Carissimi lettori, riesco a postare, finalmente nel posto giusto, delle mie riflessioni, scritte come sfogo del tutto personale e soggettivo, sul concerto di Ambrogio Sparagna e la sua "Orchestra pizzicata", che andai a vedere il 31 d'agosto 2008. L'ho voluto recuperare perché questo scritto è venuto fuori tra i primi da me mai elaborati, quindi optrebbe essere curioso. Va anche detto, poi, che dopo tutta questa immersione nel mondo della canzone d'autore, sia essa intesa in senso cantautorale o classico napoletano, un buon articolo in difesa della mia tanto amata musica popolare ci voleva proprio. Buona lettura a tutti!
Se dovessi parlare della serata conclusiva della tre giorni salentina, svoltasi il 31 agosto in Piazza IV novembre, direi: "se mi fossi sparagnata Sparagna".
Il signor Ambrogio Sparagna, etnomusicologo tra i più rinomati, io lo metterei tra i furfanti e i disonesti più rinomati. Innanzitutto Utilizza una parte minima degli strumenti della tradizione del centro-sud Italia: mancano all'appello violino, mandolino, chitarra battente, zampogne calabresi, scaccia pensieri (quello che se lo suoni e ti fai male alla lingua te li dà i pensieri!), ed altri che ora non mi sovvengono.
Veniamo tecnicamente al concerto: un inganno dall'inizio alla fine. Lui, che quando si è presentato ha detto che avrebbe eseguito "canti della tradizione", ha fatto tutte composizioni sue (qualcuna è carina non lo nego), l'unica cosa tradizionale che ha saputo fare è stata la solita (ma sempre bellissima) pizzica a botta, cantata da una vera salentina, a cui lui ha aggiunto il solito (bruttissimo, volgare e sguaiato) ritornello: "Ah preolì, preolì preolà (questa parte ripetuta fino all'esasperazione) beddu l'amore e ci lu sape fà".
Voglio suggerire al signor Sparagna una maniera per non ingannare la gente: perché non dire che si compongono brani a partire dai ritmi della tradizione?Purtroppo non posso citare brani in particolare (eccezion fatta per il brano d'apertura, ossia "La storia di Ruccano"), ma la cosa più vergognosa è che Sparagna forma queste orchestre, non per fare emergere talenti, ma solo per nascondere una caratteristica molto odiata da molta gente (anche se poi molti la possiedono): il suo proverbiale egocentrismo. Sin dalla selezione degli elementi egli molto raramente sceglie d'avere al fianco i migliori (l'unica eccezione è Erasmo Treglia, suonatore di chitarra e ciaramella). Il gruppo era composto da tre tamburelli (ne bastano e avanzano due!), tre organetti (che suonavano insieme invece di alternarsi, cacofonia pura!) il grande Treglia su citato, un basso elettrico (per dare quel tocchino di "contemporaneo", come se questo bastasse o fosse importante per rendere la pizzica contemporanea!) e ovviamente l'immancabile, insostituibile, insuperabile, batteria (dato che i tamburellisti dovevano fare solo coreografia e i tamburellini sono bellini!). Se devo classificare le canzoni diciamo che sembrava di stare ad un concerto di De Gregori non ancora americanizzato (d'altronde lui è riuscito a far fare a Sparagna una delle sue poche cose belle: il brano "La fine di un killer", contenuto nel cd del cantautore "Prendere e lasciare"; anche se poi De Gregori ha ricambiato con una terribile versione di alcuni versi della Divina Commedia a pizzica: andate su Youtube se non lo avete mai sentito e sentirete che roba, tanto più che dopo quelle strofe piene di filosofia arriva la batteria e Alessia Tondo canta.... Pizzicarella!). Ad un certo punto del concerto di Sparagna-De Gregori, si è avuta una versione della "Rondinella ci varchi lu mare", con attaccato il ritornello "Mamma la rondinella, mamma la rondinà, mamma la rondinella gira vola e se ne va". Beh, che dire, per dirla alla calabra ".... mancu li cani". Tra le due parti, apparte la rondinella, topos onnipresente in tutto il sud, non c'è niente in comune. Mentre i versi di strofa presentano una fortissima passionalità, il ritornello è qualcosa di inclassificabile (d'altronde si può mettere da tutte le parti, Sparagna docet). Oltretutto il pezzo era, nella parte del ritornello, una specie di reggae (d'altronde anche i Sud Sound System sono salentini ed il reggae è uno stile che fa parte ormai del folk salentino!). Il culmine dello scempio si è avuto con gli assoli di tamburello (lasciamo perdere che il flautista era leccese e, con un orribile flautino da pastori che faceva rimpiangere quello costruito da Roberto Raheli con una canna da pesca, non sapeva neanche terzinare una pizzica!), i quali si sono riassunti in assoli di batteria con qualche coreografia dei tamburellini bellini (addirittura durante uno di questi mi è venuta voglia di cantare "Questo è l'ombelico del mondo" di Jovanotti, noto interprete di pizzica salentina!). Non sono ovviamente riuscita a trattenere la mia rabbia, perché sono come Guccini che se si arrabbia diventa (o diventava) logorroico, con la differenza che lui faceva dei capolavori e io rompo solo l'anima a tutti quelli che mi stanno intorno. Adesso sono a posto con la mia coscienza e posso veramente dire con convinzione: lu Sparagna me l'aggiu sparagnare le prossime fiate ca vene.
L'articolo risale ad almeno due anni fa, quindi l'Ambrogino nazionale di scempi ne ha fatti ancora, dunque spendiamo qualche parolina. Quest'anno, come saprete se seguite questo blog, il signor etnomusicologo "allievo prediletto di Carpitella" è stato ospite al Festival di Sanremo, come accompagnatore strumentale invitato della canzone meridionalista di Nino D'Angelo. Trovo assolutamente allucinante l'accoppiata tra due dei peggiori musicisti mai apparsi sulla scena della musica popolare e della leggera, ma ancora più vergognoso è stato il continuo citare Ambrogio Sparagna da parte di Nino D'Angelo nell'esecuzione del brano.
Voglio concludere questo scritto, questo aggiornamento di mie vecchie ma sempre attuali riflessioni, dicendovi una cosa: cominciate ad apprezzare organettisti veri come Massimiliano Morabito, Mario Salvi o Alessandro Pipino (anche se non fa propriamente musica popolare) e scordatevi di Sparagna!
lunedì 29 marzo 2010
Se mi fossi sparagnata Sparagna
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