Carissimi lettori, è da tanto, troppo tempo che non scrivo un articolo veramente cattivo (poi non lo è tanto!), ogni tanto nei blog anche la cattiveria trova spazio (sono sempre triste quando gliene devo dare!).
La Warner music ha appena sfornato un doppio cd intitolato "Dialetti d'Italia", nel quale in maniera sommaria ed indecisa si ripercorre un indefinito repertorio "regionalistico" nazionale.
Voglio innanzitutto disquisire sul titolo: "Dialetti d'Italia". Avrei gradito, e probabilmente la gradirei davvero se uscisse, in vari volumi monografici e non raccolta in un unico disco, un'antologia di brani cantati nei vari dialetti italiani, ma qui, signori miei non si parla di questo, si parla di fare un "Giro d'Italia" tra brani dedicati a tutte le regioni, mischiando in un unico minestrone canti usciti da penne buone ma pittoresche e fantasiose come quella di Odoardo Spadaro o di Eldo di Lazzaro, con brani scaturiti dalla nostra più profonda tradizione, perfino con dei canti di lavoro. Sinceramente mi fa rabbia che si prendano le canzoni come ex libris turistici, anzi mi imbestialisce il concetto stesso di ex libris turistico.
Voglio comunque dare un'occhiata insieme a voi alla track list, che ho qui sotto mentre scrivo, per tirare un po' di "Mazzate pesanti", tanto sono sicura che capiterà.
La prima arriva subito: questo disco, che dovrebbe essere di omaggio ai dialetti, si apre con l'inno nazionale italiano, forse per far capire che anche questo cd "federalista" rispetta l'unità nazionale. Sinceramente, "Fratelli d'Italia", lo vedo meglio inserito in un discorso sui canti patriottici, anche se poi ho le mie idiosincrasie personali che me ne fanno amare molto di più altri.
Iniziando dalla Lombardia, partiamo con una delle più brutte canzoni che si possano dedicare ad una città, la "Madunina" che, anche se è diventata popolare, è comunque d'autore in quanto l'ha composta il grande maestro D'Anzi, autore tra le altre di "Ma le gambe" o "Bellezza in bicicletta", brani che negli anni Trenta hanno fatto sognare un'intera generazione. Il brano, e qui voglio gridare un "Evviva", è interpretato da uno dei più grandi interpreti di "jazz italiano" (come lo intendo io!), ossia dal milanesissimo Alberto Rabagliati.
Sinceramente mi ci vuole un po' per accostare ad una canzone così pittoresca, come comunque è "Madunina", una "Ma mì" scritta da Giorgio Streler. Comunque il brano è bello, anche se c'è sempre una puntina di razzismo antimeridionale, che ai lombardi piace molto (non me ne abbiano!). L'interpretazione che troviamo nel cd è di Ornella Vanoni, cantante che a me non piace, anche per le sue esagerazioni "bossanovistiche" con Toquinho e De Moraes. Vorrei consigliarvi di riscoprire la versione dei Gufi, gruppo musical-cabarettistico attivo tra il 1964 ed il 1969, composto da eccellentissimi artisti.
Arriviamo a "Crapa Pelada", brano che negli anni Quaranta fece muovere il piedino a più d'uno, grazie alla scintillante musica scritta da Gorni Cramer. Lo si ascolta, e mi fa piacere, dai grandi componenti del Quartetto Cetra, che ha perso l'anno scorso il grande Virgilio Savona. Meravigliosi sono gli impasti vocali e mirabili le risposte della swingante fisarmonica dell'autore.
Devo riconoscere che quantomeno si va per regioni, ma ciò non toglie che i passaggi bruschi da concezione a concezione musicale mi dànno fastidio. Dopo lo spumeggiante Quartetto Cetra, si arriva al buono duo di Piadena che interpreta il primo canto veramente tradizionale presente nella compilation, il piemontese "L'uva fogarina".
Il secondo brano piemontese, altro salto, lo si ascolta interpretato da una buona voce come quella della Cinquetti, che forse, però, non riesce poi a ritrarre atmosfere popolari con la vivezza dovuta (preferisco "Alle porte del sole" o "Quelli eran giorni", musica leggera di buonissima qualità!).
Il terzo brano, dedicato alla città della F.I.A.T., non lo posso commentare, né posso esprimermi sul suo interprete, quindi veramente "Ciao Torino".
Subito dopo si ricorda una buona voce piemontese, il cantautore e cabarettista Gipo Farassino, uno dei partecipanti al mitico girone "Folk" del cantagiro '69. Il brano che interpreta è "Montagne del me piemunt".
Si arriva, come è giusto che sia, ad un canto alpino eseguito da un tipico coro tra i più famosi, quello delle "Penne nere". Il canto in questione è "La pastorala".
Sempre dallo stesso coro, si ascolta "Quel mazzolin di fiori", uno di quei canti che "a cappella" ha il suo innegabile fascino.
Ispirati sempre da questa atmosfera alpina, ritroviamo Gigliola Cinquetti con "La valsugana".
Arrivando in Veneto, si è piacevolmente sorpresi dalla presenza di Licia Morosini, che interpreta, e non poteva essere altrimenti, "La biondina in gondoleta".
In veneto, anche qui immancabile in un disco che più che presentare il folklore regionale ribadisce gli stereotipi che rendono insana la vita di ogni regione, arriva "I goboni", altrimenti conosciuta come "La famiglia dei gobon".
Il brano successivo mi è completamente sconosciuto, quindi non se ne parla (non riesco neanche a trascrivervelo, scusate!).
Arrivando a Trieste ci troviamo davanti "La mula de Parenzo", bellissimo canto, che qui trova la voce di Lorenzo Pilat (non so se è il Pilade che conosco io...).
Si prosegue con un canto di mondine, il più noto fra tutti, quel "Sciur padrùn da li beli braghi bianchi" che io vi consiglierei di ascoltare nella meravigliosa versione della mondina-cantante esimia Giovanna Daffini. Nella raccolta, nelle cui presentazioni è spesso usato il termine "popolare", il brano è interpretato da Gigliola Cinquetti, sulla cui carriera e sulle mie preferenze non voglio tornare.
Arrivando in Romagna, si trova un brano in dialetto bolognese che disconosco, intitolato "La raza buloneisa".
La Romagna, e non poteva essere altrimenti, è rappresentata anche dall'Orchestra Spettacolo Raool Casadei, la quale interpreta un brano che, nonostante la sua grandissima notorietà quindi il suo essere "popolare" tra la gente, non è per niente tradizionale, in quanto composto da Secondo Casadei, fondatore dell'ensemble. Il brano, valzerino sicuramente coinvolgente, è un inno pittoresco alla "Romagna mia, Romagna in fiore", ma non so quanto rappresenta l'identità effettiva della regione.
Continuando, arrivando alle nostre amate Marche, si riscopre il Canzoniere internazionale, uno dei tanti attivi in Italia nel periodo del folk revival politicizzato. Sono felice perché credo che non si trovi in giro molto materiale ristampato, ma sono scettica...
Ora iniziamo ad avere qualche problema... Ci troviamo con un salto della regione Umbria che recupereremo più avanti, infatti si arriva in Abruzzo. L'unico pezzo in dialetto abruzzese presente, anche perché è l'unico veramente famoso, è "Vola vola vola", che ascoltiamo cantare ad un barese (il grande baritono Gino Latilla) ed alla recentemente scomparsa Carla Boni, di provenienza milanese (filologia: zero!). Ciò che smorza leggermente la mia critica a questa traccia, è il fatto che si riportano alla luce due grandissimi interpreti.
Sempre di tematica abruzzese, ma né tradizionale né tantomeno scritto da un abruzzese, arriva questo bellissimo e inossidabile "Reginella campagnola", nato dalla fantasia di quell'Eldo di Lazzaro che ha lodato con parsimonia molte ragazze d'Italia ("La romanina", "Piemontesina", "Rosa bella del Molise"). La canzone in questione la scoltiamo dalla voce del "reuccio", ma io, nonostante la mia grande passione per Claudio Villa, soprattutto per quello delle origini, mi sento di consigliarvi l'ascolto della versione del toscano Carlo Buti.
"E vola vola si sa... sarà perché ti amo". La Liguria mancava all'excursus settentrionale, ma la ragione è molto semplice. Il cd contiene due versioni di uno dei più bei brani della musica d'autore in lingua genovese, "Ma se ghè penso". La prima, però, è cantata dai Ricchi e Poveri, i quali, dopo essere nati come gruppo di "trallalleri" genovesi, si sono dati al pop più commerciale, appunto la "Sarà perché ti amo" citata ad introduzione.
Il dialetto genovese ha spesso ispirato meticciati con il portoghese, con cui effettivamente ha delle somiglianze, così ecco questa sambettina anni Sessanta del grande Bruno Lauzi, che però forse stempera esageratamente il clima che comunque il brano precedente riesce a creare con la sua profonda "saudade".
Oggi sembra che se nelle compilation non si mette una "bonus track", non ci si trovi davanti ad un bel raccoltone. Il brano che chiude il cd, concepito come traccia "speciale" perché recitato, è "Ma se ghè penso" dalla voce di Gilberto Govi.
Il secondo cd inizia con il Lazio, anzi con la capitale d'Italia, e la prima traccia a lei dedicata, effettivamente in dialetto ma popolare solo perché famosa(infatti è di Garinei e Giovannini e tratta da Rugantino) è "Roma nun fa la stupida stasera". Nonostante la mia passione per il "Reuccio", già qui ampiamente confessata, lasciatemi dire che non concordo con questa scelta, perché così si è escluso un artista, che credo potesse essere contemplato dato che ha inciso questo brano prima degli anni Ottanta, come Lando Fiorini. La versione di Villa, che conosco e possiedo, non mi convince molto, perché è un po' troppo urlata.
Negli anni Settanta, nell'ambito del già ricordato folk revival, anche la canzone romana ebbe nuova linfa con brani come "Lella" (Edoardo de Angelis e Schola cantorum) o "Semo gente de borgata", scritto ed interpretato da Franco Califano. Sono felice della sua presenza in questa compilation, perché se non altro è uno dei pochi romani veri che ha cantato la città.
Capisco che ci sarebbe qualche problema di filologia se facessimo cantare "Tanto pe' cantà" a Nino Manfredi (ovviamente sono ironica!). Il direttore artistico di questa antologia ha scelto di pubblicare la versione di Claudio Villa, che nelle prime quattro tracce del disco ne interpreta due (è un grande ma basta!).
Evviva! Non si sono scordati i signori della Warner music dell'esistenza di Renato Rascel, voce vellutata della città di Roma, "piccoletto" ma grandissimo interprete. Il cantante ed attore ci interpreta un brano da lui scritto insieme a Garinei e Giovannini intitolato "Arrivederci Roma", bellissimo e tenero ritratto della capitale vista con gli occhi di un'"inglesina".
Geograficamente siamo un po' sballati, perché solamente adesso troviamo la Toscana, che, innanzitutto, è giustamente rappresentata da uno dei più toccanti brani mai scritti da Odoardo Spadaro, grande chansonnier fiorentino della prima metà del Novecento.
Il brano è sull'emigrazione e forse tengono il confronto con la sua tenerezza solo alcuni brani napoletani, molto più patetici e teatrali, sempre basati sul racconto di una profonda nostalgia della propria terra.
Per quegli sbalzi ggeografici di cui sopra, che d'altronde erano completamente normali negli anni Quaranta, il secondo brano dedicato alla toscana, o meglio alla città di Firenze, è "Mattinata fiorentina" interpretata dal milanese Alberto Rabagliati. Il brano è molto bello, il suo "E' primavera, svegliatevi bambine" mette sempre allegria, ma io ne avrei approfittato per fare un omaggio al grande Narciso Parigi, altro ottimo interprete e stornellatore toscano autentico.
La parte toscana si chiude come si era aperta, con un altro grande classico del repertorio dello "spadaccino" (Odoardo Spadaro), che interpreta "Sulla carrozzella", swing travolgente basato sull'imitazione dei tempi di una camminata di cavallo che "tanto non c'è fretta".
Finalmente si arriva alla mia regione, rappresentata da un'"Uccellin del prato" interpretato dai Cantori di Assisi. Conosco bene il canto in questione, ma non so se sia giusto prenderlo ad esempio dei canti umbri. Per avere un'idea sui canti della zona del perugino, anche se non filologicamente corretta, si può ricorrere all'album di Franco Radicchia "C'eri na volta". E' vero che il modo di cantare è un po' troppo da coro da chiesa, ma è buono. Per chi fosse invece interessato ad una "riproposta" filologica del repertorio umbro, vi consiglirei di cercare i due lp della Brigata pretolana, che si accompagnava con cucchiai, coperchi e padelle. Infine, chi è interessato ad una "riproposta" moderna, spesso anche troppo "ripulita", anche se non disdegna alcuni momenti di filologismo altrettanto esagerato, consiglio il lavoro dei Sonidumbra.
Arrivando in Sardegna, come si è visto non sempre si segue l'ordine geografico di venuta delle regioni, si ascolta una "No potho reposare", eseguita da un interprete a me sconosciuto. Vi consiglio, da sua fanatica impenitente, la versione di Maria Carta, per me la migliore interprete sarda in assoluto.
Si prosegue con "Zitta mugliera me'", brano interpretato dal Nuovo Canzoniere Molisano, ma io non ve ne posso dire niente, come della successiva "lu squartare".
Arrivando in Calabria lasciatemi gridare un "Evviva!". La regione infatti è rappresentata da quello che tutt'ora, da cinquant'anni a questa parte, ne è il più grande ambasciatore il chitarrista, cantante e ricercatore Otello Profazio. Il suo momento è costituito da una tarantella calabrese, inverità abbastanza fiacca, intitolata "E ballati e ballati" e da una meravigliosa "Calabrisella". Su quest'ultimo brano, secondo testimonianze dello stesso Profazio nel libro "Otello Profazio" edito dalla Squilibri di Roma nel 2007, si può dire che è un brano di studenti universitari, raccolto ed inciso dal cosentino proprio in quel suo particolare periodo.
Arrivano ora due belle spine nel fianco di questa antologia, la Puglia e la Sicilia. Per la prima regione, si è deciso di ignorare tutto ciò che è Salento leccese, ma questa può essere anche una lacuna giustificabile, pensando che negli Anni Settanta non si è prodotto materiale sufficientemente "digeribile" dentro simili operazioni. Quello che non giustifico, anche per la presenza di brani settentrionali credo sconosciuti ai più, è l'assenza del grande garganico Matteo Salvatore, di cui almeno si sarebbe potuta mettere "Lu sovrastante", che partecipò al "Cantagiro". La regione è qui rappresentata da Tony Sant'Agata, che presenta uno dei più conosciuti canti tradizionali intitolato "Quant'è bello lu primm'ammore" e Domenico Modugno, di cui è presente "Notte chiara", brano che non conosco.
In Sicilia, e non poteva essere altrimenti, si è andati a prendere "Vitti 'na crozza" e "Ciuri ciuri" nell'interpretazione di Franco Licausi (che non conosco). Non posso giudicare i singoli brani, voglio dire che trovo quantomeno ingiusta l'assenza della grandissima Rosa Balistreri, la quale negli anni Settanta godette di una certa popolarità, che la portò a tentare di partecipare ad un Sanremo (cosa che non riuscì perché si scoprì che la canzone era già stata edita) e a prendere parte alla Canzonissima 1974.
Si conclude, come forse è giusto che sia, con la Campania, la cui rappresentazione inizia con una bellissima canzone napoletana intitolata "Malafemmena" ed interpretata da Giacomo Rondinella, che ne fu effettivamente il primo traghettatore verso il successo (complimenti!).
In rappresentanza del repertorio comico, si trova questa "Dove sta zazzà", che si ascolta dalla voce di quello che ne fu uno dei più convincenti esecutori, il grande "cantattore" Nino Taranto.
Si continua, e non poteva essere altrimenti, con "'O sole mio", brano che ascoltiamo nella versione di Massimo Ranieri, che io ritengo poco convincente. Io consiglio, a chiunque voglia sentire una versione pronunciata correttamente e ben cantata, quella del grande ma dimenticato tenore napoletano Tullio Pane.
Sempre dalla voce di Massimo Ranieri, subito dopo si ascolta "'O surdato 'nnammurato", di cui il nostro ci ha dato una versione unica nel suo primo album dal vivo dedicato alle canzoni napoletane (1972).
Il cd si chiude con una "bonus track", ossia con la più bella poesia scritta da Antonio de Curtis (Totò) e da lui recitata, la difficilissima e profonda "'A livella".
Non so cosa dirvi su questo disco, ci sono delle cose che non solo apprezzo ma approvo ed applaudo, altre così così, altre discutibilissime. Fate voi, io vi ho solo voluti avvisare della sua uscita.
giovedì 18 febbraio 2010
Riflessioni su "Dialetti d'Italia" (Warner music, 2010)
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"dialetti d'Italia",
18 febbraio 2010,
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