giovedì 30 settembre 2010

Auguri Renato!

Carissimi lettori, oggi devo scrivere un articolo unpo' speciale e molto leggero, pieno d'emozioni e gratitudine nei confronti d'un cantante che io amo da almeno diciott'anni, a cui credo di non aver dato spazio sufficientemente in questo blog. Mi riferisco a Renato Zero,artista che in questo giorno compie sessant'anni.

Conobbi Renato Zero da bambina. Avevo nove anni quando lo scoprii, tutto partì dal fatto che segretamente amavo una sua canzone intitolata "Il cielo" e tratta dal disco "Zerofobia" (1977). Chiesi, più per curiosità che per altro, un'incisione su cassetta di questo disco (era lontanissima la mia conversione al digitale!).

Mi ricordo ancora la meraviglia che mi causò ascoltare questa voce, soprattutto mi ricordo della folgorazione che mi provocò il brano "Vivo", che tutt'ora resta quello che io amo di più di tutto il repertorio di Zero. Credo che quello che mi folgorò fu una ricchezza melodica meravigliosa oltre ad una voce perfetta.

Da lì ebbi una serie di cassette, il cui ordine ho ormai scordato. Comunque rammento benissimo"Quando non sei più di nessuno", album che poi non so perché non ho mai ricomprato in cd (e non si può dire che non mi piaccia!).

Se ne dovessi parlare risalterei soprattutto la giocosità presente in brani come "Amore al verde" o "Pipistrelli", oltre all'imponente bellezza di canzoni come "E ci sei", Il ritorno", soprattutto "Una magia".

Rispetto a ciò che Renato aveva fatto precedentemente forse è un disco dove c'è un po' troppa elettronica, incluso un piano elettrico che sostituisce quello classico perfino su "E ci sei", la più orchestrale e classica del disco insieme a "Figli della guerra".

L'altra musicassetta che ricevetti in quel periodo è un disco che ora è uno di quelli che mi fa più compagnia, anche perché contiene una delle poche canzoni di Renato Zero che ho inserito nel mio repertorio. Mi riferisco a "Erozero", album del '79 che conteneva la giustamente celeberrima "Il carrozzone", ballata meravigliosa, ritratto del mondo sincero ma poetico come pochi. Quel disco, però, secondo me conteneva un gioiello ignorato intitolato "La rete d'oro", brano per il quale Renato non ha fatto abbastanza. Figuratevi che da quando lo seguo live (e le date che ha fatto a Perugia dal 1996 le ho viste tutte!) non l'ha mai eseguita. Quell'lp comunque è di un'imponenza in tutti i sensi quasi insuperabile.

Molto speciale è anche "Tregua", doppio che conteneva brani molto famosi come "Amico". Il disco è speciale perché loricevetti quando facevo le elementari, insiemead un altro altrettanto fondamentale anche se forse meno riuscito a livello di musicalità. Mi riferisco a "Trapezio", di cui amo le melodie ma non condivido molti arrangiamenti, basi troppo rock su temi dalla forte impronta classica.

Da questo disco sono bellissimi alcuni brani come "Motel", "Salvami", "un uomo da bruciare", forse anche qualche altra che mi sfugge. A parte vanno citate le tre "ripescate" dai due precedenti lavori di Zero "No mamma no" (1973) ed "Invenzioni" (1974). Bellissima, ma forse un pochino ignorata, è "Inventi", resa immortale nel live "Icaro", altro disco fondamentale del mio rapporto con Zero.

Anche questo doppio disco, attualmente introvabile su cd che io sappia, mi arrivò nello stesso periodo, ormai nonricordo più tramite chi. Comunque è meraviglioso e le pecche sono poche, anche se si sente forte la mancanza dell'orchestra. Bellissima è la versione che apre il disco 1 di "niente trucco stasera". Meraviglioso è il pianoforte che fa da perno di tutto il brano, permettendo forse al testo una maggiore solennità.

Bellissima è la già citata "Vivo", eseguita solo con il pianoforte di Stefano Senesi. Le pecche sono una "Triangolo" forse esageratamente forzata, soprattutto una "Madame" purtroppo spinta verso vette di rock esagerato per qualsiasi italiano che non voglia tradirsi dentro.

Mi è indifferente, anche se ne riconosco la forza "Leoni si nasce" del 1984, mentre adoro "Via tagliamento 1965-1970", di cui però conosco bene solo il primo volume. Non credo che a questo disco sia toccata una sorte degna della sua bellezza, mi riferisco soprattutto a brani come "Piper club", "Niente", "Ragazzo senza fortuna" o "Che bella libertà". È un disco dove l'elettronica non soppianta gli strumenti acustici, si mette umilmentete e rispettosamente al loro servizio. Il brano "Ragazzo senza fortuna" va segnalato per una bellissima parte di chitarra classica, oltre che per un testo dove, anticipando "Artisti" e soprattutto la bellissima, recente e giustamente famosa "Ancora qui", Renato racconta con la sua solita sincerità disarmante i suoi inizi di carriera al "Piper club", luogo che comunque in questo lp ha una ballata a lui dedicata ripresa ben due volte (se non erro!).

Un'altra storia un po' speciale riguarda "Prometeo", secondo live di Renato uscito nel 1991 dopo la sua partecipazione a Sanremo (che io sappia!). Lì l'unica pecca è "Inventi", che diventa un po' troppo rock, ma in un cd con un totale di 23 tracce si può straperdonare anche pensando a "Spalle al muro", il bellissimo e anch'esso giustamente famoso brano scritto da Mariella Nava e portato dal nostro al Festival di Sanremo 1991 (che tempi!).

Il brano in un certo senso anticipa quella che sarà poi la tematica di un altro classico dell'ultimo repertorio di Zero, la ballata "Nei giardini che nessuno sa". La mia storia privata con il cd "Prometeo" riguarda il primo volume di questo doppio cd, che mi fu prestato in cassetta, in una copia che io poi non credo di aver mai ridato al suo legittimo proprietario. Questa persona, che se leggesse si riconoscerebbe perfettamente, me la prestò ad uno scopo ben preciso, affinché io imparassi "Amico", ballata che poi io le cantai anni e anni dopo emozionandola molto.

Dal 1994 in poi faccio collezione di tutti gli album in formato tradizionale di Renato, purtroppo non seguo la videografia per motivi legati alla praticità del formato che per me è praticamente nulla, sia esso vhs o dvd (il problema èche tra i video pubblicati di Zero ce n'è uno che ritrae fedelmente la tournée del 1996, la prima che vidi, dove io capii che questo artista non era un artista da studio ma un animale da palco).

Voglio concludere questo distillato disordinato di storie sorcine con un piccolo accenno ad un album a cui si è fatto prevemente riferimento nelle righe precedenti,ossia all'imperfetto.

l'album era presentato da Renato Zero su Radio Italia solo musica italiana durante la settimana della sua pubblicazione.Il giorno della sua uscita mi precipitai dalla mia negoziante di fiducia e fui la prima cliente della giornata. Chiesi questo disco e glielo feci tirare fuori direttamente dagli scatoloni dei nuovi arrivi! Che emozione!

Non ho voluto fare un ritratto di Renato Zero, ho preferito fargli gli auguri con undistillato di mie "storie sorcine" che ho voluto condividere con voi.

Auguri Renatone!

sabato 18 settembre 2010

Fiorella Mannoia a Verona

Carissimi lettori, questa sera scriverò una recensione tra le più belle ed inaspettate che mi sia capitato di scrivere. Si parlerà di un concerto che Fiorella Mannoia ha tenuto all'Arena di Verona il 12 settembre. Questo concerto è stata la maniera che Fiorella Mannoia ha trovato di presentare il nuovo cd, intitolato "Il tempo e l'armonia"., uscito a meno di un anno di distanza dal bellissimo "Ho imparato a sognare". Il programma è iniziato con un'intervista alla cantante che nel parlare dimostra la stessa sensibilità ammaliatrice che sfoggia quando canta una qualsiasi canzone.

Mi è difficile riassumervela, quindi passo immediatamente a parlarvi del concerto, che ha un inizio a dir poco folgorante, infatti si parte con "I treni a vapore", una delle canzoni della Mannoia che ha cullato la mia infanzia. In questa occasione, dicciott'anni dopo la sua incisione originale, le atmosfere pop si rarefanno per dare finalmente rilievo a questa anima etnica che il brano di Fossati aveva sempre avuto, ma nell'interpretazione della Mannoia era rimasta come un silenzio. La voce della cantante si è ormai un po' incrinata, ma continua ad essere bella. Sidirebbe che scurendosi, questo timbro ha acquistato paradossalmente ancora più potere evocativo. Bellissime le parti di pianoforte che scandiscono le varie parti del brano, completamente libere, per niente riportate dalla versione storica in studio.

Direttamente da "Ho imparato a sognare", album dicover della cantante tra i più riusciti di questo ramo giustamente nominato per un premio al Premio Tenco, viene questa "Cercami", che già ha preso un altro respiro. L'interpretazione della Mannoia è altrettanto sentita rispetto a quella di Renato Zero, forse solo leggermente meno istrionica. Meravigliosi i finali calanti eseguiti egregiamente dopo quasi tutte le note di maggiore lunghezza dei versi. Naturalmente la Mannoia non usa il sussurro alla maniera di Zero, per la cui esecuzione si richiedono note gravi ma forse meno sporche di quelle della cantante romana.

E in questo viaggio tra i classici della recente canzone d'autore italiana la cantante ripesca "Sally" di Vasco Rossi, da lei interpretata nel live "Certe piccole voci" del 1999. In questo caso l'arrangiamento pop si disfa, e le sonorità moderne non sono più il perno del brano ma lo condiscono, lasciando che gli archi e la battteria suonata con le spazzole siano il nord della bussola. Interessantissimo questo cantato che incontra e si arricchisce con delle pennellate di parlato vicino al recitativo.

Continuando la cantante regala al suo pubblico uno dei suoi brani più belli ma meno conosciuti, la bellissima e malinconica "Lunaspina". Questa canzone, assieme a tutto il cd "Di terra e di vento" che la conteneva, ha cullato la mia infanzia, facendomi sognare come poche. Oggi questo brano ha ricevuto nuova linfa grazie ad un'interpretazione, forse troppo minimalista, che la stessa Mannoia ha reso insieme a Paola Turci nell'ultimo disco di quest'ultima. Per quanto riguarda la versione che abbiamo ascoltato si potrebbe definire un riuscito compromesso tra l'intimità della versionerecente e la ricchezza degli strumenti moderni.

Andando avanti abbiamo la prima sorpresa del concerto, ossia una "Ho imparato a sognare" interpretata insieme ai Negrita, suoi primi interpreti ed autori. Il brano è completamente interpretato in tonalità maschile, quindi la Mannoia non riesce a dare il massimo, anzi da molto poco. È interessante comunque perché permette di trovare la Mannoia mentre si confronta con un nuovo ambiente musicale, quello di un folk americano sulle orme diDylan.

Andando avanti si ascolta una gradevole versione di "Una giornata uggiosa" di Mogol-Battisti. Rispetto all'incisione presente in "Ho imparato a sognare" il Brasile è meno dominante, infatti il brano è portato verso una cornice latinjazz, interessante comunque.

Ora ci troviamo davanti una Fiorella Mannoia che omaggia Manu Chao con "Clandestino". L'arrangiamento porta il brano verso certe sonorità mediterranee che comunque sono molto consone a questa melodia, che se arricchita con strumenti classici (o "con letteratura" per dirla con PaoloConte) ha il suo fascino. Bellissime le "giunte" della Mannoia che davano a questa canzone una forza e una sincerità sicuramente maggiori rispetto all'originale.

Ed eccoci al secondo ospite, un Cesare Cremonini che interpreta superbamente "Le tue parole fanno male", brano che apriva "Ho imparato a sognare", il già citato ultimo album da studio della Mannoia. In questo caso il duetto è molto più convincente rispetto a quello con Pau dei Negrita, perché i due artisti eseguono il brano in due tonalità molto vicine quindi facilmente accoppiabili.

Proseguendo si fa un omaggio ai Negramaro, conl'interpretazione della loro "Estate". Va detto che la Mannoia spesso fa interpretare delle brevi parti falsettate al pubblico, che va detto che se la cava egregiamente. Il brano acquista un'anima mista tra il rock e il classico, perdendo completamente quell'anima pianistica che era data dalla impietosa battuta ritmica del tasto battente.

Andando avanti si rispolvera un grande classico della carriera della Mannoia, quella "Come si cambia" portata al Festival di Sanremo del 1984. Il brano in questa occasione acquista un'anima più rock, ma anche più intima grazie al rallentamento del ritmo.

E sempre dal repertorio anni Ottanta viene questo gioiello scritto da Enrico Ruggeri per la Mannoia e da lui successivamente reinterpretato nel cd "l'isola dei tesori". L'interpretazione che ascoltiamo de "I dubbi dell'amore" è rallentata molto, anche grazie al fatto che sono molto importanti gli archi, che fanno un tappeto inimitabile ad un'esecuzione molto buona. Si può riscontrare una specie di "teatralità emozionata", cheforse rafforza il messaggio sottinteso di questo brano, che credo sia un invito alla comprensione e all'apertura verso le fragilità.

Ed eccoci ad un riferimento ad uno degli ultimi classici del repertorio della Mannoia, il brano scritto per lei da Luciano Ligabue, intitolato "Io posso dire la mia sugli uomini", singolo con cui la cantante ci aveva presentato uno dei suoi migliori dischi, quel "Movimento del dare" che è tra i primi di cui si è parlato in questo blog. Il brano si è diviso in due parti molto diverse, che gli hanno conferito una grandissima dinamica. la prima parte è stata carattterizzata da un'esecuzione in sestetto, costituito dal quartetto d'archi più il pianoforte e dalla voce della cantante.

Proseguendo la scaletta si ascolta "belle speranze", brano che ha una coda rock abbastanza inutile, ma è bello.

Ed eccoci ad una delle poche canzoni davvero belle uscite in questi ultimi anni. Mi riferisco a "L'amore si odia", cantata superbamente insieme a Noemi, nuova e bellissima voce della canzone leggera italiana. Interessante l'inizio del brano eseguito da Noemi solo con l'accompagnamento degli archi,curioso è il controcanto per terze eseguito dalle due cantanti nell'ultimo ritornello.

Continuando si ascolta una versione di "Oh che sarà", che permette una delle più forti emozioni della serata. L'arrangiamento è molto simile a quello di Chico Buarque (l'originale), ma è ancora più vicino a quello presente nel cd "De mí" della cantante argentina Mercedes Sosa. Particolare è l'intrusione degli archi, che dà al brano un'aura classica molto fuori dalle coordinate della M.P.B, ma non lontana dallo spirito segreto di molti suoi brani.

Ed eccoci ad un'interessante ma non so quanto riuscita coda latinjazz, che permette di brillare ai musicisti del gruppo che comunque sonograndi strumentisti.

Ed ecco una versione solistica di "Pescatore", brano originariamente interpretato dalla Mannoia insieme a Pierangelo Bertoli. Rifacendoci alle osservazioni precedentemente fatte su "I treni a vapore", si potrebbe dire che anche qui l'anima pop si dissipi in un'intimità più etnica. Questa canzone è sempre bella, anche se forse sia l'abbassamento della tonalità sia l'assenza di una voce maschile chedialoga, sono cause di impoverimento al brano (naturalmente la seconda parte dell'osservazione si può riferire benissimo anche alla versione che Bertoli diede del brano da solista.

Il brano, dopo aver rallentato ulteriormente nell'ultima reitnerpretazione del finale "Pesca, forza, tira pescatore" ha una coda strumentale che segna la fine della parte ufficiale del concerto.

Quando la Mannoia torna sul palco siascolta una versione di "Via con me" molto sensuale, portata verso atmosfere tra il blues e il terzinato anni Sessanta. Va detto che laMannoia in questi ultimi anni sidiverte a giocare anche con repertori cheprima non toccava, questa seconda interpretazione di Paolo Conte lo sta mirabilmente a dimostrare. Ametà brano abbiamo avuto l'unico momento forse discutibile, dove l'anima blues è stata un po' troppo tiranna. Comunque bella versione e concerto stupendo.

Tornando indietro negli anni la cantante romana rispolvera un classico del suo repertorio, una bellissima "Quello che le donne non dicono", scritta magistralmente da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone e portata al successo dalla Mannoia al Sanremo 1987. Stasera il brano ha un colore sensualissimo, ma il canto riacquista quasi subito la limpidezza dei vecchi tempi. Il pubblico è portato a cantare il ritornello, la seconda volta addirittura a cappella,una favola.

E a proposito di brani immancabili nei concerti della Mannoia, proseguendo si ascolta "lastoria" di Francesco de Gregori. Il brano, come il precedente, è interpretato piano e voce ed è emozionantissimo. La forza della lotta collettiva qui è senza scappatoie, è gridata ai quattro venti, come un messaggio forte che deve entrare nella testa di chi ce lo vuole far dimenticare con ogni mezzo.

Arriviamo ad uno dei brani più belli del repertorio di Fiorella Mannoia,ad unabellissima ballata intitolata "Il cielo d'Irlanda", scritta per lei da Massimo Bubola. L'anima irlandese è fortissima, anche grazie alla presenza di un violino che nella parte iniziale suona una parte completamente collegabile ai reel irlandesi. Molto bello il finale con l'assolo di batteria che accompagna l'ultima strofa.

Chiedo scusa per la recensione frastagliata, è scritta completamente a caldo conla bussola delle emozioni.

venerdì 10 settembre 2010

"Se no lla vidi la senti cantare e i suoi dintorni" aggiornato

Carissimi lettori, oggi torno a scrivere su questo blog dopo una vita, per recensire un bellissimo documentario girato da Marcello Fersini, Roberto Inciocchi e Luis Padilla, prosecuzione del lavoro iniziato con il pregevole (e sempre consigliatissimo) "Cu li trapassa l'anima e lu core". Il tema è la musica popolare salentina, in questo caso vista e raccontata dalle donne, che effettivamente sono molto importanti in molti gruppi di "riproposta" attuali (dagli Zoè al Canzoniere Grecanico Salentino).

È un dvd davvero commovente sin dall'inizio. Il viaggio nel ritratto al femminile della musica salentina parte da una "Damme nu ricciu" cantata da tutte le protagoniste di questo documentario, ognuna con il proprio stile e si direbbe con la propria melodia. Questa breve ma profonda esperienza ricorda a chi non ci crede che la musica salentina è profondamente cangiante ma ha delle regole inalienabili (non si può faree disfare come si vuole!). Da questo canto, bellissimo e conosciuto anche grazie a qualche pregevole interpretazione anche all'interno della "Notte della taranta", comincia il ritratto vero e proprio, in bilico tra tradizione e modernità. Questo lavoro (come già dissi per "Cu li trapassa l'anima e lu core") è uno dei rarissimi casi in cui la tradizione sgorga dalla modernità e la modernità sgorga come un fiume impetuoso dalla tradizione (un altro potrebbe essere "Pizzicata" di Edoardo Winspeare, film che come sapete adoro!).

Più che raccontarvi gli interventi delle grandi donne della musica popolare salentina (da Cinzia Marzo a Francesca Chiriatti, da Rachele Andrioli ad Anna Cinzia Villani), mi permetterò di fare alcune riflessioni a margine.

Cinzia Marzo, con cui come sapete ho un rapporto del tutto speciale, afferma nel suo primo intervento che "la musica salentina non è né maschile né femminile, l'anima è anima e quando tu hai un cuore grande escono queste armonie meravigliose". L'affermazione è vera ma non impedisce la distinzione tra musiche con un'"anima" più maschile ed altre con un'"anima" più femminile. Io, da lontano e in maniera del tutto personale, credo che la musica salentina sia profondamente femminile (e quindi non mi viene di condividere l'affermazione di una delle intervistate secondo la quale l'importanza data alla donna nella musica salentina è recente). Secondo me, e solo secondo me, anche molti cantori uomini (anziani o vicini alla tradizione) hanno molta femminilità nel canto. Con la parola "femminilità" intendo l'assenza di certe tecniche di canto presenti invece in generi che io trovo spudoratamente maschili (come ad esempio molta musica argentina sia contadina che cittadina). Sono sincera: a parte qualche sonante eccezione (si pensi al Canzoniere di Terra d'Otranto e al suo cd "Bassa musica") è per me quasi impossibile concepire la musica salentina senza voci femminili o senza quelle bellissime cantate su tono alto (alla Uccio Bandello) che sono forse la cosa più bella di questa musica.

Anche questo dvd, come "Cu li trapassa l'anima e lu core" costringe a ragionare sul canto salentino , anche dal punto di vista tecnico. È interessante andare dietro a Maria Mazzotta quando parla della mancanza di "infiorettature" nel canto salentino, che oggi è diventata endemica, facendolo assomigliare sempre di più al pop, impoverendo secondo me l'espressività di testi spesso poeticissimi.

Bellissima l'interpretazione di "Bella ci dormi" da parte di Cinzia Marzo e Rachele Andrioli, brano che le due voci interpretano con un'alchimia perfetta. Chi mi conosce sa delle numerosissime storie che mi legano a questo canto, uno di quelli che ha un posto del tutto speciale nel mio cuore.

In questo dvd si nota che vi sono due scuole di pensiero per quanto riguarda il canto salentino. Ve ne è una più "inurbanita" (la definizione è mia e forse è anche sbagliata) che in questa sede concreta è rappresentata da Cinzia Marzo e quella più fedele a certe cantate di cantori come gli "Ucci" o la "Simpatichina" rappresentata dalle altre cantrici di giovane generazione presenti nel lavoro. Io, anche per miei trascorsi legati a Roberto Murolo ed altri "fini dicitori" della musica del Sud Italia (Napoli ma non solo, si pensi solo ad Otello Profazio) sto più con gli "inurbaniti" piuttosto che con coloro che trovano spontaneo imitare le cantate in maniera esatta. Il problema, però, è che questo "inurbanire" poi porta spesso ad addolcire troppo il canto, quindi, come ogni buon estremismo, anche il troppo "inurbanimento" è condannabile. Io trovo giusto il lavoro di chi sta con un piede nella tradizionee e l'altro nella modernità, ma preferisco chi non sperimenta con melodie e testi altrui (ossia tradizionali) e umilmente compone brani propri quando sperimenta (penso ai soliti e sempre citati Zoè). Se devo essere sincera, e qui lo sono in pieno, io, come mia strada personale, ne ho scelta una ancora diversa: a me interessa ancora di più chi riesce a comporre restando in gran parte fedele ai canoni della tradizione, anche alleparti più "scomode" (definizione di Anna Cinzia Villani di queste "spigolature" del canto salentino).

Scusatemi tanto se da questo articolo forse non viene un buon ritratto di questo dvd, quindi ho disatteso il mio obbiettivo iniziale, ma quando le cose mi piacciono troppo succede sempre così. le parti frastagliate di questo articolo sono sempre causate dalla stessa ragione, quindi perdonatemele altrettanto.

Spero davvero che comunque, nonostante tutto, sia riuscita a darvi qualcosa, ossia la voglia di fare un viaggio in un lavoro che racconta la musica salentina per quello che è, dal punto di vista della sua "anima" femminile.

giovedì 9 settembre 2010

"Se no lla vidi la senti cantare e i suoi dintorni.

Carissimi lettori, oggi torno a scrivere su questo blog dopo una vita, per recensire un bellissimo documentario girato da Marcello Fersini, Roberto Inciocchi e Luis Padilla, prosecuzione del lavoro iniziato con il pregevole (e sempre consigliatissimo) "Cu li trapassa l'anima e lu core". Il tema è la musica popolare salentina, in questo caso vista e raccontata dalle donne, che effettivamente sono molto importanti in molti gruppi di "riproposta" attuali (dagli Zoè al Canzoniere Grecanico Salentino).

È un dvd davvero commovente sin dall'inizio. Il viaggio nel ritratto al femminile della musica salentina parte da una "Damme nu ricciu" cantata da tutte le protagoniste di questo documentario, ognuna con il proprio stile e si direbbe con la propria melodia. Questa breve ma profonda esperienza ricorda a chi non ci crede che la musica salentina è profondamente cangiante ma ha delle regole inalienabili (non si può faree disfare come si vuole!). Da questo canto, bellissimo e conosciuto anche grazie a qualche pregevole interpretazione anche all'interno della "Notte della taranta", comincia il ritratto vero e proprio, in bilico tra tradizione e modernità. Questo lavoro (come già dissi per "Cu li trapassa l'anima e lu core") è uno dei rarissimi casi in cui la tradizione sgorga dalla modernità e la modernità sgorga come un fiume impetuoso dalla tradizione (un altro potrebbe essere "Pizzicata" di Edoardo Winspeare, film che come sapete adoro!).

Più che raccontarvi gli interventi delle grandi donne della musica popolare salentina (da Cinzia Marzo a Francesca Chiriatti, da Rachele Andrioli ad Anna Cinzia Villani), mi permetterò di fare alcune riflessioni a margine.

Cinzia Marzo, con cui come sapete ho un rapporto del tutto speciale, afferma nel suo primo intervento che "la musica salentina non è né maschile né femminile, l'anima è anima e quando tu hai un cuore grande escono queste armonie meravigliose". L'affermazione è vera ma non impedisce la distinzione tra musiche con un'"anima" più maschile ed altre con un'"anima" più femminile. Io, da lontano e in maniera del tutto personale, credo che la musica salentina sia profondamente femminile (e quindi non mi viene di condividere l'affermazione di una delle intervistate secondo la quale l'importanza data alla donna nella musica salentina è recente). Secondo me, e solo secondo me, anche molti cantori uomini (anziani o vicini alla tradizione) hanno molta femminilità nel canto. Con la parola "femminilità" intendo l'assenza di certe tecniche di canto presenti invece in generi che io trovo spudoratamente maschili (come ad esempio molta musica argentina sia contadina che cittadina). Sono sincera: a parte qualche sonante eccezione (si pensi al Canzoniere di Terra d'Otranto e al suo cd "Bassa musica") è per me quasi impossibile concepire la musica salentina senza voci femminili o senza quelle bellissime cantate su tono alto (alla Uccio Bandello) che sono forse la cosa più bella di questa musica.

Anche questo dvd, come "Cu li trapassa l'anima e lu core" costringe a ragionare sul canto salentino , anche dal punto di vista tecnico. È interessante andare dietro a Francesca Chiriatti quando parla della mancanza di "infiorettature" nel canto salentino, che oggi è diventata endemica, facendolo assomigliare sempre di più al pop, impoverendo secondo me l'espressività di testi spesso poeticissimi.

Bellissima l'interpretazione di "Bella ci dormi" da parte di Cinzia Marzo e Rachele Andrioli, brano che le due voci interpretano con un'alchimia perfetta. Chi mi conosce sa delle numerosissime storie che mi legano a questo canto, uno di quelli che ha un posto del tutto speciale nel mio cuore.

In questo dvd si nota che vi sono due scuole di pensiero per quanto riguarda il canto salentino. Ve ne è una più "inurbanita" (la definizione è mia e forse è anche sbagliata) che in questa sede concreta è rappresentata da Cinzia Marzo e quella più fedele a certe cantate di cantori come gli "Ucci" o la "Simpatichina" rappresentata dalle altre cantrici di giovane generazione presenti nel lavoro. Io, anche per miei trascorsi legati a Roberto Murolo ed altri "fini dicitori" della musica del Sud Italia (Napoli ma non solo, si pensi solo ad Otello Profazio) sto più con gli "inurbaniti" piuttosto che con coloro che trovano spontaneo imitare le cantate in maniera esatta. Il problema, però, è che questo "inurbanire" poi porta spesso ad addolcire troppo il canto, quindi, come ogni buon estremismo, anche il troppo "inurbanimento" è condannabile. Io trovo giusto il lavoro di chi sta con un piede nella tradizionee e l'altro nella modernità, ma preferisco chi non sperimenta con melodie e testi altrui (ossia tradizionali) e umilmenete compone brani propri quando sperimenta (penso ai soliti e sempre citati Zoè). Se devo essere sincera, e qui lo sono in pieno, io, come mia strada personale, ne ho scelta una ancora diversa: a me interessa ancora di più chi riesce a comporre restando in gran parte fedele ai canoni della tradizione, anche alleparti più "scomode" (definizione di Anna Cinzia Villani di queste "spigolature" del canto salentino).

Scusatemi tanto se da questo articolo forse non viene un buon ritratto di questo dvd, quindi ho disatteso il mio obbiettivo iniziale, ma quando le cose mi piacciono troppo succede sempre così. le parti frastagliate di questo articolo sono sempre causate dalla stessa ragione, quindi perdonatemele altrettanto.

Spero davvero che comunque, nonostante tutto, sia riuscita a darvi qualcosa, ossia la voglia di fare un viaggio in un lavoro che racconta la musica salentina per quello che è, dal punto di vista della sua "anima" femminile.