Carissimi lettori, ultimamente, come sapete, la musica italiana è stata funestata da tantissimi lutti, ma purtroppo non è assolutamente finita.
L'altroieri notte, a Milano, si è spento il grande Carlo Alberto Rossi, autore di molti dei classici della canzone italiana, spessissimo catalogabili in quel limite inesplorato dove io amo muovermi.
Non mi va di raccontarvi la sua vita, che è stata molto lunga ed intensa, tengo molto di più, aiutata da una lista di sue canzoni, a parlarvi di qualche brano da lui scritto per farvi ricordare questo grande autore.
Si inizia con un brano risalente al 1946 intitolato "Conosci mia cugina", lanciato in quell'anno da Ernesto Bonino e Natalino Otto, due tra i più notevoli cantanti di jazz italiano (nel senso di jazz all'italiana, non di jazz fatto in Italia!).
E' veramente un gioco con queste parole americane che, dopo il giogo utarchico del fascismo, che comunque aveva bene o male posticipato l'imbarbarimento della nostra lingua che ora accoglie parole straniere anche quando non servono, arrivavano finalmente libere. Musicalmente è un swing meraviglioso, che è stato anche ripreso da Renzo Arbore nel suo "Tonite Renzo swing".
Carlo Alberto Rossi, come molti autori in quegli anni, non ha disdegnato neanche le collaborazioni in un altro ambito a noi molto caro, ossia la canzone napoletana. E' del 1951 "Eco tra gli alberi", con testo del grande Enzo Bonagura, che in quel periodo portava a Napoli alcuni dei suoi ultimi grandi capolavori ("Sciummo" ed altri brani del repertorio del Festival di Napoli).
Un altro classico napoletano, in lingua partenopea emolto più noto del precedente, è "'Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e luna", interpretato tra gli altri anche da Roberto Murolo, ma composto in collaborazione con un altro grande chitarrista partenopeo, Ugo Calise. In questo brano, forse più che in "Conosci mia cugina", è riscontrabile una vera volontà di far combaciare la bellissima e corposa melodicità del nostro canto con le raffinate sonorità del jazz americano. Da questo punto di vista, la versione di Murolo, cantante caratterizzato da questa doppia formazione, è veramente esemplare. La si reperisce nella sua bellissima, e qui ripetutamente citata, "Napoletana. Antologia cronologica della canzone partenopea", edita originariamente dalla Durim tra il 1959 ed il 1963, ma ora facilmente reperibile in cd, in varie edizioni di varia qualità e valore.
Dalla collaborazione con Ugo Calise, l'anno dopo scaturisce una delle più belle canzoni d'amore che la musica napoletana abbia mai conosciuto, intitolata "Me so' 'mbriacato 'e sole", altro esempio mirabile di swing con la melodicità napoletana più che rispettata. Va detto, infatti, che il dialetto napoletano (in verità è una lingua a cui manca un più che meritato riconoscimento statale, ma questa è un'altra storia!), con le sue sonorità dolci e segretamente scure, è veramente adatto a farsi trasportare verso queste atmosfere. Il brano, su cui forse vale la pena di fermarsi, in verità è composto da due parti, corrispondenti millimetricamente alla divisione tra strofa e ritornello. Le strofe, che potrebbero ricordare alcuni brani del repertorio di Salvatore Di Giacomo soprattutto per la presenza dell'intervallo di seconda aumentata che rende "mista" la struttura minore della frase melodica, non hanno spesso un ritmo definito, anche se, con molta approssimazione, potrebbero essere considerate degli accenni di "habanera". Il ritornello, che va invece verso uno schietto modo maggiore, è un bellissimo esempio di jazz ballad, cosiccome lo era "'Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e luna". Anche qui, non poteva essere altrimenti, si consiglia l'ascolto della versione di Roberto Murolo.
Del 1958, frutto della collaborazione con Alberto Testa, è una canzone, non molto conosciuta, lanciata da Fred Buscaglione (cantante di cui tra l'altro quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte). Il brano, pur non essendo propriamente un brano melodico, come possiamo considerare "Love in Portofino" (un altro dei classici del grande torinese) non è nemmeno un swing come molte "Kriminal songs" ("Eri piccola", "Che notte", "Teresa non sparare" ecc). E' veramente curiosa e, soprattutto, è uno dei brani che porta più fortuna tra quelli che mi è dato di conoscere. (Il brano si intitola "Al chiar di luna, porto fortuna").
Dell'anno successivo è da segnalare un altro capolavoro in lingua napoletana, ancora una volta scritto con Ugo Calise. Il brano, intitolato "Nun è peccato", è una delle poche gemme che possiamo trovare nel repertorio di Peppino Di Capri. La versione più nota è quella terzinata, che poi è l'originale, ma è notevole anche quella di Fausto Cigliano, in un'epoca in cui ancora costui non aveva preso la decisione di essere solamente chitarrista. Il brano viene interpretato con un'orchestra da night e a tempo di "bolero cubano", ed è interpretata dal cantante con una sensibilità di "crooner" veramente sopraffina.
Gli anni Sessanta iniziano con uno scoppiettante twist lanciato da Joe Sentieri, cantante noto perché concludeva tutte le sue esibizioni con un "saltino", che rappresentava solo la sua gioia ogni volta che concludeva un'esibizione di musica leggera, repertorio con cui, in fondo, per sua stessa ammissione, non si è mai identificato. Il brano, lanciato al Festival di Sanremo 1960, in cui il cantante interpretava anche "E' mezzanotte" insieme a Sergio Bruni, è stato anche interpretato da Renzo Arbore nella trasmissione "Quelli della notte", ma ho sempre trovato la versione deludente e volgare. Ovviamente ci si riferisce a "Quando vien la sera".
L'anno dopo, sempre al Festival di Sanremo, Rossi presenta "Le mille bolle blu", brano che gioca, grazie anche al fantastico e geniale testo di Vito Pallavicini, con la bravura interpretativa di una Mina strepitosa. Particolarmente curioso, secondo me, è l'inciso che fa da introduzione e frase divisoria tra le varie parti del brano, dove si immaginano delle bolle di sapone che "volano nel cielo".
Nel 1964, con la collaborazione di Giorgio Calabrese, paroliere che già aveva scritto capolavori come "Il nostro concerto" su musica di Umberto Bindi che lo aveva lanciato nel 1959, compone "E se domani", una delle tante canzoni ingiustamente ignorate dal pubblico del Festival di Sanremo, che poi, nella versione di Mina, diventa un classico universale della canzone d'autore italiana. Va detto, a parziale giustificazione del verdetto della giuria sanremese, che gli arrangiamenti delle versioni che si sentirono all'Ariston, da parte di Gene Pitney e Fausto Cigliano, sono abbastanza deludenti. La versione di Mina, brillante esempio di swing all'italiana, con un'importante sezione di archi, è perfetta. La cantante, sempre portata a spogliare in maniera spesso esagerata i propri brani, soprattutto da una trentina d'anni a questa parte, ne ha dato una versione piano e voce che però non consiglio.
Del 1966 è questa "Se tu non fossi qui", un'altra canzone che, dopo essere stata ignorata al Festival di Sanremo, divenne un classico nella voce di Mina. La versione della cantante di Cremona è perfetta, le originali non me le ricordo. Non mi trattengo sulla rielaborazione di questo brano, perché le osservazioni fatte per "E se domani" le si possono applicare quasi alla lettera.
Spero che vi sia piaciuto questo excursus nella carriera del grande autore, se volete approfondire niente di meglio che la "E se domani collection", triplo cd curato dal figlio, che contiene settantotto canzoni scritte da Carlo Alberto Rossi ed interpretate dai più grandi cantanti italiani ed internazionali.
mercoledì 14 aprile 2010
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