Carissimi lettori, ieri sera ho avuto il piacere di assistere alla serata inaugurale di Umbria jazz 2009, affidata alla bellissima ed inconfondibile voce di Paolo Conte, accompagnata sempre da raffinatissime sonorità.
Se dovessi descrivere il gruppo di Paolo Conte, direi che è una big band anni Trenta, d'altronde l'avvocato astigiano non ha mai negato di venerare la prima metà del secolo XX ed in particolare il primo trentennio, impreziosita da tocchi colti rappresentati da strumenti come oboe e fagotto, nonché dal tiepido e magico calore del bandoneón argentino.
Ieri nella nostra città faceva molto freddo, e la circostanza ha disturbato molto la fluidità del canto di Conte, che si è fatto spesso e volentieri arrabbiato, creando dei controtempi meravigliosi, che però, ad orecchie avvedute, facevano subito pensare ad una grande stanchezza.
Il concerto, prevalentemente dedicato a brani della storia del cantautore, si è aperto con la canzone che ha lanciato "Psiche", suo ultimo disco. Se dovessi descrivere il brano, intitolato "Il quadrato e il cerchio", direi che è in bilico tra suggestioni rock ed elettronica, con prevalenza, in disco, delle sonorità allucinate di quest'ultima, che costringono il ritmo, altrimenti abbastanza festoso, a diventare molto meditabondo. Dal vivo, e questo ha fatto perdere molto del suo fascino al pezzo, autoritratto dell'arte musicale di Paolo Conte, si è data troppa importanza al ritmo, annullando queste continue richieste di riposo di cui è praticamente formato il testo ("Ah, fatemi svanire!") eccetera.
Subito dopo, cantata in maniera molto meno sorniona e forse con troppa rabbia, è arrivata "Sotto le stelle del jazz", "matinata" che Conte dedica a questo suo antico ed eterno amore. L'arrangiamento, contrastando con l'interpretazione canora sopra descritta, aiutava ed accentuava l'anima di jazz ballad che sta alla base del brano, anche grazie alle spazzole usate dalla batteria. Si potrebbe dire che questa versione sia stata un aggiornamento, soprattutto propiziato dalla presenza di una corposissima sezione di fiati, dell'insuperabile interpretazione contenuta nel già qui recensito "Concerti". E', invece, molto lontana dalla versione contenuta in "Paolo Conte", che stemperava troppo, in tappeti esageratamente pop, la struttura ritmica del brano, inequivocabilmente jazz. Bellissima la parte in sibemolle a metà brano dove, al posto del vibrafono o dell'assolo in scat di Paolo Conte, si è stagliata la sezione di fiati, portandoci miracolosamente in qualche bettola malfamata della New York inizio 900.
Se in Italia Paolo Conte è conosciuto come l'autore di "Azzurro", scritta insieme a Vito Pallavicini, all'estero è altrettanto conosciuto, ma come l'autore di "Come di". Il brano, uno di quelli che più inebriano l'ascoltatore di suggestioni swing anni '20, è stato interpretato da Conte con la rabbia e la "Silenziosa velocità" che ha contraddistinto tutto il concerto. Addirittura, la parte in "scat", ossia basata su vocalizzi, che di solito il cantautore esegue con così tanta parsimonia, era appena accennata con due o tre do centrali a giro, per poi lasciare eseguire quello che restava agli strumenti. L'introduzione del brano è stata un po' deludente, perché io sono troppo legata alla "picchiata" alternata di do minore e sol maggiore così caratteristica di "Concerti". Questa parte è stata affidata ad una chitarra elettrica che, almeno secondo me, di swing aveva molto poco. Meravigliose, invece, le improvvisazioni alla Béchet del sax soprano.
Subito dopo, Paolo Conte è stato "Alle prese con una verde milonga", creando un'atmosfera mista tra le due sponde del Río de la Plata (il brano infatti è troppo lento per essere una milonga uruguayana e troppo veloce per essere una tradizionale milonga argentina), e meravigliose suggestioni nordafricane con la darbouka, che, a partire dal concerto "Live Arena di Verona", ultimo live del cantautore inciso su disco, ha affiancato la batteria, la quale ben presto aveva sostituito il filologicissimo bombo argentino che accompagnava la versione di "Paris Milonga". D'altronde il brano, giustamente rispetto al testo, che potremmo definire un "autoritratto" della stessa struttura musicale, ha subito un tale rallentamento e rilassamento a cui, molto difficilmente, il bombo, con le sue sonorità troppo cupe, potrebbe rendere giustizia. Anche qui, in contrasto con la pacatezza degli orchestrali, il canto di Conte voleva che le parole sgusciassero via e che il brano finisse prima possibile, comunque ciò non ha impedito che questo fosse uno dei momenti più inebrianti del concerto.
Subito dopo c'è stata una particolarissima versione di "Bartali", fatta prevalentemente di dialoghi tra sintetizzatori e xilofono, nonché di una lentezza tutta nuova e di altrettanto inusitati giri in minore. Tutto ciò è continuato per più di metà brano, ed anche lo "scat" allegrissimo del ritornello, veniva eseguito da Conte con una rabbia tellurica e strana.
Gli accordi minori non sono mai spariti, ma da "E' tutto un complesso di cose..." in poi, per lo meno si è avuto il ritmo standard, anzi, pur con profondissime differenze, si potrebbe dire che si è respirata l'aria della versione originale da studio, quella risalente agli anni '70. Infatti, se dovessi descrivere l'accompagnamento, era molto pop e, scusate la sincerità, a me non ha convinto (sono troppo legata alla versione di "Concerti" piano e voce).
Subito dopo il cantautore astigiano ci ha regalato un brano da "psiche" durante il quale non ha suonato il pianoforte, che eseguiva molte note dolcissime che non sono nel suo stile tipico, infatti, in lui, anche la dolcezza più profonda, minaccia spesso di sparire sotto l'effetto d'una irrevocabile tempesta.
Il brano, come molti di quelli di Conte, è dedicato alla donna, con quell'amore non raccontato e tantomeno smielato, che ha conquistato così tanta gente. Il pezzo è un valzerino, il cui tempo è battuto da un sintetizzatore, quindi automaticamente diluisce quella forza francese che Conte tante altre volte ci ha mirabilmente mostrato. Potrei definire il brano, intitolato "Bella di giorno", come una serenata antica, portata alla finestra d'una donna moderna.
Un'altra area geografica che ha sempre affascinato Paolo Conte è l'America Latina, che tocca con maestria con la sua voce "sporca" ma anche segretamente e fortemente limpida. Il brano è un pezzo in minore su un ritmo centroamericano, sul tentativo di far sbocciare un amore, tematica che Conte affronta quasi solo con queste ritmiche più dolci e latine. Io, quantomeno, non riesco a capire se da questo "Gioco d'azzardo" poi nasca qualcosa, quello che so è che tutti i presenti alla fine dell'esecuzione hanno applaudito inebriati.
Ed ecco un altra canzone con molte venature pop, per quanto raffinatissime, la molto conosciuta "Impermeabili". La leggerezza della struttura ritmica tipicamente pop, è stata messa in discussione tramite dei controtempi interessantissimi della batteria, che contribuiva a dare un'anima più "modern jazz" al brano. Strabilianti gli interventi del sassofono, che purtroppo sostituivano quelli che nella versione da studio eseguiva il kazzoo, culminati con un assolo dalle venature un po' troppo rabbiose per il tenore del brano.
Subito dopo è arrivato uno dei brani che io amo di più in assoluto di tutta la carriera di Paolo Conte: "Lo zio". La versione potrebbe essere definita come una ripresa delle suggestioni più pop presenti in quella da studio, con una loro radicalizzazione completamente a discapito di quelle più jazz. Si potrebbe dire che, addirittura, la frase "Sciuscia ti meriti un dollaro", gridata, abbia suonato con una napoletanità segreta. Il kazoo finalmente ha avuto la parte del leone, suonato con quella rabbia che si è potuta già ampiamente costatare. Il ritornello del brano, intercalato da numerosi "sì", diventava una corsa ad ostacoli, forse per non far notare la semplificazione del finale che, invece del brevissimo ma strabiliante assolo di chitarra elettrica presente nella versione di "Concerti", si è limitato a quattro note eseguite furtivamente da tutta l'orchestra.
Ed eccoci alla perla più lucente dell'ultimo cd del cantautore astigiano, il bolero-swing "L'amore che". Il brano, già in "Psiche" suonato completamente acustico, è una descrizione di ciò che è "l'amore", con il ritmo più romantico che l'America Latina abbia mai dato all'umanità: il bolero cubano. Conte, che in fondo resta un jazzista purissimo per quanto si voglia e sappia inebriare di altre suggestioni, per portare questo ritmo verso di sé, ci mette le spazzole che suonano con una tenebrosità dolce e rilassante. Insuperabili sono stati i dialoghi tra il pianoforte di Conte ed il violino, che spesso e volentieri dava a questo brano venature di tango anni '50.
Ed eccoci, continuando sempre con sonorità latine e con i brani di "Psiche" ma velocizzando decisamente il ritmo, a quella che è stata la sigla del "Giro d'Italia" in una delle sue ultime edizioni. Il brano, intitolato "Silenziosa velocità", lo si potrebbe definire come un pezzo di collegamento tra le "avanguardie storiche" che Conte ama tanto, e quelle che attualmente stanno mettendo in discussione le fondamenta stesse della nostra concezione musicale.
Ed ecco un brano ripreso da "Paris milonga", che mi proverei a definire un po' proustiano. Infatti, come al protagonista della "Récherche" torna tutto in mente tramite la "maddalenina", anche in questo brano i ricordi d'amore del protagonista sembrano turbinare tutti sotto l'effetto del nome femminile "Madeleine", appunto "Maddalena". E' un brano che ormai da diversi anni fa parte di quelli che Conte ama riproporre dal vivo. Le venature esageratamente pop della versione del 1981, si sono dileguate in nome di un maggior romanticismo e della scoperta di un'anima francolatina di questa ballata. Il ritmo di "bolero" che indugia fra la variante spagnola e quella cubana, viene sporcato ma abbellito dal bandoneón che scopre una segreta, insospettata ma bellissima anima francese.
Ed eccoci ad uno dei brani che ha cullato di più la mia infanzia, perché presente nell'album "Paolo Conte live" del 1988, la bellissima "Dancing". Anche qui la leggerezza del brano pop è stata diminuita in favore di interessantissimi controtempi di batteria che scoprono il ritmo di rumba proprio di questa canzone. Il giro strumentale, che nella versione citata sopra era affidato a dei sintetizzatori, veniva eseguito dalla sezione di fiati e dal romanticissimo violino che, pur contrastando con il suo pianto segreto la gaiezza del brano, non la riusciva ad inficiare.
Ecco qui un altro "bolero" alla cubana, dove le venature pop sono state sempre inequivocabilmente presenti. Mi riferisco alla bellissima "Chiamami adesso" rispolverata dal cd "Novecento". E' un brano in minore dove anche gli strumenti di origine etnica e colta, vengono sfidati ad andare verso la semplicità del pop, seppure è una sua variante molto più raffinata, anche piena di risorse classiche. Il giro, infatti, costituito da una decina d'accordi, è sicuramente molto lontano dal concetto di "pop da strapazzo" che oggi si sottintende con questa parola. Il brano è stato tra i più dolci di tutto il concerto, finalmente la rabbia tellurica si era dissolta.
Ed eccoci al classico incontrastato della discografia contiana, la celeberrima, e da qualcuno per questo mal sopportata, "Via con me". Da ormai diversi anni, la modifica più vistosa, è l'aver inserito il bandoneón che, in corrispondenza dell'assolo di xilofono, esegue delle terzine molto interessanti. Il brano, da ormai ventiquattro anni, dall'insuperabile versione di "Concerti", ha acquistato un'anima swing che all'inizio Conte, forse per pudore, aveva nascosto sotto ben più rassicuranti abiti pop.
Ecco uno dei primi inni alla musica e agli strumenti scritti da Paolo Conte, ossia una delle prime canzoni dove la parola, sino ad allora preponderante o comunque con pari dignità rispetto alla musica, ha ufficialmente lasciato molto spazio ai suoni. Il brano, tra i più belli dell'astigiano, è "Max". Il compito di reggere ritmicamente il brano, storicamente affidato alla batteria, è stato invece appannaggio dei sintetizzatori, che hanno portato il brano a finire in diminuendo fino a sfumare, cosiccome era già stato per "Alle prese con una verde milonga". Ricordo una versione di "Max" eseguita al Cinemateatro "Esperia" di Bastia poco più di dieci anni fa, nella quale oltre ad un assolo di chitarra elettrica distorta, Paolo Conte si prodigava in un fa diesis centrale con la voce, ad aiutare il colpo liberatorio della batteria.
Siamo arrivati forse al momento più bello del concerto, una stupenda versione di "Diavolo rosso". Rispetto alla versione di "Appunti di viaggio" e a quella di "Concerti, si assiste ad una messa in secondo piano dell'anima jazz del brano, in favore di quella etnica. La batteria, pur suonata con le bacchette, tocca con una tale raffinatezza che può essere confusa con delle percussioni popolari. Meraviglioso l'assolo di clarino, tipicamente mediorientale, basato su delle iterazioni di scale arabe e su "temperamenti" della nota altrettanto etnici. Anche il violino, subito dopo, ha continuato su questa atmosfera, con interessantissimi passaggi con re di bordone, ma forse ha fatto un effetto meno inebriante di altri suoi interventi.
Un altro esempio di suggestioni classiche "portate" da Paolo Conte verso il suo insostituibile swing, è "Eden". Terzinato di struttura anni '60, ma in fondo anche di matrice Bethoveniana, veniva reso più notturno e meno pop dalle spazzole della batteria. Qui è tornata la rabbia, tradotta però non più come stanchezza per la situazione, ma come voglia di cercare il riposo interiore. Essendo un brano di lode al sassofono, questo strumento, nel suo modello "alto", ha avuto la parte del leone. I soffi rimandavano a certa sensualità tipica di sassofonisti come Lester Young.
Il primo bis, venuto dal fatto che noi non smettessimo di sbattere i piedi dannatamente, è stato "Cuanta pasión", brano che ormai da diversi anni fa da sigla ad una nota rubrica televisiva. Il brano ha perso completamente la sua anima flamenca, che era data dalla presenza di uno dei chitarristi dei Gipsy Kings, per acqwuistarne una più romantica e sudamericana. Durante il brano siamo andati tutti sotto il palco ed abbiamo cantato il ritornello dividendolo con Paolo Conte.... bella atmosfera!
Più deludente è stata la ripresa di "Via con me", che potremmo anche ribattezzare "Corri con me", di cui il cantautore ci ha fatto cantare tutti i ritornelli.
Spero di avervi reso un po' di quel che vi siete persi o avete sentito, ma il consiglio che vi do è di andare a vedere Conte se passa dalle vostre parti!
sabato 11 luglio 2009
Paolo Conte a Perugia
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