Carissimi lettori, oggi scrivo letteralmente a ruota libera.
Voglio parlare di Berlusconi e dei miracoli musicali che la sua grandissima stupidità, nonché la rabbia che essa causa in chiunque abbia la testa un minimo salda, hanno provocato.
Il primo caso di disco completamente antiberlusconiano, credo che si debba far risalire a quando Franco Trincale, grande cantastorie siciliano già intervistato in questo blog e reperibile su http://www.trincale.com/, ha pubblicato, completamente in sistema di autoproduzione, il "Berluschino". Questo caso è talmente importante che, per un breve periodo, perfino i telegiornali italiani, così restii a dare spazio ai nostri grandi rappresentanti culturali, di qualsiasi tipo di cultura si tratti, ne hanno parlato. Purtroppo, però, ovviamente questo è dovuto non alla bravura artistica del nostro, che non è stata nemmeno riconosciuta, ma al fatto che il "gran stratega" (poi vi dico di chi è la citazione e da dove viene), abbia citato le "prospettazioni" di Trincale, sia cartacee che discografiche, come giustificazione per il trasferimento di un processo fuori Milano, perché lui vuole di base scappare alla giustizia. (tanto "lui non avrebbe colpa..." continua ancora il mistero sulla citazione).
Il cd purtroppo a me manca quindi non ve ne posso parlare, infatti va detto che, a parte il cd "Franco Trincale: l'ultimo cantastorie", prodotto dalla Warner, del siciliano non si reperisce niente con facilità (discograficamente parlando).
Qualche anno dopo, con altrettanto mordente ma forse con maggiore ricchezza armonica, dal nord Italia è arrivata una bellissima "Mazzata pesante", scritta e concepita da Fausto Amodei, altro storico della canzone politica italiana.
Del suo "Per fortuna c'è il cavaliere" ne abbiamo già parlato in un articolo specifico, qui vale solo la pena di ricordarvi la sua esistenza e di stimolarvi al suo acquisto (questa è la gente che va aiutata, non il Michael Jackson di turno!).
Mi va di segnalare, con molto piacere, in questa rassegna dedicata ai canti ispirati dalle decisioni di questo o del precedente governo Berlusconi, la molto carina ma credo inedita "Qua si campa" del calabrese Otello Profazio. E' un brano contro il famigerato, e ancora una volta minacciato, spero che la mafia o l'Unione Europea fermi colui che "si sacrifica per noi" (ancora misteriose citazioni....!), ponte sullo stretto. Da quello che me ne ricordo, sono passati almeno cinque anni dal primo ed unico ascolto che ne feci, è una ballata simile alla mitica "Qua si campa d'aria", di cui, oltre che il giro d'accordi, riprende anche una particina del titolo. ("E dicu a chiddi chi vonnu lu pontu: 'Qua si campa ed è già tantu'"). Conferma la teoria, a cui crede chiunque abbia un minimo di cervello, che il ponte sullo Stretto non serve o, quantomeno, è una delle ultime cose da fare.
Alcune citazioni berlusconiane le troviamo poi in "Mazzate pesanti", ultimo album degli Aramirè, gruppo salentino già citato spessissimo su queste pagine.
Intanto possiamo trovare dei riferimenti, comunque sempre più blandi sia di quelli per ora citati, sia di quello che citerò alla fine e che ha motivato l'articolo, in un brano come "Scusati signori".
Si parla dell'imbarbarimento culturale causato dalla tv nonché dall'uso "narcotizzante" della pizzica e musica popolare salentina, che questo gruppo difendeva nella sua forma più pura, forse un po' utopisticamente, ma con una "signora" coerenza.
Si tratta anche l'argomento "euro" e quello "riforme", soprattutto per quanto riguarda la circolazione di persone. Non è sicuramente un brano predominantemente ironico, né ha la forza musicale che ci si aspetterebbe da qualcuno che, pur volendo mandare messaggi politici volesse tenere all'arte come dimensione autonoma.
Un altro caso di brano tradizionale a cui sono state apposte strofe, è "O pillo pillo pì", sempre presente nel su citato cd di Aramirè. Va detto subito, però, che la sua migliore versione, con lo stesso testo ma cantata e suonata molto meglio, è contenuta in "Vent'anni e più di..." del Circolo Gianni Bosio.
Se il brano precedente era l'"aggiornamento" di un brano di protesta inciso dall'etnomusicologo Alan Lomax nel 1953, questo è il frutto di un lavoro collettivo di trent'anni.
Su una melodia tradizionale cantata da Luigi Stifani e pubblicata proprio dalle Edizioni Aramirè nel libro "Io al santo ci credo: diario di un musicoterapeuta delle tarantate", sin dagli anni '70 si è iniziato ad apporre strofe politiche. Così, con questo brano, si può fare una cronistoria di alcuni dei fatti e misfatti avvenuti in vari paesi del mondo. All'inizio si parla di Cile, appena entrato in dittatura, di Portogallo, che ne sarebbe uscito di lì a poco, o di Vietnam, la cui terribile guerra era ancora in atto.
Nelle strofe aggiunte attualmente, condite con una certa ironia, si parla dell'emigrazione che diventa emigrazione, dello sfascio a cui già allora era giunta questa poveretta della Sinistra (niente in confronto allo schifo attuale, ma già non ci trattavamo male, e di come la tanto odiata Democrazia Cristiana fosse diventata "l'unto dal Signore".
Il riferimento al "cavaliere" è alla fine: "E quindi pe' finire jeu tocca cu vu dicu,aggiu giratu 'u munnu, quarche cosa aggiu capitu.Aggiu giratu 'u munnu, n'aggiu visti fiacchi e boni:lu chiu pesciu de tutti è lu Silviu Berlusconi".
Tornando al molto irreperibile, infatti il brano precedente è stato anche pubblicato da Vincenzo Santoro nel cd allegato al suo bellissimo libro "Il ritorno della taranta, già qui recensito, va segnalata una ballata del cantastorie siciliano Fortunato Sindoni, scritta nel nobilissimo idioma della Trinacria, costruita come un dialogo tra Berlusconi e il fortunatamente ex inquilino della Casa Bianca George W Bush. E' una tarantella dove Berlusconi non si nomina mai (ci stiamo avvicinando al clou dell'articolo intanto con questo particolare strutturale che accomuna i due brani), dove il nostro premier deve rinunciare per un po' a fare lo schiavettino obbediente, perché noi, che poco dopo avremmo fatto finta di vincere le elezioni, effettivamente gli facevamo paura. E' geniale ed è pubblicata nell'ultimo cd di Mauro Geraci e Fortunato Sindoni, ordinabile dal sito di Geraci http://www.geracicantastorie.com/.
Si è già parlato di musica salentina in questo excursus, ma ora dobbiamo tornare a farlo, forse con il gruppo che più coerentemente persegue un vero stile personale non alienandosi però mai dalla tradizione. Mi riferisco, come non poteva essere altrimenti, a... Zoè.
Il loro repertorio era già stato toccato da qualche venatura politica, ma erano cose che potevano sentirsi o non sentirsi secondo la propria sensibilità (secondo me, ad esempio, sia "Macaria" che "Menevò", tratte rispettivamente da "Sangue vivo" e dal "Miracolo", sono canzoni politiche perché la prima ci invita all'onestà e la seconda ci ammonisce sull'inalienabilità della vita).
Nel nuovo cd degli Zoè, intitolato sintomaticamente "Maledetti guai", oltre a scoprire un sacco di nuove influenze nel lavoro del gruppo, tutte desunte dalla sua recente storia perché loro odiano contaminarsi con qualcosa solo perché è di moda, si scoprono almeno due brani inappellabilmente politici.
Quello più simile allo stile Zoè già descritto, mi riferisco alla struttura testuale, è "Maledetti guai", dove c'è spazio anche per ventate di poesia criptica come "voci tristi e disperate sotto l'ombra di un bambino". Per chi non volesse ancora avventurarsi nell'acquisto di questo cd, che dovrebbe essere molto particolare, il brano, specie di tarantella "africanata", è ascoltabile nel myspace dell'officina all'indirizzo www.myspace.com/officinazoe. La cosa che rende particolare il brano, oltre al miscuglio magico tra influenze salentine e maliane, è la presenza dell'italiano che, in una voce piena di "salentinità segreta" come quella di Cinzia Marzo, acquista una cantabilità strana e nuova.
Sempre in italiano è l'altro brano, questo spudoratamente dedicato a Berlusconi, intitolato "A mammata". (Ecco da dove erano tratte le citazioni misteriose di prima!).
Non posso dirvi molto sulla sua musica, perché io conosco una versione non pubblicata, e sono un po' gelosa del mio segreto. Va detto che potrei forviare anche un buon ascolto della versione "ufficiale". Voglio solo dire che ci ho trovato una durezza che, con il mio stupido schematismo da persona troppo colta e razionale, credevo più propria degli Aramirè di "Mazzate pesanti". Non è un brano poetico, ed anche le metafore o le allitterazioni servono solo per rafforzare i concetti che si cantano (o più spesso si gridano con veemenza moderna e contadina insieme). La frase che trovo più bella è: "...in vece dell'anima lui ha un saccopieno di nulla mischiato col niente...".
Spero d'aver fatto capire con questo articolo a certi signori di sinistra, che oggi la canzone politica è anche appannaggio di gente che con l'arte ci sa fare e coltiva i generi che storicamente hanno rappresentato il cardine del canto di protesta italiano.
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