Carissimi lettori, tornando alle cose che ci sono più consuete solo perché sono mal informata su ciò che succede per quanto riguarda la canzone di Lisbona e mi è spesso difficile muovermi, torno a regalarvi una recensione di un altro concerto di Paolo Conte, sempre risalente al 1988. E' il concerto registrato alla Rtsi di Lugano il 12 aprile di quell'anno, che si apre con una strepitosa versione di "Aguaplano". Anche qui, come nel video di Amsterdam, ritorna quella durezza, mitigata comunque da una migliore disposizione dell'artista. Per quanto riguarda "Aguaplano", il brano perde in gran parte le proprie suggestioni andine, rese meno nitide da flauti sintetici, meno fedeli nella riproduzione, di quanto già non fossero quelli presenti sul disco originale.
Si continua con una "Sparring partner", che è molto velocizzata rispetto alla versione originale ed anche a quella di "Tournée", che secondo me rimane la più convincente. Come ho già detto nella recensione contiana precedente, il cantautore astigiano, ogni qualvolta lo si confronta con arrangiamenti troppo moderni, perde molto. Anche qui spariscono molte pause, ma non c'è quella fretta nervosa che, spesso, caratterizza gli ultimi concerti del nostro. Il pianoforte, per quanto importante, spesso cede troppo spazio alle tastiere.
Si continua con una strepitosa "Hemingway", con un attacco di canto forse più tragico e meno rilassato, ma sempre con l'insuperabile intimità di "Concerti", che sparisce in corrispondenza dell'assolo di pianoforte che potremmo definire spartiacque tra le due metà del cortissimo testo del brano.
Siamo già avvolti dal bellissimo inciso strumentale che, tranne una breve ricomparsa della voce da basso profondo di Conte, è l'effettivo perno della canzone. Qui, contrariamente ad altre versioni live da me sentite, c'è un bellissimo uso della batteria quasi come un tamburo etnico, poco prima delle ultime improvvisazioni del sassofono.
Si continua con "Diavolo rosso", caratterizzata, più che da una tirannia del sassofono, come ad Amsterdam, da un sano ambiente di gruppo, su cui si staglia un prodigioso dialogo tra sassofono soprano e pianoforte. L'anima jazz, qui, contrariamente rispetto ad Amsterdam, non fa per niente scomparire l'anima mediterranea. Il canto di Conte, per quanto arrabbiato, è più pastoso e caldo, è quello dei momenti migliori.
Nelle due versioni in video, c'è da notare la curiosità della quasi sparizione dei piatti, rafforzati o sostituiti da leggere venature free jazz del sassofono, che sottolinea quegli stessi momenti con brevi serie di note.
Si continua con "Il nostro amico angiolino", brano di commovente amicizia e grande gratitudine, che ha cullato la mia infanzia nella versione del già recensito "Concerti", rispetto alla quale questa è più rabbiosa ma non meno intima. Curiosi sono certi controtempi, che rendono il canto di Paolo Conte simile a quello di certi cantanti di tango soprattutto Roberto "polaco" Goyeneche.
Eccoci, introdotta da un grandissimo assolo di sassofono, a "Blu tango", una di quelle canzoni che io ho scoperto tramite il "Paolo Conte live", ampiamente citato nella precedente recensione contiana.
La prima parte del canto, vede un grande protagonismo del contrabbasso, che fa tutt'uno con la voce di Conte.
Il canto di Conte è sensuale e duro allo stesso tempo, moderno ed antico, rispettoso ed innovativo, perfetto.
Il brano, dalla forte struttura circolare, si chiude come si era aperto, con un assolo di sassofono che, però, questa volta si limita a "cantare" il ritornello.
Si ritorna ai brani del precedente album di Conte, "Aguaplano", con questo valzerino intitolato "Esitation". Qui fa il suo ingresso un violoncello, che con note completamente classiche dialogacon il pianoforte "meticcio" di Paolo Conte. Il brano qui, credo che trovi una delle sue versioni migliori, per quanto io poi non lo conosca particolarmente bene. Si vede, infatti, una minor voglia di affrettarne la fine, tramite la fusione di momenti più intimi con altri più frettolosi, alla ricerca di un canto personale ed interiore.
Ed eccoci a "La ricostruzione del Mocambo", che è, ancora una volta, caratterizzata da questa guittezza che rende questo concerto favoloso.
Paolo Conte ha voglia di giocare, eseguendolo su varie ottave, con l'assolo di pianoforte che divide le strofe, senza mai lasciarsi tentare da quella tendenza, che ormai è spesso sua, di cantare parti lunghe con un'unica emissione di voce, provocando sfasamenti di tempo a me poco gradevoli.
Si continua con "Via con me", che qui acquista un'aria di vecchio swing ancora più evidente. Cosiccome in "Concerti" e "Nel cuore di Amsterdam", anche qui a metà già non c'è pausa che divide il brano in due parti, esso è un tutt'uno perfetto, dove l'assolo completa semplicemente una struttura.
Si continua con "Max" sul cui testo Paolo Conte si sta sdraiando, pronunciando ogni singola parola con una precisione maniacale, intervallando numerose pause nel canto, così da dilatarlo, prima dell'entrata del pezzo strumentale, che poi, come si sa, è l'effettivo perno del brano. Ritengo questa versione tra le più riuscite, dopo l'originale, perché l'anima moderna non scalfisce le atmosfere classiche e quasi cinematografiche che fanno gran parte della bellezza del brano.
Il concerto prosegue con "Sotto le stelle del jazz", che nelle prime strofe viene anche accompagnata dal battito delle mani del pubblico che, come sempre, è completamente piegato alla grande arte dell'astigiano. Il canto di Conte, come sempre in questo concerto, riesce a trovare compromessi mirabili tra la rabbia e l'intimità, che fanno di questa esibizione una delle più riuscite del cantautore.
Si torna ad "Aguaplano", con una versione di "Amada mia", che, partita senza batteria, dalla seconda strofa diventa il brano "meticcio" che molti amiamo. La rabbia e l'intimità vanno in un'unione magica, che le rende quasi inscindibili.
Eccoci a "Lo zio", che in questa versione si è subito iniziata a risolvere in un dialogo serratissimo tra la voce di Paolo Conte ed il sassofono di Marangolo. Oserei dire che in questa versione il brano acquista un che di circense, che lo fa diventare un'acrobazia rischiosa per i non virtuosi.
Introdotta da una lunghissima ma piacevolissima presentazione, arriva "Jimmy ballando", una bellissima swing ballad, intristita dagli accordi minori, che questa volta non dànno, come nel concerto olandese, pretesto a Conte per tirare via il canto, semmai gli fanno venire il desiderio di cantare dolcemente ed entrare in armonia perfetta con i suoi musicisti.
Si continua immersi nell'atmosfera di "Aguaplano", con "Chiunque", che qui diventa ancora più intima, segreta e romantica. Questo dolce e discreto grido d'amore, in "modo misto", è forse una delle più perfette serenate presenti nel repertorio del nostro.
Si prosegue poi con una curiosa canzone in lingua napoletana, intitolata "Spassiunatamente", che io scoprii vent'anni fa ma non nella versione del suo autore, bensì in quella di Roberto Murolo, che tutt'ora ritengo la migliore. Ritengo, infatti, che la voce profonda dell'astigiano si sposi male con l'utilizzo della lingua partenopea, ma vi si sposi benissimo la sua sensibilità d'autore. Non so quanto non si possa considerare questo brano una parodia di certi stereotipi napoletani, ma qualunque cosa sia non ferisce chi come me è cultore della grande Napoli. (La versione di Murolo è contenuta nel cd "'Na voce e 'na chitarra" del 1990).
Si prosegue con "Dancing", che è rilassata come tutto questo concerto, ma sempre indiavolata, con la batteria che, come già notato per "Hemingway" diventa un set di tamburi popolari, per le sfumature ritmiche che è in grado di esprimere.
Ed eccoci a "Gli impermeabili", terzo episodio della telenovela contiana sul Mocambo. Qui si riscontra un piacere del tutto particolare nel cantare questo brano, di cui si fa sentire ogni minima sfumatura e sillaba. Interessante, in corrispondenza del breve assolo di chitarra elettrica, un certo uso di accordi battuti in maniera da ricordare sia il jazz che il tango.
Ed eccoci a "Nessuno mi ama", brano caratterizzato da un improvviso cambiamento di ritmo, che lo porta da tempi lenti, lunghi e dilatati, ad un travolgente ritmo veloce. Il testo, curioso e probabilmente autobiografico, fa capire l'amore epidermico di Conte per certe cose ormai desuete, a cui lui, da uomo raffinato ma orgogliosamente di provincia, è rimasto legato.
Si prosegue con "La negra", brano che ha sempre interessanti pezzi di flauto ottavino. E' un brano su un ritmo latino, forse cha-cha-cha, che mi fa sempre piacere sentire.
Meravigliosa è la "traduzione" con fiati acustici della parte che in "Aguaplano" era affidata ad un suono che non saprei riconoscere, probabilmente prodotto da "aggeggi" elettronici.
Chiedo un'altra volta scusa per l'aleatorietà di questo commento, ma è fatto "a caldo" ad un documento che io stessa vedo per la prima volta mentre scrivo.
Spero solo di poter svegliare la curiosità dei già numerosi ammiratori di Conte per questo materiale video, che ce lo mostra in versioni diverse ed inedite.
venerdì 5 febbraio 2010
Paolo Conte "Live at RTSI
Etichette:
1988,
concerti,
Paolo Conte,
Radio Televisione Svizzera Italiana,
recensioni,
videocassette
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento