Carissimi lettori, ho l'onore di pubblicare un'intervista, quasi un monologo, al cantastorie siciliano Franco Trincale.
D: Innanzitutto nella sua famiglia circolava della musica quando lei era molto piccolo?
R: Quando ero piccolo, verso i sei sette anni, circolava la musica che ascoltavo più che altro in radio, perché le condizioni economiche della mia famiglia erano tali che non si poteva permettere di comprare dischi, che oltretutto si rompevano. Una passione molto forte di mio padre, oltre a quella per la canzone napoletana, era Claudio Villa. Questa, insomma, è stata la mia prima formazione musicale.
D: Quando hai incominciato a fare il cantastorie?
R: Prima di rispondere, devo spiegare perché ho deciso di fare il cantastorie. Quando avevo sette o otto anni, tra le cose che mi emozionavano di più, c'erano i cantastorie che venivano sulle piazze del mio paese (Militello in val di Catania). Questi salivano su una sedia in piazza, la maggior parte senza microfono né altoparlanti, perché la tecnologia costava troppo cara, e con un cartellone di tela, con su disegnate a fumetto le storie che raccontavano, attraevano me e tutta la gente. Io poi amavo molto la musica, oltre al racconto, di cui mi appassionava arrivare alla fine. Bisogna dire, poi, che a quei tempi (anni '40 n.d.r.) l'analfabetismo era molto diffuso, soprattutto tra i poveri, che potevano mandare appena i figli alle elementari, come stavo andando io. Saper leggere il giornale era da pochi, si pensi che in un paese di circa 10000 abitanti, come il mio, appena un centinaio di persone lo facevano. Insomma, il cantastorie era quello che portava in giro i fatti che accadevano, arricchendoli di particolari più tragici ed esagerati, conseguendo così un maggiore ascolto, come oggi può fare la televisione (che quindi non ha inventato niente, per cui avrebbe il dovere di dare spazio a questi suoi "maestri misconosciuti" n.d.r.). A me, queste cose piacevano particolarmente, anche perché, da sempre, io ho posseduto una discreta voce. Ciò che mi ha dato la possibilità di farmi sentire, è stato il fatto che mio padre, che come tutti i genitori poveri aveva scelto per me un mestiere e mi faceva studiare solo il minimo per saper scrivere e leggere, avesse deciso che io dovevo fare il barbiere. Da noi, va detto, il barbiere era quasi sempre un suonatore, o di chitarra o di mandolino, che spesso doveva anche portare le serenate a fidanzate od amanti. Il mio principale, appunto grazie alla mia discreta voce, mi portava sempre con lui, facendomi cantare canzoni napoletane. Io, poi, quando andavo a sentire i cantastorie, con il tempo mi rendevo sempre più conto che questi, rimanendo ancorati a vecchi gusti musicali, si allontanavano sempre di più dalla mia generazione.
Per quanto riguarda la scelta di fare il cantastorie, risale a dopo il mio ritorno dai sei anni in Marina militare, dove io ero andato perché attratto da questo mito del marinaio che navigava e si fermava nei porti, così diverso da noi gente di collina o campagna. Anche in quei sei anni ho continuato a cantare e ad essere polo d'attrazione per i miei commilitoni e, quando sbarcavamo, per la gente che andava nelle trattorie dove ci fermavamo.
Il mio abbandono della Marina militare e della carriera di sottufficiale, è dovuto al fatto che io mi fossi innamorato di una ragazza, la mia attuale moglie. Il regolamento della mia carriera, mi impediva di sposarmi, quindi io mi congedai e feci la "fuitina" (scappare da casa di nascosto n.d.r.).
Dopo, però, mi trovavo sposato senza nessun mestiere perché non avevo completato l'apprendistato dal barbiere, quindi dissi a mia moglie di voler fare il cantastorie e lei fu d'accordo. Così mi trovo a fare il cantastorie nelle piazze siciliane, alternando le storie a ballate (Trincale le chiama "canzonette" n.d.r.) fatte sulla base dei gusti della mia generazione. Contemporaneamente, va da sé, io continuo ad acquisire, anche come consumatore, ciò che va di moda all'epoca come Nilla Pizzi, Claudio villa o Sergio Bruni, per citare un napoletano, ma io amavo dire qualcosa di mio. Così dedico una canzone a mia moglie, scrivo "Cantata di lupara", ballata in siciliano dedicata alla morte di un sindacalista (Salvatore Carnevale n.d.r.).
D: Quindi diciamo che il Franco Trincale impegnato comincia ben presto a farsi sentire.
R: Diciamo che i miei inizi sono stati caratterizzati da temi già trattati da altri cantastorie come Ciccio Busacca o Ignazio Buttitta, che forse sono anche migliori di me, ma non hanno capito che ci voleva una svolta musicale (le ballate dei cantastorie antichi potevano anche durare mezz'ora ognuna! n.d.r.). Dopo questa serie di rielaborazioni personali di temi precedentemente cantati da altri, c'è stata la scelta di venire al nord, il cantare per gli operai ecc.
D: Le volevo chiedere, infatti, quando decise di venire al nord e quanto questa venuta ha influenzato il suo modo di concepire la figura del cantastorie.
R: Le racconto cosa accadde e perché decisi di lasciare la mia Sicilia. Fu una scelta vigliacca tra virgolette, ma fu causata da fatti politici, per lo meno per molta gente. Ci fu una grossa emigrazione di massa, quando si ruppe il fronte antifascista ed il PCI fu scalzato dal governo. La motivazione che mi spinse ad emigrare, invece, fu quella, istintiva, del voler fare più soldi, e del pensare al mio mestiere di cantastorie come qualcosa di provvisorio. Lascio in Sicilia mia moglie, peraltro incinta, vengo con un mio "compare", quello incaricato di vendere i miei foglietti quando stavo in Sicilia, dicendogli sempre che questo è un mestiere provvisorio.
A Milano inizio a cantare, usando, ancora una volta l'arma della bella voce e le canzoni napoletane che alterno alle mie ballate in siciliano, perché ho paura che i milanesi non le capiscano. Io, venendo a Milano, oltretutto non so neanche dove posso esibirmi. In Sicilia, in fondo, bastava andare nella piazza centrale di un paese e, anche se la gente non aspettava il cantastorie, comunque si fermava e per cercare lavoro bastava un "caporale".
A Milano, invece, ben presto mi iniziai ad esibire in piazzette semicentrali (perché a Piazza Duomo, dove Trincale poi sarà presenza fissa non lasciavano cantare n.d.r.), aiutandomi con un cassettina della "Geloso". Era una valigetta quadrata dove c'erano due altoparlanti ed un amplificatore, che andava a corrente. Spesso entravo nei bar, anche gestiti da napoletani, che restavano sempre sorpresi. La gente era ricettiva, ma ovviamente si fermava più durante le canzoni napoletane che per quelle siciliane. Questo è il periodo in cui nel mio repertorio figurano "Malafemmena" , "Anema e core" o "Lazzarella". A queste esibizioni, che spesso venivano anche fatte dai balconi o dalle case di ringhiera, la gente ci buttava i soldi, che il mio compare raccoglieva in un cappellino che aveva comperato dato che i foglietti non li poteva vendere. Allora, però, io soffrivo interiormente. Facevo comunque qualcosa, riuscivo a mandare soldi a casa, poi addirittura trovai una pensione dove chiamai mia moglie, che doveva partorire. Per il parto allora si era abituati alla mammana (balia n.d.r.), quindi noi due tornammo in Sicilia. Subito dopo, altrettanto insieme risalimmo a Milano.
Il vero passaggio, però, avviene quando nel mio peregrinare, scopro lo spazio fisico della fabbrica . Tra le prime fabbriche dove ho cantato si possono ricordare l'Allemagne, la Motta, la Gelosa e l'Alfaromeo (i cui operai gli regalarono la chitarra autografata che ancora suona n.d.r.)
Quando comincio a frequentare questi luoghi, l'Alfaromeo soprattutto, mi inizia a maturare una "coscienza operaia", perché i lavoratori, anche se ascoltavano le ballate in dialetto, capite dai numerosi emigrati, mi iniziavano a dire "perché non fai qualcosa in italiano?". Fu così che io iniziai a scrivere "la ballata dell'operaio", "Quelli dell'Alfa" ed altre canzoni. Con questo nuovo repertorio iniziai a frequentare le Feste dell'Unità, ad essere chiamato in qualche scuola, eccetera.
D: Lei come la compone una ballata?
R: Per comporre una ballata mi ci vuole senz'altro uno stimolo, non posso farlo pensando di guadagnare più soldi o all'opportunità. Avendo io ormai una coscienza ben precisa, maturata accanto agli operai ed ai lavoratori, scrivo le ballate sulla base dell'interesse e della cronaca, che si legge sui giornali o si trova vivendo. Quando la mia emotività mi butta fuori il motivo della ballata, io già ho nel cervello il testo e la quadratura musicale degli accordi, che poi è molto semplice. Se sono in strada, ad esempio, memorizzo il brano sul cellulare, già cantato, oppure giro con una penna, "l'arma che non devo mai dimenticare".
Ultimamente esco più poco nelle piazze, sia perché ho avuto una grave malattia, sia perché, comunque, ho settantaquattro anni. Ora, quando vado a cantare, non mi faccio quasi pagare più, e la gente resta sorpresa.
Avrete notato che Franco Trincale è un personaggio particolare, con una personalità ed una storia molto forti. Per scoprirlo si può andare sul sito http://www.trincale.com/, dove si trovano anche alcune sue ballate da ascoltare e vedere. Per trovare un elenco di testi del suo repertorio, si può andare anche su http://www.ildeposito.org/.
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