Carissimi lettori, in un articolo precedente vi avevo detto di non essermi ancora raccontata per intero, e questo post lo dimostrerà. Infatti, finalmente, riesco a parlare un po' del cantautorato francese, che è una passione che viene dall'esperienza francese della mia famiglia, che, avendo una gran parte emigrato dal 1958 al 1968, porta ancora intensamente stampato nell'anima il repertorio di artisti come Georges Brassens, Leo Ferré, Yves Montand ecc.
Purtroppo, però, anche questa volta, il pretesto per raccontarvi questa mia passione, è la necessità di ricordare un grande cantautore deceduto due giorni fa nell'Ardeche. Il cantautore in questione, che utilizzava lo pseudonimo di Jean Ferrat, è forse la più bella voce maschile che la Francia ha mai conosciuto.
Il cantautore è il più grande rappresentante della musica impegnata in Francia, infatti è spesso legato al Partito Comunista francese, con il quale però, altrettanto spesso ha dei dissidi. Questa sua condizione di cantante politico, amici, non deve far pensare ad un artista che si scorda d'essere artista.
Le sue canzoni, che forse possono avere delle sorelle in certo repertorio di Fabrizio de Andrè, sono dedicate, con grandissima e forse unica tenerezza, a personaggi emarginati come i nomadi, o comunque a categorie che rischiano la loro vita, come i guerriglieri.
Il suo timbro, dolcissimo ma altrettanto potente e baritonale, è una delle caratteristiche più emozionanti che io conosca. Mentre scrivo, come faccio sempre quando produco articoli in memoria di qualcuno, mi sto facendo portare dalle sue note.
La musica dei suoi brani non è il folk tedioso che negli stessi anni permetteva ad artisti come Paolo Pietrangeli o Ivan della Mea di farsi ascoltare da un'élite di persone che oggi ne sono quasi tutte profondamente pentite, ma era musica leggera che, però, diventava un'arma dal taglio mortale tramite il testo.
Oltre alla politica e la rivendicazione sociale o anche sentimentale riguardante il mondo che lotta, l'altra grande coordinata della carriera di Jean Ferrat è la poesia, soprattutto quella del poeta comunista Luis Aragon, che il cantautore ha magistralmente musicato in due lp usciti uno dopo l'altro rispettivamente nel 1980 e nel 1985. Il primo, in realtà, è una raccolta di alcune poesie incise da Ferrat per la Barclay durante i tredici anni della sua travagliata collaborazione con la nota casa discografica francese.
Qualche volta, poi, c'è anche spazio per l'ironia, come in questa carinissima e geniale "A Santiago" , dedicata alla città cubana.
Neanche Jean Ferrat, ovviamente, è scappato al mito del "valse musette", che però ha colorato con un ritratto di una ragazza che lavora in un'officina, quindi completamente lontana dalla Francia da rivista che in quegli anni si imponeva irrimediabilmente alla vista del mondo. Non mancano, altrettanto ovviamente, nel suo repertorio gli omaggi alla capitale di Francia, città che ha tirannicamente condizionato la musica e la storia del paese.
Avrete capito che mi è particolarmente difficile raccontare le grandi emozioni, quindi io non ho voluto fare un ritratto di Jean Ferrat, ma vi ho solo voluto avvertire del fatto che è esistito, affinché qualcuno si faccia portare da questa magica voce, che, oltre a cantare bellissimi testi, era in grado di concepire musicalità che possono assolutamente intrappolare anche chi non sa la lingua di Molière con la loro infinita ricchezza.
Per scoprire Ferrat, credo non ci sia di meglio che procurarsi il doppio dedicato agli anni Barclay, quelli che vanno dal 1963 al 1976. Buon ascolto!
lunedì 15 marzo 2010
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