Carissimi lettori, è raro che io scriva due articoli in un giorno, ma mi va di fare gli auguri tramite questo blog a Francesco Guccini che domani compie settant'anni.
Attraverso questo articolo non ripercorrerò la sua biografia, che d'altronde è ampiamente disponibile anche in alcuni bellissimi e caldissimi libri come "Un altro giorno è andato" di Massimo Cotto (non mi ricordo l'editore, mea culpa!). Mi limiterò a mettere insieme un collage di sensazioni dedicate al "guccinastro", soprannome personale di Guccini.
Non so dirvi come avvenne la mia scoperta di Guccini, perché credo di averlo sempre sentito nella mia famiglia. I primi ricordi sono legati a dei pomeriggi passati a casa di mio zio Claudio ad ascoltare, da due vecchi vinili, "Radici" (1972) e "Via Paolo Fabbri 43" (1976). Mi ricordo anche di bellissime suonate in duo di repertorio vario, lui alla chitarra ed io al pianoforte, che comprendevano spesso e volentieri qualche pezzo del nostro, soprattutto "Via Paolo Fabbri 43", brano per il quale mio zio nutre una passione fortissima.
Il mio primo ricordo personale legato a Guccini è l'acquisto di "Quello che non" (1990). Una leggenda metropolitana diffusa nella mia famiglia, narra che io, sul bancone di un negozio non esattamente noto per la vendita di cd che allora vendeva anche questo prodotto, chiesi questo disco ad una commessa sconvolta. L'album è tutt'ora tra i miei preferiti, insieme ad un altro che ha cullato la mia infanzia arrivatomi da Venezia. Mi riferisco a "Fra la Via Emilia e il West", primo disco che mi ricordi di aver posseduto in una copia di proprietà esclusivamente personale, estratta da un vinile abbastanza ben conservato ma leggermente rovinato sull'inizio, purtroppo sulla frase "siete un bel casino!", pronunciata da Guccini dopo l'immancabile "Canzone per un'amica".
Quando ero piccola avevo molto buoni rapporti con una signora che era madre di una compagna di scuola di una mia sorella, la quale era convinta che i cantautori avessero fatto cose belle fino alla fine degli anni Settanta, quindi mi regalava solo dischi di quel periodo (spero che ora si sia ricreduta, non lasciando gli anni Novanta fuori dalla sua vita...). Fu lei a regalarmi quello che io considero il più geniale lp di Guccini, il suo primo disco pubblicato, quel "Folk beat n. 1" del 1967. Ciò che mi fa trovare geniale questo disco è la sua irresistibile spontaneità, la sua ingenuità dilettantesca. Adoro tutt'ora due brani di quel disco, che ora possiedo in cd ma che all'epoca avevo in una bellissima cassettina originale: "Il sociale e l'antisociale" e "il 3 dicembre del '39". Mi piace molto lo stile chitarristico di Guccini, che non essendo il finger piking americano allo stato puro praticato allora da moltissimi cantautori di varia notorietà e spessore, è un interessantissimo e personale compromesso tra la tradizione dei canti di montagna tosco-emiliani e varie influenze nord-americane, che sono state sempre la bussola della musica del "Guccio". Adoro anche il timbro del giovane Guccini, ancora non diventato da basso, anzi ancora caratterizzato da una tenorilità perfetta.
L'album che mi è più indifferente di Guccini, se ne è ampiamente parlato durante il commento al Concerto del 26 febbraio, è "Stanze di vita quotidiana". La copia che possiedo, in cassetta originale, mi fu data da un amico, ma non posso essergli grata, me ne dispiaccio.
Sono invece gratissima ad un altro amico, amante di cantautori e possessore di alcune vecchissime incisioni che spesso ora conservo io nella mia nastroteca, che mi fece dono di quel gioiello di goliardia e sagacia che è "Opera buffa", album precedente del "Guccio", forse mai troppo ben capito anche perché il cantante stesso tende a snobbarlo (peccato mortale!).
Ritengo che Guccini abbia trovato uno stile molto migliore da quando ha incontrato Juan Carlos "flaco" Biondini, suo chitarrista di fiducia da trent'anni almeno. Credo che l'America Latina ha equilibrato le spinte esageratamente progressive che stavano rischiando di rendere Guccini un cantautore legato ad una musica emarginata ed emarginante, la stessa che non ha permesso ad un altro grande genio della canzone italiana, il bolognese Claudio Lolli, di emergere come si sarebbe meritato. Va anche detto oltretutto che io sono un po' scettica con i lupi solitari in campo artistico, quelli che fanno questo mestiere per una nicchia sparuta, facendo sì che il loro repertorio non sia apprezzato (fortuna Guccini non è tra questi!).
Nonostante la critica fatta a Lolli, anche lui gode di una stima incondizionata da parte mia. Tra i brani del suo repertorio ce n'è uno chiamato "keaton", che i due artisti condividono. La versione di Guccini è più godibile, anche perché più acustica, ed è contenuta nel cd "Signora Bovary" del 1987. Claudio Lolli la ha poi fatta propria nel cd "Viaggio in Italia" (1998", con un arrangiamento che su di me ha un effetto abbastanza estraneante.
Spero che abbiate gradito questo distillato di sensazioni gucciniane, ancora aguri grande maestro!
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