Carissimi lettori, voglio parlarvi dell'ultimo cd di Claudio Lolli, un cantautore bolognese non particolarmente conosciuto, anche perché, siamo sinceri, l'emarginazione lui se la è un po' cercata.
Il cd, intitolato "Lovesongs", è uscito, come una ormai lunga serie di suoi album, per l'etichetta indipendente, fortunatamente ben distribuita, Storie di note.
Claudio Lolli, ultimamente, grazie a Luca Carboni, è ritornato alla ribalta con uno dei suoi classici indiscussi, "Ho visto anche degli zingari felici". Questo cd, però, non risente assolutamente di quelle atmosfere. E' un disco sul Lolli intimo, che ci sbatte in faccia il miglior repertorio d'amore del cantautore bolognese, che ci arriva come qualcosa di forte ed improcrastinabile.
Il cd, come molti concerti di Claudio Lolli, è caratterizzato da un osmosi tra suoni elettronici, che umilmente fanno tappeti, e suoni acustici, che con la loro libertà, aiutano il cantante nelle sue evoluzioni, che di canto hanno sempre meno. Infatti, la caratteristica principale di Lolli, almeno da vent'anni a questa parte, è una sperimentazione di un "canto parlato", che forse non permette più di cantare i brani del bolognese come si fa con "Borghesia" od "Aspettando godot", ma magari obbliga a dare un peso grandissimo alle parole, che diventano quasi metafora di cose profonde che non riescono a dire.
Il cd, si può dire che è un omaggio al sassofono, strumento a cui Lolli è particolarmente legato, se si pensa che era lui a fare da strumento-bussola nella prima versione di "Ho visto anche degli zingari felici", risalente al 1976.
Questo cd, "Lovesongs", si apre con un brano che si intitola "La pioggia prima o poi", che io non avevo mai sentito. E' un dialogo con un personaggio femminile, come quasi tutte le canzoni d'amore del bolognese, nel quale l'uomo, Claudio Lolli, dice con forza e senza pietà tutto ciò che gli scorre dentro, con un fiume tellurico di parole.
Questo fiume tellurico di parole è un po' il filo conduttore di tutto il cd, che ripercorre brani che, offuscati da quelli politici, sicuramente più facili e noti, non hanno nemmeno avuto la possibilità di avere spazio e respiro nell'anima di noi lolliani.
Dopo "Aspirine", brano che senza molta imprecisione si potrebbe definire il "seguito naturale" de "La pioggia prima o poi", ho provato la prima grandissima emozione, riscoprendo la ballata "Donna di fiume", dedicata ad un amore randagio, con una poesia degna di Dante o del migliore e più poetico De Andrè. Il brano, originariamente contenuto in "Canzoni di rabbia" del 1975, diventa qui intimo e viene spogliato di quello sperimentalismo un po' semplicistico, che forse si può ritrovare specialmente nel secondo e nel terzo vinile di Lolli, rispettivamente "Un uomo in crisi" e il già citato "Canzoni di rabbia". Qui, le dissonanze del sassofono, veramente dànno l'idea di trovarsi in un letto di un fiume, forse semplicemente di quello della vita, che scorre senza soluzione di continuità.
Subito dopo arriva un brano a cui sono particolarmente legata, la ballata "Dita". In questa versione, incisa dodici anni dopo la prima contenuta nel disco "Intermittenze del cuore", Lolli ci fa sentire veramente la dolcezza che è insita nelle parole, anche attraverso il canto, che si muove sui registri gravi della voce, che spesso il cantautore usa solo come tappeto. Il ritmo, qui, viene portato ad una lentezza che non mi permette di classificarlo, ma che me ne ha fatto davvero innamorare, ancora una volta. Questo brano, ed ora voglio approfittare per scrivere la mia testimonianza di gratitudine, è stato tra i primi che mi ha avvicinato allo stile di questo cantautore, che senza la tristezza artefatta che tanto va di moda ora, ci racconta l'interiorità che è un argomento spesso dimenticato da molti interpreti nati musicalmente tra la fine degli anni '60 ed il decennio successivo, troppo impegnati a sbandierare canzoni come coccarde di violenza e demagogia.
Il finale del brano, parlando da un punto di vista propriamente musicale, è molto interessante, per un dialogo tra due sassofoni, che si stende su un leggero tappeto elettronico, che permette anche alla chitarra di Paolo Capodacqua, ormai compagna inseparabile di Lolli, di dimostrare il suo virtuosismo pur nella semplicità degli accordi impiegati, d'altronde quelli che da dodici anni a questa parte contraddistinguono il brano.
Subito dopo arriva "Quello che mi resta", brano ripescato da quell'"Aspettando godot" ricordato forse più per la foto di Lolli in serigrafia sulla moneta da cinquemila lire, che per il suo effettivo contenuto. La nuova versione del brano, lo confesso, mi sta permettendo finalmente di scoprirlo. E' accompagnata dalla chitarra di Paolo Capodacqua, che su un tappeto elettronico quasi per niente percettibile ad un ascolto medio, esegue armonie molto classiche, quasi barocche, che permettono a Lolli di vivere le parole con la flemma che lo contraddistingue, da quando ha deciso che cantare sempluicemente forse per lui era troppo poco. Il sassofono, poi, come su quasi tutti i brani, tormenta e lotta con la voce, che però da questa lotta e da questo tormento, non esce fiaccata, semmai aiutata. Armonicamente, questa è una caratteristica per "intenditori", la strofa viene conclusa correttamente solo poche volte. A me di solito caratteristiche di questo tipo dànno un po' fastidio (ad esempio non mi piace quella parte della versione de "Il testamento di Tito" con accordi "innaturali" presente nell'ultimo concerto live di De Andrè). Lolli, però, sa mettere il tutto insieme con una classe che mi lascia vinta, che non mi permette di parlare male di questo cd.
Andando avanti c'è una canzone, che non conoscevo, intitolata "Notte americana", pervasa da quell'"Angoscia metropolitana", che, forse, potrebbe essere elevata a caratteristica base dell'ultimo Lolli, amante delle dissonanze, e per niente incline alla facilità del "cantabile".
La penultima traccia, la più acustica, si intitola "Non aprire mai", ed è un brano in cui, in nome di quell'osmosi che Lolli ha con il mondo femminile nelle sue canzoni d'amore, si narra e si vive tutto dal punto di vista di una donna. E' un brano dove, chi racconta, che interviene solo ossessivamente con il verbo "diceva", non permette di sfuggire al fallimento di ogni tentativo di comunicazione o anche di conoscerci dentro, che poi, forse, sarebbe la cosa più importante.
Il cd si chiude con un brano del primissimo Claudio Lolli, che io avevo quasi scordato, perché confesso di non riuscire ad ascoltare i primi tre dischi del cantautore, intitolato "La giacca". Il tappeto di basso, elettronico, è composto da un "mi", che dà un ritmo ossessivo e calcolato, ad un brano che credo non l'avesse. Questo ritmo, però, non viene seguito da nessuno degli altri strumenti, che si dipanano in improvvisazioni dialoganti con la voce del cantautore, che si "sdraia" su alcune lettere, specialmente su alcune consonanti.
Scusate se con questo articolo ho descritto pochissimo il cd di cui ho detto di parlare, e ne ho approfittato per parlare un po' di Lolli e farvelo ricordare o scoprire. E' un disco che incanta, intrappola, ma anche voi, credo, avrete assolutamente difficoltà a descriverlo o criticarlo.
Amici, buon ascolto, e riprendete tra le mani il virtuosismo di un poeta maledetto, intimo, triste, ma sincero e vero.
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