Carissimi lettori, ho l'onore di recensire, completamente a caldo, un concerto degli Inti-Illimani che non conosco.
Siamo in Cile nel 2001, e la formazione che suona nel concerto di cui parleremo è di transizione tra quella storica e quella dell'ultimo periodo.
Il concerto è iniziato da una meravigliosa versione di "Takakoma", brano andino che il gruppo ha inciso in un bellissimo album, purtroppo qui poco conosciuto, intitolato "Lejanía" (1998).
Si riconosce immediatamente il charango squillantissimo del suonatore storico del gruppo, Horacio Durán, che dà a questo brano un'allegria direi contagiosa. Nonostante tutto vi sono due elementi che forse non fanno sfogare molto questa voglia di festa, mi riferisco ad un violino, elemento assente dalla versione in studio, ed un clarinetto. Nonostante ciò è una versione bellissima di uno strumentale veramente superbo.
I brani cantati iniziano con una versione abbastanza corretta de "La exiliada del sur", uno dei classici della musica cilena scritti e pensati da quella che è stata senza dubbio la più grande ricercatrice, interprete e compositrice di musica di matrice tradizionale che il Cile abbia conosciuto. Mi riferisco a Violeta Parra (1917-1967). Dico "abbastanza corretta" perché si possono notare alcune stonature e la mancanza di perfezione di alcune entrate e controcanti. Ciò non toglie che è una grandissima emozione ascoltare la voce di José Seves, ritenuta dalla sottoscritta una delle migliori del Cile.
Tornando alle strumentali abbiamo il piacere di ascoltare un bellissimo "joropo" scritto da Horacio Salinas, allora ancora direttore del gruppo, intitolato "Maria canela". Il brano è in minore ma niente tristezza, anzi si è portati a battere le mani a questo ritmo contagioso. Oltretutto, parentesi personale, la versione da studio di questo brano, contenuta nel cd "Arriesgaré la piel" è stata tra le colpevoli del mio grande amore per gli Inti che, come questo articolo sta inequivocabilmente a dimostrare, ancora dura. La versione è caratterizzata dalla sostituzione del flauto da parte del violino. Questo strumento, forse, non riesce a dare l'idea di festa che invece dava il flauto traverso, ma comunque è una favola.
C'è stato un discorso di Jorge Coulon, colui che si incaricava di parlare in quasi tutti i momenti che il gruppo dedicava al dialogo con il pubblico (parte fondamentale di ogni buon concerto degli Inti!).
Quando si ricomincia a suonare ancora non si riprende a cantare, anzi si delizia il pubblico con una meravigliosa versione di "Tatati", brano tra i primi composti dal grande chitarrista, tiplista e compositore cileno Horacio Salinas. Il brano è uno dei più complicati e armonicamente dinamici tra quanti il gruppo dedica alla sola esecuzione strumentale. È bellissimo, anche perché a me ricorda uno stupendo concerto visto a Bastia Umbra al teatro Esperia, che lo ebbe come suo primo brano. In quell'occasione i battiti iniziali del tamburo andino (bombo) mi risuonarono come dei battiti segreti, una magia allo stato puro.
Tornando a cantare il gruppo propone uno di quei brani che gli fa compagnia dai suoi inizi, una bellissima "Juanito Laguna remonta un barrilete", che i cileni ripresero e armonizzarono a partire da una versione di Mercedes osa (grandissima cantante argentina) agli inizi degli anni Sessanta, poco dopo la loro nascita avvenuta nel 67.
In questa versione il gruppo mantiene la struttura e la tonalità che questa canzone conosce almeno dalla versione di "Chile resistencia" (1977), album che presenta la seconda versione di questo brano eseguita dal gruppo. Infatti la versione originale risale agli anni Sessanta e in Italia non ha mai avuto divulgazione, se non in un circuito di cultori del gruppo.
Dal repertorio storico del gruppo viene ripresa anche questa "Ya parte el galgo terrible", canzone che noi italiani abbiamo conosciuto nell'lp "La nueva canción chilena" del 1974. Il brano, su testo di Pablo Neruda, mantiene molta della sua forza, anche se forse l'assenza di percussioni mitiga qualcosa che non può essere assolutamente mitigato, la denuncia della violenza con cui alcuni popoli vengono sterminati da altri in qualsiasi momento o luogo.
Tornando ad omaggiare Violeta Parra, il gruppo offre una tenerissima versione del "Rin del angelito", canzone con la quale la cantautrice cilena si ispirava a certi riti che accompagnano la morte dei neonati. Ho sempre amato da impazzire il pezzo strumentale che divide le due parti, soprattutto per la bellissima melodia che esegue la quena, strumento a fiato ad una canna sola. La melodia è molto semplice ma è ricca e nasconde difficoltà.
L'altro grande maestro della musica cilena è il chitarrista, drammaturgo, regista di teatro, cantautore e ricercatore Víctor Jara. Il brano che il gruppo sceglie per ricordarlo è "El arado", tra gli ultimi composti dal cantautore e da lui pubblicato del vinile "Presente", inciso con l'accompagnamento degli stessi Inti-Illimani. La versione proposta è veramente impeccabile, il gruppo già si è scaldato e questa formazione, come abbiamo detto rimasta in piedi per poco tempo, sta dimostrando in pieno le sue qualità.
Sempre frugando nel repertorio storico del gruppo, si ha il piacere di ascoltare "Simón Bolívar", brano che originariamente chiudeva l'lp "Viva Chile!" (1973).
Curiosissima è la fioritura della chitarra durante l'esecuzione del rif che introduce ogni singola ripetizione della melodia. Questo tipo di colori, sinceramente, suonati da una chitarra suonano strani, infatti se la dovessi descrivere è una curva di semitoni molto comune in certi generi pianistici come molti sottogeneri del jazz.
Subito dopo si esegue una versione molto bella di "Bailando bailando", uno dei brani che ha composto il polistrumentista José Seves. È un brano completamente rilassato, anzi direi perfettamente festoso, che dimostra a quelli che credono gli Inti-Illimani solo un gruppo rivoluzionario, che questa è stata solo una parte, oltretutto sempre ritenuta marginale da loro stessi, della loro espressività artistica. Curiosa l'intrusione del clarinetto e del contrabbasso. Se il secondo dà un corpo diverso al brano, il primo tende a dare seicuramente un ambiente più idilliaco che spesso il sassofono (fiato originariamente presente insieme ai flauti andini nella versione del cd "De canto y baile) sinceramente spesso rovina.
Subito dopo il gruppo propone uno dei suoi classici indiscussi, entrato nel cuore anche di noi italiani, una festosissima "Señora chichera". La versione è fortemente imperniata sulle note di contrabbasso e su delle svisature di sassofono che, almeno secondo la sottoscritta, sono un po' troppo barocche e metropolitane per un brano spudoratamente andino e tradizionale come questo. Comunque si fa molta festa, anche aiutati da un violino che invece contribuisce ad avvicinare il brano a certe atmosfere boliviane poco conosciute da noi. Il finalino è molto chiassoso ma è un chiasso dolce, che diventa automaticamente metropolitano quando inizia a preludere a "Sensemaya", uno dei primi esperimenti di musica afro-cubana di composizione cilena. Ci stiamo riferendo ad un brano di Nicolás Guillén, grande poeta cubano molto noto in vari paesi di lingua spagnola, che ha una storia un po' particolare per quanto riguarda me. Quando ero molto piccola, credo facessi le elementari, sentii il ritornello "mayombe bombe mayombe", che è poi quello che scandisce tutta l'ultima parte del testo. Immaginatevi quale fu il mio stupore quando me lo ritrovai (ben dieci anni dopo) inciso dagli Inti!).
Continuando il gruppo offre una "Petenera", un carinissimo brano messicano interpretato anche da Daniel Cantillana, voce giovane che da dieci anni circa è diventata una delle più importanti della formazione. Il brano è interpretato con molte "rotture di note" tipiche della tradizione messicana.
Ed eccoci ad una delle canzoni più recenti tra quelle che sinora si sono sentite, un brano ispirato alla tradizione afroperuviana scritto da Horacio Salinas su testo del poeta e cantautore cileno Patricio Manns, dal titolo "Negra presuntuosa". La voce di Daniel, sto parlando davvero a cuore aperto, non mi ha mai entusiasmato, però in questi brani un po' meno passionali o quantomeno non principalmente passionali, va detto che riesce a dare molto. È curioso il finalino cantato da Horacio Salinas, accompagnato con molte note staccate da parte degli strumenti.
Sicuramente molto più passionale è questa "Arriesgaré la piel", che Jorge canta con piglio da cantante abituale di musica "ranchera" (la tipica musica messicana suonata dai gruppi di Mariachi). Meravigliosi sono i finali acuti che permettono di entrare completamente nell'atmosfera del brano, anche al di là del testo che pure è fondamentale per capire questa poesia di tentativo di ritorno ad un amore lasciato per errore o per inganno.
Ed eccoci ad un bellissimo valzer peruviano, scritto da Horacio Salinas su testo di Patricio Manns. Il brano dava il titolo ad un cd speciale, quell'"Amar de nuevo" che io ricevetti con largo anticipo sulla data di pubblicazione in Italia, proprio in occasione di quel concerto di Bastia Umbra a cui ho fatto riferimento precedentemente. La canzone è caratterizzata da un dialogo tra le voci di Daniel Cantillana e Horacio Salinas, che si interpellano tramite dei controcanti di terze che Salinas esegue sotto la melodia base di Cantillana.
Ed eccoci alla principale e prima colpevole del mio amore per gli Inti-Illimani, a quel capolavoro di romanticismo e passione intitolato "Medianoche", che apriva e presentava il cd "Arriesgaré la piel" (1996). Qui abbiamo l'insuperabile piacere di sentirla cantata da quello che ne è stato il primo interprete, il tenore José Seves. Questo è un brano che richiede potenza, quindi sono sempre un po' scettica ogni volta che lo devo sentire interpretato da voci troppo dolci (come ad esempio quella di Daniel Cantillana). Qui è stato curioso l'intervento del clarinetto, che ha toccato il jazz molto più spesso rispetto a quanto non lo ricordi nell'originale, oltre all'entrata del violino, strumento che comunque sta benissimo in qualsiasi musica un minimo romantica (e il bolero alla cubana lo è moltissimo).
Il brano successivo è un'interpretazione molto personale di "Fina estampa" di Chabuca Granda (cantautrice peruviana molto importante nei paesi di lingua spagnola). La versione di José Seves, aiutato molto dalla chitarra di Horacio Salinas, è molto rallentata, almeno rispetto alle altre che conosco, e forse è un po' troppo poco tenera. Comunque è estremamente illuminante su quale sia lo stile di questo grandissimo cantante, che utilizza la voce più come uno strumento che come un semplice mezzo di dizione.
Il brano successivo è un brano a cui gli Inti-Illimani sono molto legati perché in esso hanno raccontato, aiutati dalla poesia di Patricio Manns, le sensazioni di un esiliato che ritorna nel proprio paese (quando loro ancora non lo potevano fare, infatti il brano è del 1979 e loro sono potuti tornare solo nove anni dopo).
La parte ufficiale del concerto (perché è difficile che gli Inti possano chiudere un concerto quando per la prima volta salutano il pubblico) si chiude con "La fiesta eres tú, bellissima cumbia che purtroppo non possiamo sentire per intero nell'edizione che mi ha permesso di parlarvi di questa esibizione. La curiosità principale di questa versione è la voce diHoracio Salinas che sostituisce quella di Daniel Cantillana, che interpreta molto convincentemente il brano nel cd.
Spero di avervi fatto venire voglia di riascoltare gli Inti-Illimani senza aggettivi e lotte interne, con la voglia di scoprire gli anni che spesso, per troppa superficialità, non consideriamo qui nel paese che li ha accolti per tre lustri.
martedì 10 agosto 2010
Inti-Illimani live a Puerto Aysen (Cile)
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