sabato 20 febbraio 2010

Commento alla quarta serata del Festival di Sanremo.

Carissimi lettori, ecco il promesso commento alla quarta serata del Festival di Sanremo. Ovviamente, e non poteva essere altrimenti, ci si occuperà dell'aspetto musicale, perché nonostante tutte le incursioni stupido-comiche che lo caratterizzano in qualche edizione, come adesso, questo è pur sempre il Festival della canzone italiana.
Si inizia con la canzone di Malica Ayane, una delle più buone cantanti uscite negli ultimi anni. Il brano, intitolato "Ricomincio da qui", ha una bella melodia, in maggiore, ma senza disdegnare alcune raffinatezze date da settime minori ed aumentate. La voce della Ayane è perfettamente intonata, con questo timbro così caratteristico, dolce ma tirannicamente potente. Mi ricorda vagamente una canzone di Fabio Concato, ma è giusto un'associazione portata da alcune caratteristiche della ritmica della batteria, che è compatibile con un certo jazz pop degli anni Sessanta.
Simone Cristicchi, cantautore interessato alla musica tradizionale che sfrutta per arricchire i propri orizzonti culturali, ha invitato un gruppo di voci "etniche" per infiorettare il suo brano. La canzone è iniziata con delle cadenze di saltarello, eseguito dai Minatori di Santa Fiora, località toscana dove è nato questo gruppo di grandi voci popolari.
Venendo propriamente alla canzone di Cristicchi, invece, è un rock molto forte, dedicato ad una serie di atteggiamenti tipicamente italiani, tutti votati all'evasione, infatti il ritornello, che potrebbe riecheggiare il bennatiano "Meno male che non c'è Nerone", è un "Meno male che c'è Carla Bruni".
Leggermente più veloce, continuando, arriva questa "La cometa di Halley", che è cantata da Irene Grandi e Marco Cocci. Le voci stasera sono intonate, forse l'emozione si inizia un po' a dissipare, o quantomeno smette di inficiare le prestazioni canore.
La canzone è d'amore, che per nascondere la banalità del tema, lo tratta in maniera pseudoinnovativa. Io salvo di questo brano solamente la musica, che è impregnata di interessanti suggestioni beateggianti, un po' anni Sessanta, anche se "tradotte" con il linguaggio dell'elettronica.
Ed ecco, accolti dall'"inno nomade" "Io vagabondo", arrivano i Nomadi, che interpretano, insieme ad Irene Fornaciari, ad un dj tedesco ed a Susy (che non si sa chi è!), una canzone intitolata "Il mondo piange".
E' una ballata un po' "abolerada", che non va ignorata, ma abbiamo sentito di meglio. Ed ecco un pezzo tradotto in inglese, dove si sente la voce di Susy, che non ha un timbro particolarmente interessante, tipica voce potente, ma niente di più.
Le due voci femminili, dopo essersi "fatte la guerra" per un pochino, si sono alternate per dare più spazio alla ripetizione della asfissiante domanda del testo: "Il mondo piange! Vorrei sapere perché!". Non mi piace!
Il Festival è provvisoriamente interrotto, e si assiste ad una "cavaqueira" abbastanza insopportabile. Il prossimo artista, altrettanto insopportabile che la chiacchierata informale che io ho chiamato con la parola portoghese "cavaqueira", vincitore dell'ultima edizione di "X-factor", talent show da cui si ritiene di estrapolare il futuro della canzone italiana (l'unica cantante davvero azzeccata è stata Noemi!) è Marco Mengoni. Il brano, scritto dallo stesso Mengoni ed interpretato insieme ai Solis string quartet, quartetto strumentale napoletano che sperimenta con successo l'uso degli strumenti classici suonati "classicamente" nella musica leggera e contemporanea, si chiama "Credimi ancora". E' un brano d'amore dove un uomo prega una donna di crederlo ancora, con un patetismo rispetto al quale rimpiango le vecchie canzoni "amore-cuore". la sua voce è senza basse, da donna, terribile.
E purtroppo arriva l'amore per l'Italia di Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici, "condito" dalla partecipazione delle Divas, soprani insopportabili, e dall'intervento, che la Clerici ha perfino tentato di troncare, di Marcello Lippi, che rappresenta l'Italia della nazionale e di una Coppa del mondo vinta ormai quattro anni fa.
La prima strofa l'ha fatta Pupo, sulle sue basse stonatissime, poi è arrivato il "principe" che dice che, siccome lui crede nella sua cultura e nella sua religione, ha tutto il diritto di stare qui. Ed ecco, dopo un intervento di Luca Canonici, tenore insipido, che nel tenere il re centrale, nota normale per chi ha questa voce, trema e quasi stona. Pupo, nella sua seconda apparizione, questa volta sulle "alte", ha citato questa mitica finale di Berlino con la quale Lippi ci ha regalato appunto questa bellissima Coppa del mondo.
E' una canzone vergognosa, cosiccome è vergognosa la non distinzione tra "grandi eventi" ed "emergenze" votata dal nostro caro premier a cui, sinceramente, alla maniera di Cinzia Marzo, dico un'altra volta "A mammata!".
In questa prima parte, va detto, l'unica veramente degna, è quella di Malica Ayane, bellissima, semplice, corposa ed innovativa, l'unica è "ricominciare da qui".
E' buona anche quella di Simone Cristicchi, che però, sinceramente, sperimenta una contaminazione che io trovo un po' forzata, quella tra rock britannico e musica popolare italiana allo Stato "Puro".
Siamo con J.Lo, Jennifer López, cantante nulla, questo lo posso dire senza paura di essere smentita.
La cantante sta cantando, in play back perché diversamente non può fare, un suo pezzo da discoteca ma in minore perché fa chic.
C'è un'intervista con la J.lo, mamma mia che noia, che patetismo, che vergogna, il Festival di Sanremo sembra un talk show, veramente brutto!
Ed eccoci a Valerio Scanu, con cui riprende la gara, dopo queste cose troppo intime, sentite con la López. Ed abbiamo anche il piacere di riascoltare la voce di Alessandra Amoroso, che riesce davvero a dare molto con questa melodia corposa. Le due voci sono moderne ma orgogliosamente melodiche, il testo, forse con qualche gioco di parole di troppo, ha comunque una semplicità che cattura.
Ecco la canzone di Arisa, intitolata "Ma l'amore no", che nella versione originale è un simpatico tempo binario. Stasera diventa un swing anni Trenta, che porta all'evidenziazione dell'esilarante comicità della cantante. L'interpretazione è acustica, gustosa, la sua voce non è magari perfettamente intonata, ma il brano è comunque gradevole. Il brano è stato interpretato con la Lino Patruno jazz band, che permette di vedere un grandissimo jazzista, già componente dei Gufi.
Ecco Enrico Ruggeri, che viene accolto con un pezzettino di "Mistero", che vinse il Sanremo 1993 (ripeto: che tempi!).
Il brano di Enrico Ruggeri, intitolato "La notte delle fate", è, almeno in questa occasione, caratterizzato da un ritmo binario un po' simile a "Primavera a Sarajevo", almeno per quanto riguarda la sua prima parte, anche se qui le atmosfere etniche sono sostituite da atmosfere più sinceramente rock. Interessante è l'inizio del ritornello, affidato ad un assolo della sporca ma perfetta voce di Ruggeri. Il testo del brano è un po' criptico, ma si parla sempre di questi personaggi femminili con cui, ormai lo si può ben dire, il cantautore milanese ha fatto pace.
E' un bel brano, che nel finale viene colto da suggestioni arabe, meticciato interessante perché fatto con rispetto.
Ecco un'altra artista che si è guadagnata sul campo la mia stima, Noemi, l'unica che quelli di "X-factor" sono riusciti ad "azzeccare".
Il brano, intitolato "Per tutta la vita", è stato scritto dagli stessi autori della meravigliosa "l'amore si odia", che la cantante ha interpretato insieme alla Mannoia, e forse in parte la ricorda.
Quello che stupisce sempre nella voce di Noemi è l'intonazione perfetta, nonostante che il timbro, non limpido e non puro, potrebbe volentieri portare a fare delle "stonature artistiche".
E' uno di quei brani sui problemi dell'amore, ma non su coppie scoppiate o riappacificate, bensì sui problemi che dà un amore in crisi o finito (il tema è sicuramente meno banale!).
Ecco Fabrizio Moro, che è tornato con un'altra canzone di lotta, che però interpreta insieme a Jarabe de palo, gruppo spagnolo di pop "desentendido". Il cantante, evviva, è completamente stonato, canta come se fosse un romano "borgataro" in un bar con qualche cricca (solo che siamo a Sanremo, e stiamo in diretta con tutto il mondo tramite almeno tre canali radiofonici oltre alla rai tv!).
Ed eccoci a Giuseppe Povia (oh!). Anche questa volta, come quando ci aveva comunicato che i bambini fanno "Oh", ci dà un messaggio veramente brutto, il brano è patetico. Marco Masini, il cantante scelto per il duetto, forse dimostra il livello di bruttezza a cui è arrivato il "canta-cameriere".
Si sta assistendo, ora, ad una esibizione raccapricciante di Jennifer López, che sta facendo un medley dei suoi vecchi successi, rigorosamente in playback, si sente lontano un miglio.
Comunque, questa interruzione della gara, ci permette di fare un commento generale su ciò che si è finora sentito: brani più o meno buoni, bellissimi quelli di Malica Ayane, Enrico Ruggeri e Noemi, accettabili quelli di Ariza e Simone Cristicchi, anche se trovo ingiusto l'utilizzo di un coro popolare in un contesto completamente diverso.
Non parlo, perché già l'ho fatto prima e nell'articolo precedente, della dichiarazione "ufficiale" del "principino".
Si arriva ai giovani, e si inizia con Jessica Brando, che porta un brano in minore, dalla ritmica particolare ma non pesante, intitolato "Dove non ci sono ore". E' un brano un po' "dark", ma armonicamente e melodicamente corposo. Anche il ritornello, che potrebbe ricordare un qualcosa di più "cantabile", non permette alla senaszione di entrarci nell'anima.
Ritmicamente, direi che la canzone è un terzinato lento, una "traduzione" in linguaggio moderno di certe atmosfere anni Sessanta.
La voce della Brando, potente ed equilibrata, è in grado di avere un'intonazione quasi impeccabile, quindi voglio augurarle di poter maturare e continuare a lavorare.
Siamo con il secondo giovane in gara, Tony Maiello con "Il linguaggio della resa".
E' un altro terzinato lento, ma molto più semplice e legato ad una certa melodicità italiana più cantautorale. Devo dire che non mi sta emozionadno particolarmente, ma non mi è neanche del tutto indifferente.
Purtroppo, problema di molte canzoni degli ultimi Festival anche se non particolarmente reperibile in questo, l'orchestra riesce ad insinuarsi male, infatti forse andrebbe abolita. Dovremmo infatti ricordarci, forse, che quando questa manifestazione è nata, nel lontano 1951 su idea del fioraio Amilcare Rambaldi, un'orchestra ben fornita era l'unico modo possibile di eeseguire la musica. Oggi, forse, basterebbe far esibire ognuno con il proprio gruppo, cosiccome avviene ad ottobre durante il Club Tenco.
Eccoci a quella che è la mia canzone preferita in assoluto di questo festival, la ballata, melodica e semplice ma con venature giampierettiane interessanti, intitolata "Tu non mi dài pace", interpretata da Luca Marino. Sono molto felice di essere qui per ascoltare un'interpretazione live che, anche se non impeccabile perché si perde sulle alte, specialmente sul soldiesis, è comunque bella e non artefatta. Sono talmente stanca di stranezze, che preferisco questi brani alla vecchia maniera, queste che rivalutano le chitarre, questa sonorità così antica e piena di storia, che l'elettronica aveva quasi mandato in pensione.
Ecco un'altra grande giovane scoperta tramite questo Festival, Nina Zilli che ci interpreta "l'uomo che amava le donne". E' un brano dalla struttura antica, d'altronde in tutte le sue interviste la cantante ha confessato la sua grande passione per la musica anni Sessanta ascoltata da vinile. Ed è questo mondo che si ritrova in questa canzone dalle venature bacarackiane e jazz, interpretata da una buona voce, anche se non d'intonazione perfetta, soprattutto nella prima parte del brano. Ormai, in questo finalino, sembra essersi sciolta.
Ora Antonella Clerici sta intervistando Cristiana Capotondi, attrice che sta interpretando una riproposizione di Sissi, ruolo che fu di Romy Snaider.
Ecco la sigla del Festival di Sanremo che, pur essendo il Festival della canzone italiana (dicasi FESTIVAL DELLA CANZONE ITALIANA!), ha una sigla in inglese, completamente orribile.
E' stato appena proclamato il vincitore della categoria "Nuova generazione", purtroppo è Tony Maiello, che con un brano insipidissimo e terzinato, veramente brutto, ha superato tutti. Veramente, non so perché, ma è tipicamente sanrmese dare delle vittorie ingiuste.
Il vincitore sta ora ricantando, stonandola completamente, la sua canzone. Il microfono ha pure fischiato, anche l'ambiente si ribella alle scelte della giuria!. E' un brano banale, che non meritava assolutamente di arrivare dove è arrivato, ma va bene!
Ed ecco il secondo ospite internazionale, i Tokyo Hotel, gruppo rock, che sta cantando rigorosamente in playback, è veramente una vergogna.
Secondo me, ormai, ci si dovrebbe convincere che il Festival dovrebbe essere una vetrina per l'italianità, dove gli stranieri dovrebbero solamente cantare nella nostra lingua, così potrebbe essere veramente l'ultimo rifugio d'Italiaa in una televisione completamente colonizzata. So che queste logiche sono completamente aliene alla televisione globalizzata, che toglie ogni distinzione, che fa sì che ogni programma sia rigorosamente uguale a qualsiasi altro, e dove non ci sono più distinzioni tra sservizio pubblico e canali privati.
Secondo me, invece, il Festival dovrebbe tornare ad essere uno spettacolo fatto in un teatro, che la televisione dovrebbe solo portare nelle case degli italiani.
Siamo al momento topico, si sa chi passa ed è eliminato tra i big. Incrociamo le dita, spero di potermi liberare da Pupo e i compari dell'amore all'Italia.
Purtroppo, mamma mia, la liberazione sperata non avviene, ci resta augurarci che non vinca!ovviamente, purtroppo, di conseguenza rimane fuori Enrico Ruggeri, che d'altronde ha fatto un brano troppo bello per questa orgia indecente.
Sono felice dell'altro escluso, Fabrizio Moro era indegno.
Carissimi lettori, non vi commenterò la finalissima, probabilmente domani, come cappellino al commento alla puntata di "Canzonenapoletana@rai.it", si tirerà qualche conclusione.
Quello che mi sento di dire è che, comunque, qualsiasi genere di musica è più ascoltabile della maggior parte di ciò che passa a Sanremo!

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