti i miei coetanei ne ascoltavo tanta, sia classica che leggera.
Io, come tutti i ragazzi siciliani di buona famiglia, avevo iniziato a studiare pianoforte, ma con scarsissimi esiti, perché non era uno dei miei interessi principali, e la musica non era una delle mie prospettive immediate: dovevo fare l'ingegnere.
Oltre alla musica, ad esempio, mi piaceva molto viaggiare o andare al cinema.
Tutto è cambiato quando, in un mercatino, incontrai un vecchio giradischi d'epoca con una manciata di dischi antichi, da cui sono rimasto folgorato.
D: Nella sua famiglia che musica circolava quando lei era molto piccolo?
Mia nonna era un'insegnante di piano, ed è l'unica persona che si sia occupata di musica. Mio padre era ingegnere e preside in una scuola, ed io, che venivo chiamato "l'ingegnerino", ero destinato a fare quel mestiere. Non ho avuto precedenti musicali in famiglia.
D: Mi parli dei suoi inizi come collezionista.
R: Come ho detto è stato un incontro casuale ma, quel repertorio, a forza di sentirlo, ha finito per folgorarmi.
Iniziai ben presto a contestualizzare quei materiali musicali, ritratto di un'epoca lontana, con documenti storici riguardanti tutti gli argomenti e di tutti i tipi. Questo durò fino a quando decisi di creare la collana "Fonografo italiano" (Fonit Cetra n.d.r), che comprende materiale dagli inizi dell'incisione discografica alla fine della Seconda guerra mondiale.
D: Mi racconti la nascita della collana e come ebbe la possibilità di farla pubblicare dalla Fonit Cetra.
R: Dopo aver collezionato tutto quel materiale, mi venne in mente che l'avrei potuto condividere con altre persone. Il fatto era che i discografici erano interessati a pubblicare uno o due dischi 33 giri, ma io per otto anni avevo inseguito una casa discografica che mi facesse fare una pubblicazione generale di cinquanta lp, perché alcune antologie generiche erano già state sfornate. Oltretutto mi sembrava anche di fare un torto a cantanti e canzoni che, se sparite, non sarebbero mai stati conosciuti. Tra i fenomeni di marginale interesse per questo repertorio, va ricordato il caso di Monica Vitti che impazzì per il repertorio di Ria Rosa (interprete della canzone napoletana anni '20-'30 n.d.r.), pensando di dedicarle anche un lp.
La casa discografica che credette nel progetto, che secondo alcuni è stato di proporzioni esagerate, fu la Fonit Cetra. Devo qui ricordare un amico, che non è stato mai citato, Sergio Bardotti, il quale portò la proposta alla casa editrice che la approvò. Il problema fu che, quasi subito, Bardotti fu mandato via dalla casa discografica e gli subentrò Ugo Gregoretti, che si prese il merito di aver concepito "Fonografo italiano", non dandomi nessuna rilevanza.
D: Come nasce in lei la passione per la canzone napoletana?
R: Ai tempi di "Fonografo italiano" io dovetti sacrificare molta canzone napoletana, quindi io la sto scoprendo adesso, perché, in questo archivio virtuale, noi possiamo immettere di tutto senza scelte obbligate.
Mi dispiace moltissimo che, ai tempi del "miracolo economico", si siano buttate tonnellate di vecchi dischi senza che nessuno lo sapesse.
D: Lei possiede degli apparecchi di riproduzione di dischi d'epoca?
R: Sì ma ne ho pochissimi, comperati occasionalmente a prezzi stracciati. A me interessa la storicità ritrovata nei materiali "minori". Infatti possiedo anche molti opuscoli e molte pubblicità d'epoca.
D: E la sua attività di archivista?
R: Io inizialmente volevo fare del cinema, ed iniziai a collaborare con una rivista intitolata "Cinema e film" diretta da Pier Paolo Pasolini, per la quale, oltre ad essere il segretario di redazione, scrivevo alcune recensioni. Dopo il sservizio militare iniziai a collaborare con la televisione, facendo il regista, ma ogni volta si scopriva questa mia passione per i materiali del passato. Ho curato, una trentina di anni fa, una serie intitolata "Come eravamo", dove, attraverso le testimonianze di coloro che avevano vissuto fatti storici importanti e materiali sonori d'epoca, si raccontava la storia d'Italia. Ho anche curato alcune serie per l'Istituto Luce, e, in generale ho girato tutti gli archivi nazionali, incluso quello diaristico, da cui ho tratto spunto, insieme a miei collaboratori, per una serie di documenti usciti in edicola.
Come arriva all'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana?
R: L'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana è stato creato dalla Rai per due motivi: innanzitutto per dare una prospettiva ai numerosi tecnici del centro rai del capoluogo campano, da cui in quegli anni si era iniziato a trasmettere solo i notiziari regionali. La seconda ragione è anche quella di far avverare un antico sogno napoletano, quello che da circa un secolo auspicava una seria conservazione della canzone cittadina. Io fui invitato da Antonio Bottiglieri che, quando fu stipulato il patto fra la Rai e le amministrazioni locali per la nascita dell'archivio, ricordandosi della mia passione per il materiale storico, mi fece questo regalo.
D: Come reperite i materiali dell'Archivio Sonoro della Canzone napoletana?
R: Inizialmente abbiamo deciso di riunire tutto il materiale sparso per le varie sedi Rai, evitando così che fosse buttato via, cosa che avveniva fino a poco tempo fa. Subito dopo ci siamo dotati di una cerchia di collaboratori esterni che, cosiccome tutti noi, apporta sempre materiale nuovo all'archivio, dove ormai non viene immesso solo materiale audio. Attualmente, con il numero di donazioni fisso di duecento brani napoletani all'anno a testa, si è arrivati ai quarantunmila titoli. Io, anche se ormai sono in età abbastanza avanzata, spero di vedere il traguardo dei centomila.
Attualmente è molto più facile reperire materiale sulla canzone napoletana all'estero piuttosto che in Italia, perché la melodia partenopea viene considerata un semplice prodotto regionale, mentre si ignora che essa sia stata ciò che di meglio l'Italia abbia saputo dare musicalmente da molto tempo. Va poi ricordato che molti autori italiani, specialmente anni '20-'30, erano d'origine napoletana o nascevano artisticamente a Napoli.

domenica 11 ottobre 2009

Commento alla puntata del 10 ottobre 2009 di Canzonenapoletana@rai.it".

Carissimi lettori, ecco qui il commento all'ultima puntata dedicata ad Armando Gill.
Ed eccoci ad un brano, che ascoltiamo in incisione anni '20, intitolato "E allora".
Il brano è interpretato da uno dei più grandi macchiettisti di quel periodo, il cantante Roberto Ciaramella. La voce è tenorile, ma non lirica, comunque potente. Il brano è prevalentemente recitato, permettendo forse di carpire meglio lo spirito macchiettistico, ma io vi consiglio di sentire, se volete ascoltarlo con buon audio, le versioni di Roberto Murolo o di Egisto Sarnelli, altro chitarrista dalla voce un po' sporca ma bellissima.
Ed ecco una "Dorce sirinata" interpretata da Nino Taranto. La voce del cantante è come presa da qualche problema, ma questo è il canto "macchiettistico napoletano".
Eccoci a "Palomma", interpretata con molta sobrietà, sempre negli anni '20, come "E allora", da Raffaele Balsamo. La canzone è bellissima ed è, come ha detto Paquito del Bosco, la più malinconica della produzione di Gill, ma la malinconia è nascosta, e bisogna capire il dialetto per reperirla. Insuperabile, almeno per me, è la versione di Sergio Bruni, buona è anche quella di Mario maglione.
Va detto, però, che l'ultima produzione di Armando Gill, è entrata nella storia con la parte più leggera.
Ed ecco, sempre interpretata da Nino Taranto, "Attenti alle donne". La versione di Taranto è bellissima, perché, questo manuale su come vanno trattate le donne, condito ovviamente da un bel po' di maschilismo, sembra vicinissimo. Ottima è, secondo me, l'interpretazione di Vittorio marsiglia, ultimo grande interprete della "macchietta"" napoletana.
Ed ecco Roberto Ciaramella, grande attore e, forse, anche un po' trasformista, che interpreta "La donna al volante". La versione è bellissima perché, anche qui, si riesce a capire l'atmosfera di favoletta, con tanto di morale. Voglio consigliarvi di sentire, anche se forse è un po' troppo cantata, quella di Roberto Murolo.
Ed ecco Vittorio marsiglia che, dal suo "Macchiette e canzoni", cd che vi consiglio caldamente, canta"Tramway n.3". La voce di Marsiglia è meravigliosa, unica per interpretare le macchiette che, nonostante quello che faceva Murolo, non vanno molto cantate.
Ed eccoci a Roberto Murolo, che ci interpreta "Villeggiatura a Capri". Il brano risale a quel bellissimo doppio "Come rideva Napoli", che ora è completamente irreperibile. Questo cofanetto, ristampato una decina di anni fa in cd singoli e senza libretto, E' un ritratto meraviglioso, basato più sugli interpreti originali che sugli autori, della "macchietta napoletana", che poi Murolo ha continuato anche con "L'umorismo nella canzone napoletana". Oggi questo materiale è ristampato in un doppio cofanetto, assolutamente non all'altezza dei materiali originali perché è un miscuglio di inediti di bassa qualità e brani conosciuti catalogati senza alcuna filologia, intitolato "Canzoni umoristiche napoletane".
Comunque, ascoltare questo repertorio permette di sfatare il luogo comune della canzone napoletana sempre triste: riascoltate Gill e ridete a crepapelle!

venerdì 9 ottobre 2009

"Danzimania" e dintorni (il cd degli Arakne ed altro).

Carissimi lettori, è con molto piacere che torno a parlare degli Arakne Mediterranea, uno dei gruppi più apprezzabili della ripetitiva, e spesso noiosa, scena musicale salentina, in quanto, e questo va loro riconosciuto al di là di eventuali gusti personali, hanno saputo impostare, grazie a Giorgio di Lecce, che li ha fondati nel 1993, una ricerca estremamente personale.
Infatti, ed il cd "Danzimania" di cui vi parlerò è il frutto, oltre ad interpretare il repertorio contadino, il gruppo spesso ha ripreso antichi spartiti e ne ha vivificato le note.
E' il caso di questa "Tarantella di Foriano Pico", brano in modo lidio, ossia alternato tra maggiore e minore, con un giro simile a quello della "Montanara" carpinese, se non fosse appunto per questa "intrusione" del modo maggiore.
Le stesse atmosfere, forse ancora più precisamente, sono ricalcate dalla seconda traccia, ancora una volta risalente al XVII secolo. Il brano è diviso almeno in tre parti, infatti gli Arakne lo intitolano "I, II, III modus tarantella". Il ritmo, secondo i nostri standard di velocità, è più facilmente collegabile alla tammurriata campana, forse con colpi più secchi. Interessantissima è la tecnica della chitarra battente, strumento "re" dello stile degli Arakne, che qui fa particolarissime rullate leggere, talmente immesse negli accordi che vanno ricercate con grande fiuto.
La terza traccia è uno dei "classici" del repertorio popolare barocco, la bellissima "Antidotum tarantulae", che qui ha come titolo principale "Aria turchesca". Il gruppo ne esegue una versione leggermente accelerata rispetto a quelle più comuni, e forse questo aumento di ritmo fa perdere un po' di suggestione al brano, ma queste sono solo opinioni personali. Perfetta è, secondo me, l'interpretazione data di questo brano dai Musicanti del Piccolo Borgo, come introduzione ad una serie di tarantelle campane.
Ed ecco l'"Ottava siciliana", una delle tre tracce cantate di questo disco. Anche questa, come quasi tutto questo cd, risale al XVII secolo, ed è stata ripresa da uno degli studi di Attanasio Chircher, uno dei primi studiosi del tarantismo, al quale dobbiamo la conservazione e la pubblicazione di alcune musiche.
Questo brano si conclude con una variazione un po' arabeggiante, di grande atmosfera, ma forse non fondamentale.
Ed eccoci ad un altro dei "classici barocchi" della musica popolare salentina, la "Tarantella frigia". La partenza è più lenta rispetto ad altre rielaborazioni, ad esempio quella del Canzoniere Grecanico Salentino in "Canti e pizzichi d'amore". Gli Arakne, per quanto vi insinuino la modernità della terzina da pizzica, per niente mitigata, dimostrano la voglia di far vivere all'ascoltatore atmosfere diverse dalle moderne, ed il desiderio di farci sospettare che non sempre la musica salentina è stata come la conosciamo noi. Questo è un merito che va riconosciuto loro, anche se, da questo punto di vista, forse, la versione più mirabile è quella dell'Ensemble Terra d'Otranto, contenuta nel cd "Danzare col ragno".
Ed eccoci ad un altra tarantella che prevede l'"intrusione" di un accordo maggiore in una scala di struttura minore. Anche qui la chitarra battente dimostra le sue insuperabili doti armonico-ritmiche, suonando come un clavicembalo, con un "continuo" rigoroso e discreto. Va detto che questo repertorio ha una ricchezza armonica veramente invidiabile, che permetterebbe anche ai signori dell'innovazione ad ogni costo, di creare cose veramente innovative che, però, saprebbero infinitamente d'antico.
Ed eccoci ad "Alia clausula", brano con cui il gruppo apre, da diverso tempo, i propri spettacoli. Interessantissime, nell'accompagnamento della chitarra battente, le settime minori che dànno un'aria di modernità segreta a questo brano che sennò è completamente immerso in un'atmosfera che non c'è più.
Bellissimo l'accompagnamento delle percussioni, che si prodigano in complicati tempi che, nonostante il loro innegabile virtuosismo, non disturbano mai un quieto ascolto delle altre parti strumentali.
Un altro "classsico barocco" della tradizione del sud Italia è la "Tarantella del '600", resa celebre negli anni '70 dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare. Si direbbe che la versione degli Arakne è meno etnica e più fedele, forse anche perché, oltre a questo "modo minore", si eseguono in questa traccia altre tarantelle meno note, che quindi vanno eseguite con una maggiore fedeltà alle atmosfere di origine, per quanto noi, uomini forse troppo lontani da quel periodo, ne possiamo capire.
Il set di percussioni permette all'orecchio di immergersi in un'atmosfera favolistica, molto colta e, direi, anche un pochino alterata.
Ed eccoci tornati all'inizio del giro, eccoci ad un altro accenno di questa tarantella classica, asciugata dai pretesi virtuosismi del mandolino della nuova Compagnia di Canto Popolare.
E dopo aver accennato al patrimonio del XVIII secolo, perché effettivamente qui si parla di tarantelle settecentesche, si arriva al 1819, anno a cui si fa risalire questa aria romantica. Qui già ci si avvicina agli attuali schemi della pizzica basata su un'alternanza fra tonica e dominante, e si accenna, addirittura, ad uno dei passaggi della "Tarantata" di Stifani.
Nonostante la maggiore vicinanza nel tempo, gli Arakne non semplificano il loro set percussivo, che oltre che da un tamburello, è composto anche da un'imperioso tamburo muto, dal suono lungo e grave.
Gli ultimi due brani del cd risalgono al XX secolo. La prima è la "Taranta di Lizzano", chiamata dagli Arakne "Ci è taranta". Per gli ultimi due brani non si è potuto già prescindere dal canto tellurico di Imma Giannuzzi, che però sa rispettare l'intimità di questo lavoro.
Questa, tra quelle che io conosco, è la migliore versione di questa tarantella, basata, come molte delle precedenti, sull'alternanza tra accordi maggiori e minori.
Il cd si chiude con una versione della "Pizzica tarantata", intitolata "Taranta rintesa", caratterizzata dall'intrusione della chitarra-basso che esegue un giro di Viestesana garganica, caratterizzato da un accordo di diminuita, che gli conferisce un "modo misto".
Questo brano, per la verità, è una rielaborazione della "Pizzica taranta" di "Tre tarante".
Spero di avervi fatto venire un po' di curiosità su questo cd, e, perché no, spero di aver contribuito a far capire ai salentini che, oltre e prima di comporre brani nuovi, va riscoperto tutto il passato di una musica, per poter comporre con maggiore libertà e senza tracotanza od esagerazione.

mercoledì 7 ottobre 2009

Viva la Corte!

Carissimi lettori, questa sera mi va di esulare dall'argomento musicale, per commentare questa bellissima decisione della corte costituzionale, con cui si è dichiarato illegittimo il Lodo Alfano, legge che permette alle quattro cariche più alte dello Stato di essere immuni da processi.
In teoria, si dice che l'immunità sia temporanea, ma credo che, con la prescrizione, questa possa anche aspirare ad essere eterna, lasciando quindi le "mani legate alla giustizia".
Il "grande capo", all'uscita della sua residenza romana, invece di prendere atto di una decisione liberamente presa da una squadra di giuristi sicuramente affermati, ha detto che il verdetto dimostrava faziosità, e che la legge è giustissima.
Il ministro delle riforme, grazie al quale un salentino potrà prestissimo dire "tra picca cu vau Milanu me bisogna lu passaportu" (citazione da "Scusati signori" degli Aramirè in "Mazzate pesanti", rielaborazione moderna di brano tradizionale), ha già dichiarato guerra alla faziosa consulta, la quale non concepisce, giustamente, che la sua costituzione sia messa sotto assedio.
Io, in tutta sincerità, penso che in qualsiasi altro paese un capo del governo con tali abitudini legiferine, ha una grande coscienza sporca: "Se fa prescrivere ogni reato, se fa annullar tutti i processi, rafforza il dubbio, già ben fondato, che quei reati li ha commessi!" (Fausto Amodei, da "Per fortuna c'è il cavaliere").
Credo anche che un capo del governo, anche solo minimamente indiziato di qualche crimine, sarebbe mandato via senza pietà. Da noi, però, con il popolo dalla memoria cortissima che si lascia facilissimamente abbindolare da chiunque, costui, in questo caso colui che "si sacrifica per noi", dopo appena qualche anno d'opposizione intransigente, intollerante ed ingiusta, è potuto tornare al governo, promettendo la luna a chi l'avesse votato.
Il "gran stratega", forse si è scordato che, se è tornato ai posti di comando, non è solo per suo merito, ma anche, e forse soprattutto, per demerito nostro.
Quando noi eravamo al governo, e io questo lo ammetto, non abbiamo saputo creare sintonia fra noi e la gente, cosa fondamentale per questa fantapolitica imperante.
Voglio concludere chiedendovi scusa, ma quando bisogna esulare si deve farlo, e da qui grido il mio personale "Viva!" alla Corte Costituzionale.
Attenzione: Le citazioni non identificate, venivano da "A mammata", brano dedicato a Berlusconi da Cinzia Marzo, e contenuto in "Maledetti guai" ultimo cd dell'"Officina" pubblicato per la Polosud. Cinzia, nello scrivere il testo, in lingua italiana, si è ispirata a molte parti de "La vera apologia di Socrate". E' da notare come i classici, più civili di molti di noi, tenessero a cose di cui oggi a questa società rampante non importa nulla!

martedì 6 ottobre 2009

Fado português (A Amália).

Carissimi lettori, anche oggi apro il mio diario, questa volta per ricordare un''artista a cui devo tanto che, in un giorno come questo, dopo una lunga lotta con la malattia ci lasciava.
Mi riferisco alla fadista portoghese Amália Rodrigues. Probabilmente, se non ci fosse stata questa triste circostanza, io non l'avrei scoperta. Mi ricordo benissimo la sensazione che ebbi quel giorno, quando dalla radio spagnola suonavano le note di una musica, per me sconosciuta, che si chiamava Fado e che, ben presto, sarebbe diventata uno dei punti di riferimento della mia vita di ascoltatrice e di musicista un po' presuntuosa.
La voce d'Amália, che anche ora mi sta facendo compagnia durante la compilazione di questo scritto, mi colpì per la sua limpidezza perfetta, senza sconti, che non avevo mai trovato e non avrei mai ritrovato successivamente in nessuna delle cantanti che avrei scoperto. Infatti, se confrontiamo la struttura timbrica della portoghese con quella ad esempio di Cinzia Marzo, che avrete capito essere una delle mie voci preferite, se non la mia preferita tra le femminili del folk italiano, scopriamo che Amália, quantomeno nei suoi primi trent'anni di carriera, anche se io non considero più di tanto le sue primissime incisioni, aveva un timbro semplicemente limpido, anche se di una potenza disarmante, mentre Cinzia, a seconda di ciò che canta, ha un timbro fortemente, se non completamente, diverso.
Tornando ad Amália, e scusate, voglio subito togliermi un rospo dall'anima. Chi la conosce un minimo, sa che lei, a partire dal bellissimo "Bobino 1960", live registrato nel teatro parigino di Bobino, ha iniziato a cantare brani in altre lingue e ad inserire nei concerti, oltre al Ffado, altri repertori, in quel caso soprattutto la copla spagnola, ovviamente opportunamente "afadistados", perché lei, contrariamente alle fadiste d'oggi, è prima fadista che star internazionale. A partire dagli anni '70, dopo l'incontro con Franco Fontana, avvocato che per lei lascerà l'attività forense e diventerà agente artistico, inizierà a cantare canzoni italiane a cui noi, dopo aver risposto per qualche anno, ossia quando andava di moda il folk serio come Otello Profazio, con ovazioni e molte opportunità come i duetti con Maria Carta e Rosa Balistreri, iniziamo ben presto a dimostrare il nostro, veramente proverbiale, menefreghismo. Questo si è dimostrato ancora più forte, ed è una vergogna accresciuta, quando lei morì perché nessuno, a parte Enrico Vaime dal suo "Blackout" e Fernando Fratarcangeli dalla parte musicale del programma sportivo "Zona Cesarini", la ricordò, facendomi pensare che da noi non fosse neanche conosciuta.
Voglio confessarvi una cosa. Ho parlato della limpidezza del timbro che mi folgorò la prima volta che sentii la voce della Rodrigues, ma, in verità, io la preferisco quando, a partire dalla fine degli anni '70, il suo timbro inizia a diventare più stanco, traducendo meravigliosamente quella tristezza profonda che lei viveva tanto e di cui riempiva moltissimi dei suoi versi.
A voi, lettori, comunque voglio consigliarvi alcuni album da poter ascoltare e, magari, acquistare per farvi ritornare alla mente questa voce così semplice e complicata.
Meraviglioso è il già citato "Bobino 1960", pubblicato in lp da un'etichetta francese, per la quale Amália aveva provvisoriamente lasciato, tra il 1957 e il 1960, la sua fidata Valentim de Carvalho. E' un disco live dove, contrariamente al molto più conosciuto "Amália no Olympia" pubblicato anche come "Amália Rodrigues in concert", c'è una vera comunione tra l'artista ed il pubblico.
Interessante è anche "Fados 67", pubblicato anche con il titolo di "Maldição", dove la fadista è accompagnata da quello che secondo molti cultori del Fado è il miglior gruppo d'accompagnamento mai esistito, il Conjunto de guitarras de Raul Nery.
Per quanto riguarda l'esperienze e le passioni italiane di Amália, sono bellissimi, ma purtroppo quasi introvabili, "A una terra che amo", lp del 1973 con alcuni brani della tradizione popolare italiana, prevalentemente meridionale, "afadistados" benissimo, e "Amália in teatro, live registrato al Sistina di Roma, dove Amália racconta il fado e la tradizione rurale portoghese, a cui lei si è altrettanto dedicata perché la sua famiglia veniva da una delle più ricche regioni in quanto al folklore, in un italiano simpaticissimo, ma, vi giuro, che si impara ad amare semplicemente e profondamente questa cultura, molto più che se si leggono moltissimi studi.
Meravigliosi, infine, sono due dischi degli anni '80 intitolati rispettivamente "Gostava de ser quem era" e "Lágrima", composti completamente da poesie d'Amália, mirabilmente musicate dai suoi chitarristi. Se farete questo percorso nella discografia d'Amália così come io ve l'ho consigliato, la conoscerete bene, senza tediarvi.
Fra i tributi che le sono stati fatti, particolarmente bello è il cd strumentale "Guitarras cantam Amália" della collezione "lisboa cidade de Fado", registrata da un "conjunto" d'eccezione: Paulo Parreira alla chitarra portoghese, Joáo Veiga alla chitarra classica e Joel Pina, bassista storico della fadista, alla chitarra-basso.
Spero d'avervi fatto venire curiosità e voglia di scoprire, finalmente, questa voce del Portogallo e del mondo intero.
Viva Amália!

lunedì 5 ottobre 2009

Duerme negrita (A Mercedes Sosa).

Carissimi lettori, oggi devo scrivere uno dei post più tristi di questo blog, per ricordare un'artista a cui devo molto, che mi tiene compagnia da ormai vent'anni, la cantante argentina Mercedes Sosa, che ieri, dopo una lunga malattia ci ha lasciati.
Mercedes Sosa era un'autentica cantrice popolare che, a partire dagli anni '80, aveva iniziato a ritrovare gioielli anche nella musica d'autore in lingua spagnola, la quale, d'altronde, non gira così brutalmente e stupidamente le spalle al folklore.
La scoperta di Mercedes Sosa, per me, è legata ad un ricordo risalente alle mie scuole elementari, in cui, come compagne di scuola, avevo due sorelle figlie d'un argentino, il quale, alla mia richiesta di musica della sua terra, mi mandò una cassetta con il meglio, selezionato da lui dai cd "Treinta años" e "De mí", di questa cantante del nord del paese, zona per niente toccata dal tango.
Il primo repertorio della cantante, infatti, quello cantato nei suoi primi vent'anni di carriera, approssimativamente, è costituito da brani della tradizione del nord dell'Argentina, e, soprattutto, da brani d'autore ispirati a quei ritmi. Di quel periodo è "Mercedes Sosa interpreta a Atahualpa yupanqui" (1971) o l'omaggio a Violeta Parra, grande artista cilena che ha fatto nascere il movimento sul folklore di quel paese, da cui, quasi subito, partì la coscienza in tutta l'America spagnola.
Mentre scrivo sto riascoltando un disco che ebbi poco dopo averla scoperta sempre da qualcuno di questi argentini che, con gentilezza ed orgoglio, hanno radicato in me l'amore profondo che ho per la loro terra.
Il cd, intitolato "Amigos míos" e risalente al 1988, non è sicuramente tra i migliori né è poi così fondamentale per la scoperta di questa voce argentina, ma io, ci sono molto legata.
Venendo tecnicamente a parlare un po' del timbro di questa cantante, una delle poche "indias" argentine che soffrendo è riuscita ad emergere, è un timbro scuro, segretamente dolce che, almeno secondo me, dà il massimo di sé quando canta ritmi popolari delle sue parti, ossia quasi sempre.
I dischi che io consiglierei per scoprirla sono: "Gestos de amor", "Live in Argentina" (emotivo concerto tenuto a Buenos Aires poco prima della fine della dittatura che le aveva dato tanti problemi. Bellissimo per la comunione di festa e di lotta che si crea tra il pubblico e la cantante); "Treinta años", raccolta molto buona e completa.
In questa epoca in cui pare che puntare sull'incrocio di musica d'autore e popolare debba sempre arrivare alla morte totale della seconda in favore di desuetissimi schemi pop, riascoltare anche solo questo "Amigos míos", dimostra che c'è un'altra strada, e c'è chi la persegue senza tradirsi.
Si può dire che Mercedes Sosa sia stata, forse come nessun altra, la voce della fratellanza di un continente che ora la sta piangendo fortissimo. Con la sua sincerità ha raprpesentato una bandiera di coerenza, virtù che ora è latitante.
L'ultimo repertorio di Mercedes Sosa, lo dico con sincerità, mi vibrava meno, forse anche perché io stessa ero cambiata, ma riascoltarla mi sta facendo molto piacere, e probabilmente sarebbe stato questo che lei avrebbe gradito.
Dovete scusarmi se questo post è un collage di sensazioni e divagazioni personali, non riuscendo forse a raccontare ciò che sento e provo nell'ascoltare questa grandissima cantante, ma meglio non posso fare.
Se qualcuno dopo averlo letto avrà deciso anche solo di tentare la fortuna e comperare qualche disco, avrò ottenuto il mio obiettivo, che è poi solo quello di far continuare a vivere questa artista che, tra le altre sue passioni, aveva anche l'Italia. E' da ricordare, infatti, nell'album "Sino" dell'inizio degli anni '90, l'interpretazione, non eccezionale comunque, di "Caruso".

domenica 4 ottobre 2009

Commento alla puntata del 4 ottobre di "Canzonenapoletana@rai.it".

Carissimi lettori, le promesse sono promesse, quindi ecco il commento alla seconda puntata del ciclo su Armando Gill della trasmissione "Canzonenapoletana@rai.it".
Si inizia con un brano del 1918, intitolato "'O zampugnaro 'nnammurato", che, in 78 giri, per la sua durata di cinque minuti, era inciso su entrambe le facciate del disco, insomma diviso in due parti, come le ballate di alcuni cantastorie, si pensi alla sfiziosa "La signurina curridura" del siciliano Orazio strano, che scrisse ballate durante molto tempo.
La versione di Armando Gill di questa suacanzone è molto tragica, d'altronde è la storia di uno zampognaro che, andando a Napoli e innamorandosi di una ricca signora, si scorda della sua innamorata lasciata ad Avellino, la quale, pensando che lui ormai l'abbia tradita, si dispera perché non può sposarsi. Qui Gill, con il suo già descritto stile tragico, rende benissimo il contenuto del testo, anzi, forse questa è la versione migliore da sentire per capirne lo spirito.
Subito dopo si ascolta una delle mie canzoni napoletane preferite, il brano, scritto nel 1919 "Bella ca bella sì".
La versione di Gill, con i suoi alternati recitativi e cantati, non mi convince più di tanto, in quanto, essendo una serenata, mi pare che questa struttura di canto dà al brano un'esagerata teatralità che non gli è propria.
Insuperabile, tra le interpretazioni recenti, forse non troppo, è quella di Giulietta Sacco.
Ecco una delle canzoni forse meno conosciute di Armando Gill, "Varca d'ammore". Uno dei pochi che l'ha interpretata, che io sappia, è stato Giuseppe Di Stefano. L'interpretazione di Gill, questa volta, è perfetta, veramente si riesce a vedere questa barca che, come spesso accade nella canzone classica napoletana, è considerata il miglior rifugio per il casto amore di cui si parla. L'amore nella canzone napoletana, infatti, è quasi nascosto, anche quando è protagonista delle canzoni, perché chi poi finisce per avere il ruolo principale è la musica insieme al mare e la psicologia dell'innamorato.
Del 1920 è "Piererotta", ritratto bozzettistico di questa festa laico-religiosa che è stata così importante per il passato della canzone napoletana, che forse sarà importante anche per il suo futuro. La versione che stiamo ascoltando di questa canzone è affidata al grandissimo Nino Taranto, ed è una incisione, ridotta piuttosto male in verità, risalente agli anni sessanta. Esiste anche un'interpretazione di Massimo Ranieri, ma è troppo teatrale.
Ed eccoci ad una spassosissima tarantella, in verità prende questo ritmo solo nella seconda parte delle strofe, intitolata "Detti napoletani". E' una serie di proverbi o di modi di dire che andavano di moda nella Napoli innocente e pittoresca tanto amata da Murolo o Di Giacomo. L'interprete del brano è stata Mirna Doris.
Adesso stiamo avendo un piacevolissimo intermezzo, che Paquito del Bosco ha paragonato alla "Rumba degli scugnizzi" di Raffaele Viviani, intitolato "A messa". Se il brano di Viviani comunque finisce per avere un ritmo ed un'armonia musicale, per lo meno nelle versioni eseguite in questi ultimi quarant'anni, insuperabile è quella di Sergio bruni, questo brano è puro teatro, nel senso che Gill sta imitando, con quell'innocenza tipica di quegli anni, le beghine che, con il pretesto di assolvere i loro doveri religiosi, vanno a sparlare del paese e dei loro vicini di casa in chiesa.
Se proprio devo cercare un paragone per farvi capire l'atmosfera del brano, penserei ad Ettore Petrolini, a quello di Fortunello.
Siamo arrivati alla fine, e ci arriviamo con un collage sulle caratteristiche dominanti delle donne nelle varie regioni. Potrei paragonarla, senza l'impietosità, a "Si presenta" tarantella del grande Domenico Modugno. Il brindisino, forse, ha approfittato un po' troppo di desueti luoghi comuni, mentre Gill utilizza una maggiore innocenza, una maggiore dolcezza.
Spero che vi sia piaciuto questo commento e, signori, sempre viva Napoli!