Carissimi lettori, i prossimi due articoli che scriverò saranno due recensioni di due concerti degli Inti-Illimani (speriamo di poter rispettare i piani, ovviamente!).
A quanto pare il primo è all'Estadio Nacional di Santiago del Cile. Ancora, non conoscendo la scaletta perché lo sto vedendo per la prima volta e mentre lo vedo scrivo, non vi so dire a che periodo risale.
Si inizia con un'omaggio all'Italia, con una rielaborazione meravigliosa della "Tarantella del Seicento" riportata alla luce da Roberto de Simone, che prosegue con un adattamento tra l'afro e l'andino di "Canna austina", brano scritto dall'etnomusicologo napoletano ed interpretato dal gruppo cileno nel 1988, in occasione della sua partecipazione allo spettacolo "Cantata per Masaniello", portato in scena al Teatro Mercadante di Napoli.
Non mi sono mai abituata a questa versione strumentale della "Canna austina", la preferisco cantata nel cd "Andadas" (1992). Venendo tecnicamente alla versione che se ne sente in quest'occasione concreta ha la curiosità di avere due zampoñas (flauti di pan) che seguono la melodia loro affidata ognuna su un'ottava diversa. Nella "tarantella" non ho mai digerito la fortunatamente breve parte di sassofono (o chi per lui), costituita da un "sol, un "soldiesis ed un "la", che, oltre a non ricordarmi per niente la nostra maniera di suonare, mi sembrano semplicemente cacofonici.
Continuando a riesumare capolavori dal repertorio degli Inti-Illimani senza aggettivi né distinzioni, si ascolta una bellissima, anche se in Italia poco conosciuta, "Son para Candido Portinari", che Horacio Salinas musicò negli anni Ottanta e pubblicò nell'lp del gruppo "Palimpsesto" (1981). La versione che se ne ascolta è caratterizzata da una interessante introduzione del violino, che se possibile riporta ancora più convincentemente alle atmosfere argentine che il brano dipinge.
Di due anni precedente è questa bellissima, altrettanto sconosciuta qui in Italia dove il repertorio migliore del gruppo è appannaggio di pochissima gente, "Polo doliente". È un brano dalle fortissime atmosfere venezuelane (credo che sia un "joropo"), dedicato ad un pescatore morto in mare. L'innegabile allegria del brano, però, contrariamente a quello che spesso succede da noi, non lascia assolutamente scampo, è un pezzo pieno di tristezza e malinconia, solo un pochino mascherata.
Finalmente sappiamo a che epoca risale il concerto, è un concerto di presentazione del cd "Lugares comunes" (anche se i brani del cd ancora non arrivano, a dimostrazione che nella filosofia del gruppo i dischi servono ma poi una tournée è un pretesto sempre per fare un viaggio nel tempo, in una varietà infinita di atmosfere).
Il brano successivo è "Canción para matar una culebra" (1979), canzone che dà il titolo all'lp da cui il gruppo aveva già estratto il brano precedente "Polo doliente". La presenza nell'organico degli Inti di un musicista cubano di forte matrice afro, mi riferisco ad Efren Viera, permette al brano di acquistare un'anima afrocubana piena e finalmente autentica.
Nel campionario di atmosfere degli Inti-Illimani, e come poteva essere altrimenti, la fanno (o la facevano) da padrone quelle andine, che il gruppo finalmente presenta con una briosa e convincente versione di "San Juanito", brano del loro primo periodo, conosciuto da noi grazie all'incisione nel vinile "Canto de pueblos andinos 2". La versione è caratterizzata dall'arricchimento dell'organico da parte di un contrabbasso, un violino e un clarinetto. Gli elementi estranei, ancora Meriño aveva rispetto per il passato anche perché era appena arrivato ad essere direttore musicale del gruppo appena entrato, non cozzano, entrano in piena armonia con l'essenza andina del brano. Non va dimenticato, infatti, che in certi gruppi andini il violino è presente e sa dialogare benissimo con i flauti andini (secondo me soprattutto con la "quena", flauto ad una canna sola).
Il brano successivo è un altro cavallo di battaglia del gruppo di provenienza andina, un "Tincu" in una lingua precolombiana, che da sempre dal vivo è stato fortemente velocizzato. Questa versione è caratterizzata dalla ripetizione dell'ultima strofa, che la seconda volta viene eseguita con un'interessante controcanto.
Ed eccoci alla prima canzone estratta da "lugares comunes", prima traccia anche del disco, la coinvolgente e meravigliosa "Sobre tu playa". La voce di Efren dà a questo brano, dalla poesia forte e dolce ad un tempo, un fascino unico. Il finale di questo brano in concerto è davvero meraviglioso, anche perché la gente è portata a battere le mani perfettamente all'unisono con le indiavolate percussioni afro di Efren: che meraviglia.
E continuando a presentare "Lugares comunes", si prosegue andando in ordine con la scaletta del cd. Si esegue "A la caza del Nyandú", composizione di Manuel Meriño, musicista cheha sostituito Horacio Salinas esattamente in questo periodo a cui risale il concerto (2002). È un brano che mi ha sempre dato l'idea di essere costruito con troppo cervello e poco cuore, così come moltissimi arrangiamenti del signor Meriño. È un brano che parte inequivocabilmente da una matrice andina, per poi esprimerla però con una fastidiosa atonalità.
Più interessante è questa "El surco", con la quale ci si continua ad addentrare dentro questo cd, ultimo degli Inti-Illimani (senza aggettivi né distinzioni) che mi sia entrato nel cuore (me ne ero innamorata pazzamente, ancora me lo ricordo, che tempi!).
Se devo descrivere tecnicamente questo brano è un pezzo dal sapore afro-peruviano, portato soprattutto dal "cajón", percussione che più di ogni altra connota questo mondo. Il brano è interpretato da Daniel Cantillana con piglio convincente, il testo di Patricio Manns è ben interpretato dalla dolce voce del violinista.
Ed eccoci a quella che da subito fu la mia canzone preferita del cd (e ancora lo è!). Mi riferisco alla poesia di Aquiles Nasoa musicata da Marcelo Coulon dal titolo "Salmo de la rosa verdadera". Devo dire che lo storico membro del gruppo, come prima prova di composizione (credo), abbia fatto un capolavoro. Se ve lo dovessi descrivere direi che è un brano che utilizza una scala minore quasi completa, dando un'armonia di amplissimo respiro, anche con alcuni passaggi in settima, ad una melodia tra le più semplici ed accattivanti che il gruppo possa vantare.
E dopo un breve ma commovente e nostalgico discorso di Horacio Durán (oggi allineato con gli "históricos") che ha ricordato Víctor Jara e Violeta Parra, si torna a suonare il repertorio storico del gruppo, forse il migliore. Gli Inti-Illimani stanno interpretando con maestria e semplicità un capolavoro scritto da Víctor Jara intitolato "la partida". È uno dei miei brani preferiti del gruppo, che dimostra come si possa essere profondamente innovativi (per davvero, no per finta come da noi), non perdendo di vista mai le armonie della tradizione, solo arricchendole ed allargandole. La particolarità di tutte le versioni de "la partida" di questo periodo è l'inusitata presenza delle congas su un ritmo andino, ma va detto che non suonano strane.
E come omaggio a Violeta Parra, prima e incontestata maestra del movimento de "La nueva canción chilena", il gruppo interpreta "Arriba quemando el sol", brano inciso dagli Inti in Italia nel vinile "Hacia la libertad" (1975). L'unica idea un po' discutibile avuta dal gruppo in occasione di questa interpretazione, e purtroppo spesso conservata nelle interpretazioni recenti, è una velocizzazione del brano, che non permette di capire il testo di fortissima denuncia delle condizioni dei minatori che, nonostante i tanti anni passati dalla composizione del brano, come ci dimostrano i vari incidenti che avvengono in svariate parti del mondo, non sono per niente cambiate.
E sempre dal repertorio di Violeta Parra viene questa "Run run se fue pa'l norte", che il gruppo, sin dal 1971, esegue nell'arrangiamento per lui pensato da Luís Advis, grande musicista classico che permise alla "Nueva canción chilena" di toccare due sue vette con le opere "Santa María de Iquique" (interpretata dai Quilapayún e dedicata ad un massacro di povera gente avvenuto un secolo fa), e "Canto para una semilla" (interpretata dagli Inti-Illimani e basata sulle "décimas" autobiografiche della stessa Violeta Parra). Il brano in questione è interpretato dall'autrice, voce e charango, nell'lp "Sus últimas canciones" (1966), nell'interpretazione del gruppo diventa un brano prevalentemente strumentale, infatti si conservano solo due strofe del cantato, ed acquista una maggiore interiorità e si direbbe più colto.
Tornando a "Lugares comunes" si interpreta un brano strumentale (di cui non ricordo il titolo, perdonatemi!). È strumentale e non è particolarmente apprezzato da me, sempre per quella pesantezza di cui si era parlato in occasione de "A la caza del Nyandú". Subito dopo, però, il gruppo si riprende subito con un altro brano strumentale, questa volta tradizionale, dove il violino, oltre ad entrare suonato normalmente con l'archetto, esegue delle interessanti note pizzicate. La presenza del violino e del clarinetto, purtroppo, in questo caso contribuiscono spesso ad addolcire, forse esageratamente, l'irruenza andina, facendo perdere qualcosa a questo brano (e non solo a questo per essere del tutto franchi!).
Ed eccoci ad un meraviglioso valzer peruviano composto dagli Inti su testo di Rafael Alberti, uno di quelli di ispirazione italiana. Il gruppo, e questo gli va riconosciuto al di là di personai idiosincrasie e gusti sugli ultimi Inti (ancora senza aggettivi e distinzioni), non ha mai staccato l'anima dall'Italia e dall'italianità, anche quando solo due dei membri vi hanno vissuto quindi la conoscono profondamente.
Subito dopo, continuando ad andare rigorosamente in ordine con la track list del cd, si continua con un meraviglioso arrangiamento di un "huapango" messicano. Bisogna dire che Jorge Coulon, che agli inizi del gruppo si dedicava all'interpretazione di brani messicani, dimostra la sua insuperabile bravura in questo repertorio, anche per una sua naturale tendenza a "quebrar" la voce, ossia a "completare" le note con degli acuti interni molto particolari, tipici della tradizione messicana.
Subito dopo si torna al repertorio storico degli Inti, interpretando una delle tante canzoni d'omaggio all'Italia, che ancora il gruppo eseguiva rifacendosi agli arrangiamenti pensati per la versione incisa con John Williams e Paco Peña nel cd "Fragmentos de un sueño" (1987). Il brano in questione è "Danza di Cala Luna", basato su certi ritmi sardi. È una delle mie canzoni degli Inti preferite, anche perché gli strumenti andini sono messi perfettamente al servizio di un'italianità profonda e pura.
Il gruppo continua a pescare nel suo repertorio storico , interpretando "Cándidos", un brano dalla forte influenza afro, composto da José Seves, che già, purtroppo, non faceva più parte del gruppo. (Non ho mai avuto la fortuna di vedere il gruppo con questo membro, mannaggia!). La canzone, dedicata all'"autunno dei patriarchi" ed ispirata dal libro "L'autunno del patriarca" di Gabriel García Marquez, fa fare una festa assolutamente incontenibile.
Ed eccoci alla partecipazione del musicista, poeta e scrittore Patricio Manns. Sinceramente non conosco questo brano, quindi non ve ne posso parlare più di tanto. Vi posso dire che la voce di Patricio Manns è abbastanza deludente, perché è abbastanza stonato ed è raro che esegua note limpide. Ritmicamente comunque il brano è interessante e non riesco a classificarlo.
Il prossimo è un brano, ancora interpretato da Manns, fortemente antistatunitense. Se devo descrivere il brano è una "saia" (tipo "la fiesta de San Benito"), che gli Inti-Illimani arricchiscono con una intrusione, armoniosissima, di congas cubane. L'inizio del brano, e va detto per sincerità, ricorda le cose che Meriño poi ha fatto in maniera generalizzata, certi accordi jazz che c'entrano davvero poco con la musica popolare europea e sudamericana.
E subito dopo, presentata da Patricio Manns che ne ha scritto il testo, arriva "Vino del mar", canto dedicato ad una militante della U.P. di Salvador Allende, assassinata, dopo essere stata torturata e violata, il cui corpo fu gettato in mare ma da questo caritatevolmente restituito. Il brano è una fusione tra la bellissima tecnica classica della chitarra di Meriño (che è un buon chitarrista, non si può negare), la vocalità spesso all'unisono degli Inti-Illimani ed un quartetto da'rchi. È un brano dove politica e tenerezza si fondono per dare spazio a sensazioni intime indescrivibili.
Ed eccoci al brano che chiude "Lugares comunes", un brano di inequivocabile matrice italiana, scritto da due membri del gruppo che conoscono l'Italia solo dai film, dai racconti dei fratelli Coulon e dalle volte che ci hanno suonato. Il brano si intitola "Caro nino", dedicato a Nino Rota. Potrebbe ricordare la musica del film "Pinocchio" (quello anni Settanta), anche se credo che questa colonna sonora a cui l'ho paragonata non sia di Rota. È un brano in minore, che però non concede spazio a tristezze, semmai solo ad una dolce malinconia. Veramente stupenda, noi italiani la dovremmo scoprire.
Il concerto, ormai giunto quasi alla fine, continua con una curiosa versione di "Mi chiquita", un brano di ispirazione cubana, anche perché ha un testo del grande poeta cubano Nicolás Guillén. Le principali curiosità di questa versione, che poi sono abbastanza comuni, sono il fatto che la voce principale sia affidata ad un vero cubano (nonostante che vive in Cile da moltissimo tempo, non ha perso neanche un po' del suo accento cubano, ovviamente si parla di Efren Viera). La seconda curiosità è l'intrusione in questo brano del violino, strumento che qui, fortunatamente non riesce a scalfire l'allegria del brano. Si fa ancora più festa, se possibile, con la successiva "El carnaval", incisa per la prima volta nel già citato "Fragmentos de un sueño", insieme a Paco Peña e John Williams. Questa versione ha come principale particolarità la presenza delle congas cubane e la troncatura del finale a ritmo andino.
Subito dopo si interpreta un altro brano di ispirazione inequivocabilmente afro, la bellissima "Samba landó", tratta da quel fondamentale ma incompreso in Italia "Canción para matar una culebra" (1979). la versione è molto più afro rispetto a quella da studio, che era accompagnata da un gruppo tipicamente andino.
Il concerto si chiude, come sempre, con "La fiesta de San Benito", brano andino su cui Manuel Meriño ha iniziato a infierire sin da subito (rimpiango Salinas). Questa "saia" boliviana fu arricchita dal gruppo sin dal 1969 (anno della sua prima incisione) con un accordo in più che la rende molto ricca. Ecco gli insopportabili assoli di sassofono che preludono al finale che è caratterizzato da un mi minore ripetuto (alla maniera di certe pizziche degli Zoè) fino allo sfinimento. Non mi piacciono queste cose.
Spero comunque di avervi fatto piacere, e spero di aver fatto venire voglia a qualcuno di vedere questo concerto, tra i più festosi del gruppo.
Il dvd, poi, ha in coda la versione da studio di "Sobre tu playa" ma noi non ce ne occupiamo.
Buon ascolto e visione!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento