Carissimi lettori, voglio parlarvi, ed è la prima volta, di un film (non è solo questo ma per ora va bene) intitolato "Craj". E' del regista pugliese (non so se salentino o garganico, la parola pugliese andrebbe abolita!) Davide Marengo. E' dedicato, con un miscuglio sicuramente ben riuscito tra spezzoni di concerto e parti pseudoteatrali rifatte in studio, allo spettacolo omonimo creato da Teresa de Sio in collaborazione con l'allevatore di cavalli, cantante a tempo perso, Giovanni Lindo Ferretti.
Le cose vergognose sono tantissime, e questo articolo sarà un bell'elenchino.
Intanto, e questa è la prima e forse più raccapricciante, in un film che si vanta di essere un omaggio alla tradizione, si dà più spazio a Giovanni Lindo Ferretti (neoconvertito al folk e già ritornato alle cose sue) ed alla De Sio (che di tradizionale ha solo il fatto d'aver cominciato con i Musicanova), che a chi questa tradizione la porta avanti seriamente e magari le ha dedicato tutta la vita.
La storia, praticamente, è quella di un viaggio in Puglia, compiuto da Floridippo (Giovanni Lindo Ferretti), cavaliere e cavallerizzo nobile che sogna, non mi ricordo bene, di essere stato ispirato da non so che cosa. Ne parla a Bimbascione (Teresa de Sio), suo servo, che gli racconta qualcosa che ho altrettanto dimenticato. Inizialmente i due mondi (quello nobiliare basato sui libri e la cultura "ufficiale" e quello del popolo impregnato di tarantelle e tarante in maniera abbastanza stereeotipa, credo addirittura che Bimbascione sia un tarantolato), cozzano, per arrivare, poi, grazie ad un "attarantamento" vergognoso di cui parleremo tra un po', ad una convivenza e direi ad un osmosi completa. La cosa in sé, non solo non mi dispiace, ma la auspico. Quello che mi fa imbestialire è come viene ottenuta o prospettata.
Ovviamente, poi, la maggiore caratterizzazione dei personaggi la si fa linguisticamente, facendo parlare Bimbascione in napoletano e Floridippo in italiano forbitissimo, che vi giuro che sulla bocca di Ferretti arriva ad una sguaiataggine inaudita.
Naturalmente, io, essendo non vedente, non posso parlare né delle immagini, né della fotografia, né di tutti quei particolari che sarebbero fondamentali per la valutazione di un film. Più che una recensione dello stesso, infatti, da ora in poi, questo articolo sarà un commento alla sua colonna sonora.
I protagonisti della pellicola, per quanto riguarda la tradizione, sono I cantori di Carpino, Matteo Salvatore (rappresentanti della tarantella e della tradizione del gargano), oltre ad Uccio Aloisi e Pino Zimba per il Salento. Tutti i brani eseguiti durante il lungometraggio, meno il già citato "attarantamento" di cui si riparlerà tra un pochettino, sono tratti dai loro repertori, ma non tutti vengono cantati da loro. (purtroppo leggete sotto e vedrete chi canta!)
Bisogna dire poi un "brava" alla Teresa rock, perché anche in questo ci vuole della bravura, per quanto possa sembrare paradossale, poiché è riuscita a far tirare fuori il peggio di loro a questi mostri sacri (c'era già riuscito anche l'Ambrogino nazionale durante le sue n.d.t. con Zimba).
Il primo brano musicale interpretato (è troppo ma non mi viene una parola migliore) dalla De Sio è una "Montanara", che lei continua imperterrita a chiamare "Tarantella del gargano" nonostante che si è appurato il falso storico, perché questo giro è diffuso in tutto il sud Italia ed il testo non è per niente tradizionale. (Conoscete Andrea Sacco, fondatore ed anima dei Cantori di Carpino? Quel capolavoro è opera sua!) Venendo concretamente all'interpretazione, è qualcosa di gigantesco, sguaiato, indescrivibile, antiromantico, arrabbiato, sceneggiato, vergognoso. L'accompagnamento, poi, è fatto da una tammorra muta suonata come se fosse una zappatrice che lavora la terra (questo è Zimba, che in condizioni "normali" è uno dei migliori tamburellisti de lu nosciu salentu); da una chitarra, non ricordo se classica o acustica, che fa dei giri inclassificabili, a tutto riconducibili fuorché al folklore; una fisarmonica che non vi so dire che ci fa, data la sua totale assenza nella tradizione garganica (dimenticavo che il sud è tutto uguale quindi pace fratelli!).
Un altro momento vergognoso, se è possibile anche peggiore di quello appena descritto, è l'interpretazione, sempre da parte della De Sio, del brano "Lu bene mio" di Matteo Salvatore. Non so quanti di voi si ricordano la voce del "cantastorie foggiano", ma vi dico che è vellutatissima. Inoltre, il signore in questione, nonostante non avesse mai studiato musica, era padrone di una tecnica chitarristica sopraffina, piena di sfumature, particolari ecc. La De Sio, che accompagna il brano con una chitarra con corde d'acciaio, mentre nel nostro folklore è meglio usare il nilon perché sono già molto metallici alcuni nostri strumenti, non solo non riesce a restituirne la dolcezza , , ma lo canta come se fosse una sceneggiata rock (pensate ad un misto tra "zzappatore" ed un bel rock a vostra scelta, basta che sia bello e arrabbiato). Insomma, due serenate così dolci e romantiche, vengono piegate a degli stereotipi pseudopopolari (la De Sio così è convinta di cantare "etnico", ma né la Tora Marzo né le anziane napoletane cantavano così: cantavano meglio!).
Io sto andando per il film a zig zag, sinceramente non sono stata ad appuntarmi l'ordine delle scene quando l'ho visto, anche perché non pensavo che ne avrei fatta una recensione.
Veniamo quindi all'"attarantamento", che è sicuramente il momento più vergognoso. Quando i due mondi citati prima cominciano piano piano ad entrare in contatto, dato che il punk dei CCCP (gruppo storico di Giovannino Lindo Ferretti) usava spesso il concetto di noia ("mi annoio normalmente mortalmente, mi annoio mortalmente normalmente") ecco qui delle bellissime rielaborazioni, che costituiscono un medley, a tempo di pizzica (modello "Menevò" degli Officina Zoè) di alcuni brani del loro repertorio. A me, sinceramente, dato che il chitarrista che accompagnava questa parte non suonava malaccio, all'inizio era anche piaciuta l'idea ritmica (il brano salentino a cui l'ho paragonata è uno dei miei preferiti). All'arrivo del canto, sinceramente, sono morta dal ridere, anche perché Lindo Ferretti sfoderava delle tonalità baritonali, che più che ad un cantante punk, facevano pensare ad un essere spettrale.
Poi, credo subito dopo ma non ne sono sicura, arriva una pizzica tarantata (dove i tamburelli vanno in controtempo tanto c'è il violinista dei Nidi d'Arac a terzinare). Dopo l'esecuzione da parte della De Sio di alcune strofe popolari (le solite: "Santu Paulu meu..."), il punktarantato nordico si prodiga in uno "Sparajurisperajurisparajurisperajuri" e in un "Leccegrecosalentinoleccegrecosalentino" di "sparagnesca" ed innaturale impostazione (un re centrale terzinato manco la pizzica fosse house music che per farla ci vuole una nota sola!).
L'ultima grossa vergogna, a livello tecnico, perché poi tutto il film sin dalla sua struttura è una vergogna, è il micropezzettino dell'"Aria caddrhipulina" interpretato da Zimba. A parte il fatto che la De Sio, con la sua proverbiale e già ricordata sguaiataggine, grida a Zimba: "Cantaci una canzone!" come durante un concerto rock si potrebbe gridare "Su le mani!" (Purtroppo tra l'altro nel Salento questa frase la si grida anche durante i concerti di musica popolare!). L'interpretazione di Zimba, molto più alta di quello che si potrebbe permettere, limitata ad una sola strofa, è veramente indecente, e la sua presenza dimostra la voglia che la De Sio ha di tradizione.
Veniamo alle poche parti belle del film. Vi sono, distribuite per tutta la sua durata, piccole interviste ai "grandi vecchi" della Puglia: i due "Ucci" garganici (Piccininno e Maccarone), Matteo Salvatore ed Uccio Aloisi. Loro, signori miei, per quel poco che possono, tentano di ricordarci, con il loro italiano inconfondibile ed un po' stentato, che questa musica non è solo della festa, soprattutto che la festa avveniva dopo tantissima sofferenza. (Anche se Maccarone, personalità molto esuberante, ringrazia Bennato e la De Sio che gli permettono di non stare sempre a guardare il suo orticello. Anch'io sono contenta che questi vecchi escano fuori, ma queste persone li sfruttano per i loro maledetti interessi e basta, approfittando del fatto che non se ne accorgono!)
E' un film che non serve a niente, sguaiato, volgare, stereotipo, con un mare di banalità, con interpretazioni al limite del sopportabile, insomma ve lo sconsiglio!
Nei vari dialetti delle zone di provenienza dei protagonisti meridionali, la parola "Craj" significa "Domani": se questo è il "domani" del folklore italiano, sinceramente Dio ce ne scampi e liberi!
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