Carissimi lettori, sono appena tornata dalle vacanze in Toscana, che si sono concluse con un bellissimo e festosissimo concerto degli Officina Zoè tenutosi a Porto Santo Stefano. Non ve ne posso parlare come vorrei, in quanto il mio provider di posta elettronica ha pensato bene di cambiare la grafica che lo contraddistingue, mandando assolutamente fuori chiunque lo utilizzasse e fosse non vedente (come me ad esempio).
Il concerto, cosiccome quello tenutosi a Gualdo Cattaneo, si è aperto con una "Santu Paulu I" con voce solista di Lamberto Probo. Il brano, come poi tutto l'insieme del concerto, è stato caratterizzato da una durezza notevole, forse naturale continuazione del processo di avvicinamento alla dimensione tellurica che contraddistingue questa fase recente dell'Officina. La durezza era data dal canto di Cinzia, la quale rifuggiva da ghirigori e virtuosismi vocali, che erano invece portati avanti con caparbietà da Rachele. La seconda voce dell'"Officina" sta entrando in una fase di maturazione che la porta ad essere da un lato profondamente dentro la filosofia del gruppo, ma dall'altro a voler dare il proprio nuovo e cosciente apporto alle sue sonorità.
Subito dopo si è avuta la curiosa versione valzerata di "Nia, nia, nia", che un secondo ascolto permette sicuramente di apprezzare maggiormente. Quello che continuo a pensare è che la velocità e l'allegria che porta con sé il tempo di valzer (se non di mazzurka) a cui è portato il brano, non permette di assaporarne tutta la profonda dolcezza. Un'altra caratteristica che ha indurito ulteriormente il brano, sono stati alcuni bellissimi finali calanti e corti, di cui Cinzia Marzo ha riempito il suo canto.
Andando avanti si è poi avuta "liknon", bellissima ballata ispirata a Cinzia Marzo dalla lettura del libro "Sola andata" di Erry de Luca. Dal libro del famoso romanziere e poeta, il brano riprende una certa apertura poetica, che comunque trovo profondamente connaturata anche al mondo della cantante di Corsano. Bellissima la presenza della seconda percussione, che equilibrava con il suo suono indeterminato i bassi della tammorra muta. Il brano non mancava per niente di modernità e allucinazione, nonostante l'assenza del contrabbasso nel suo organico. Mi ha stupito profondamente la duttilità del violino, strumento a cui è stata affidata una lunga e complicatissima parte. Il suono dello strumento era sporchissimo, niente però faceva pensare alla sporcizia che troviamo nella musica tradizionale, quella patina che si ascoltava era lo sporco della metropoli. Prima della parte veloce, si è assistito ad un applauso a scena aperta, causato dalla pausa che divide le due diverse parti del brano. Comunque è emozionantissimo sentire brani che non si sono mai assaporati dal vivo, perché quando gli interpreti sono bravi questi prendono una nuova e stupefacente forma.
Tra i classici dell'"Officina", ovviamente, non è mancata "Don pizzica". Il brano è tra i più rappresentativi della produzione d'autore del gruppo, ma non mi sentirei nella possibilità di presentarlo come un pezzo nel segno della tradizione. Se lo si analizza a livello armonico, esso è caratterizzato da una maggiore ricchezza rispetto alla tradizione e da combinazioni d'accordi inusitate. È un brano coinvolgente ed è impossibile negarlo, ma io parteggio spudoratamente per "Filia", che trovo molto più semplice e festosa.
Insuperabile è stata la versione di "Ijentu", brano che da due anni a questa parte è diventato un rompicapo inestricabile. Le voci amano troppo giocare e ormai non si tengono, anche aiutate dalla notevole bravura dell'armonicista Luigi Panico.
C'è stata poi anche "kali nifta", che ha conservato l'inusitato salto di velocità da lentissimo a veloce sperimentato a Gualdo Cattaneo. Anche qui rischierei di ripetermi se facessi le mie osservazioni, voglio solo dire che forse questo brano è troppo triste per dargli tutta l'allegria che i gruppi salentini gli regalano (quella degli Zoè resta la versione più bella in assoluto, quindi non si discute!).
In griko c'è stato poi spazio per la "Pizzica mistica", brano che Cinzia ha interpretato in maniera estremamente dura, ad eccezione degli inizi di strofa in "pianissimo" o sussurrato. Il virtuosismo che aveva eseguito in Umbria ha trovato spazio anche qui, ma non era eseguito con la leggiadria di un volo mistico, semmai con lo spirito festoso che culmina in un grido di giubilo.
Non c'è stata la bellissima "Lu rusciu de lu mare", ma abbiamo avuto il piacere di ritrovare "T'amai". È un brano tra i meno conosciuti ma più emozionanti della tradizione salentina, uno di quelli dove si è avuta maggiormente la dialettica tra la durezza secca di Cinzia e quella barocca di Rachele.
Anche in questa occasione hanno voluto cantare "Moira", ma questa volta il brano non ha conservato la sua struttura di canto quasi gregoriano, arrivando ad avere un contatto profondo con le radici più ancestrali del canto funebre griko. Ci troviamo davanti un canto molto più barocco e gorgheggiato, niente impostazione e limpidezza, ma forse più vicino alla disperazione contadina.
Il concerto si è chiuso con alcuni brani del repertorio d'autore dell'"Officina". Abbiamo potuto ascoltare "A mammata", pizzica cantata in italiano dedicata ai potenti. Sinceramente è un brano che non finirà mai di provocarmi sensazioni strane, miste di affetto, condivisione ma anche di discordanza con la fusione fra la pizzica e la nostra lingua. Bellissima la parte di chitarra acustica che accompagnava il finalino, perché la terzina si stemperava e veniva scoperta la radice binaria della pizzica.
Notevole, sempre fra quelle che il gruppo ha estratto da "Maledetti guai", è stata "Ciao rom", suonata di ispirazione balcanica interpretata con maestria da Donatello Pisanello all'organetto coadiuvato dai tamburellisti Lamberto Probo e Danilo Andrioli e dal violinista Giorgio Doveri. Per quanto riguarda la partecipazione del violino, ancora una volta devo dire che in quei fatidici trenta secondi dove il giro base si infrange su un sol minore prolungato seguito da un re minore, lo strumento non ha saputo esprimere quella magica tristezza che riesce a dare in disco.
Sempre dall'ultimo cd dell'"Officina" si è avuta poi la bellissima "Cu li suspiri", con cui il gruppo ha chiuso la parte ufficiale del recital. È un brano dove Lamberto spesso si fa prendere la mano a livello di velocità di terzina, e purtroppo anche stavolta è stato così. Questo ovviamente ha comportato una cattiva gestione del canto da parte di Cinzia e Rachele, le quali ovviamente non potevano pensare ad abbellire i loro fraseggi vocali, in quanto impegnate a gestire bene il fiato. Ciò non toglie che questo sia un bel brano, anche se vi consiglio di ascoltare la versione da studio, quella presente nel cd "Maledetti guai" e nel loro myspace in versione accorciata.
I due bis, concessi dopo scalpitii generalizzati del centinaio di persone convenuto nel piazzale antistante la scuola Edmondo de Amicis di Porto Santo Stefano, sono stati una commovente "La lettera ca me desti" e "Santu Paulu II" (quella con voce solista affidata a Cinzia Marzo). Per quanto riguarda la prima si può dire che è stata molto più dura, anche se la durezza che ci abbiamo potuto notare era condita ed equilibrata da un notevole senso di dolcezza nascosta. Interessanti i finali acuti sul modello di Rosa Balistreri, eseguiti spesso e volentieri da Cinzia. In questa occasione il brano forse ha acquistato un'anima più vicina alla sua essenza, perdendo quella bellissima confidenzialità urbana che ce lo aveva fatto conoscere ed amare.
L'ultimo bis, siccome io non mi sono permessa di richiedere "Menevò", è stato un canonicissimo "Santu Paulu II", che io ho ballato da in piedi.
La pizzica era vorticosa, ci si era avvicinati moltissimo alla versione di terra, la festa era ormai incontenibile.
L'aver finalmente potuto vedere gli Zoè due volte in molto poco tempo, solo trentacinque giorni, mi ha permesso di confermare una mia personale ed assodata opinione sulla loro personalità. Avevo sempre pensato che loro fossero in grado di cambiare e di molto la loro gamma espressiva, ne ho avuto la assoluta certezza. Grandi!
lunedì 2 agosto 2010
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