Carissimi lettori, ecco qui il commento alla terza puntata del ciclo su Pasquale Cinquegrana di "Canzonenapoletana@rai.it".
La puntata precedente si era conclusa con Nicola Maldacea, anche questa ci comincia. Il brano è una macchietta, già strutturata ormai nella forma che le conosciamo, ossia come ritratto di un "tipo", in questo caso "'O tranviere".
La musica di questa macchietta è di un certo Faini, che ha trovato una di quelle melodie da cinema muto, che stanno bene a questo genere di canzone.
Anche qui, come sempre, c'è comunque un certo riferimento alla politica, in particolare al socialismo.
Anche questa puntata, e forse non poteva essere altrimenti, continua con un brano del repertorio da "piazza", cioè appannaggio dei posteggiatori, del poeta napoletano. Il brano, "Fenesta 'ntussecosa", è interpretato, in incisione d'epoca, da un notevole gruppo chiamato I figli di Ciro.
E' una canzone caratterizzata da quel ritmo di habanera che si sposa benissimo con il napoletano dolce, di quando ancora non lo si mutilava per fargli imitare modelli stranieri. Di questo brano, secondo me, notevolissima è la versione di Mario Abbate.
Ora stiamo ascoltando una versione storica, anche se non risalente all'epoca di composizione del brano, di "Napule bello", brano con cui Cinquegrana e Di Gregorio riuscirono a battere in un concorso la più blasonata e famosa "'O sole mio". Il brano è molto sfizioso, ma la versione che stiamo ascoltando, forse caratterizzata da note troppo lunghe e da troppe pause, fa perdere molta allegria. Gli interpreti, Elvira Donnarumma e Roberto Ciaramella, sono tra i più importanti cantanti degli anni '20 e '30 napoletani. Da ascoltare, secondo me, sono le versioni di Franco Ricci, anni '50, Bruno Venturini, anni 2000, e Antonello Rondi, che non so in che epoca abbia inciso il brano.
Subito dopo ascoltiamo, dalla voce tenorile e potente di Diego Giannini, una canzone a me sconosciuta scritta dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, intitolata "Luntananza amara". E' una marcetta che, credo, parli d'amore. E' incisa con una chitarra ed un mandolino, che dànno una grande atmosfera, ma non vi posso dire di più perché l'incisione è disastratissima.
Ed eccoci ad una macchietta risalente agli inizi del '900, intitolata "'A cura 'e mammà".
L'incisione, degli anni '50, probabilmente, è praticamente completamente recitata, e queste, come ho già detto, sono le migliori interpretazioni dei brani comici.
Notevole, sempre in duetto, come questa di Agostino Salvetti e Tecla Scarano, quella di Mario Pasqualillo e Pina Lamara. Tra le interpretazioni singole, anche se sono di minor impatto, notevoli sono quelle di Roberto Murolo in "Come rideva Napoli (1967) e Bruno Venturini ("Antologia della canzone napoletana", 2004).
Chi crede che il cinema americano si sia inventato qualcosa con il concetto di sequel, si potrebbe ricredere ascoltando questa macchietta intitolata "'O figlio d'o tenore", seguito di una macchietta di Ferdinando Russo, unico autore che competeva con Cinquegrana in questo genere, intitolata "'O tenore 'e grazia".
Il brano è una sfiziosissima presa in giro dei tenori di forza, ma è molto specifico, usa molto gergo lirico, quindi è difficilissimo da capire.
Ed eccoci all'ultima canzone della puntata, la macchietta "'A figlia rosa", musicata da Giuseppe Giannelli ed interpretata da un duetto. E' una sfiziosissima tarantella, come spesso sono le macchiette, ma si incrina spesso, tramite l'uso delle pause, che obbliga ad una "cultizzazione" del ritmo.
Spero che vi sia piaciuto il commento a questa puntata, e spero che qualcuno voglia riscoprire la macchietta napoletana.
domenica 15 novembre 2009
Commento alla puntata del 15 novembre 2009 di "Canzonenapoletana@rai.it".
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