Carissimi lettori, oggi abbiamo voglia, io ed un mio inseparabile amico, di condivedere con voi certe nostre personali riflessioni sul canto politico, una delle tante passioni che ci accomuna. L'articolo ripercorrerà la storia del canto di lotta, distinguendo almeno due sottodategorie principali, di cui si illustreranno le maggiori caratteristiche sia a livello testuale che musicale.
Il periodo d'oro della canzone di lotta, secondo noi ma non solo, è quello che va dall'ascesa del mondo operaio alla ribalta, verso la fine dell'Ottocento, alla stagione degli anni di piombo. Da qui, direi di entrare subito nel vivo, si possono subito presentare i due tronconi di cui parleremo.
Il primo troncone io lo definirei "politico-riflessivo" o, se si vuole, "politico-poetico". I brani migliori di questo repertorio, molto copioso specialmente in America Latina e da noi praticato da alcuni grandi intellettuali come Pietro Gori o cantautori come Fausto Amodei, sono: "Addio Lugano", "Per i morti di Reggio Emilia", "América novia mía", ripreas dal repertorio degli Inti-Illimani. Questo filone è caratterizzato da un diluimento del messaggio politico, che viene apparentemente stemperato dalla presenza di poesia o anche solo dalle cirocstanze di composizione. "Addio a Lugano", giusto per fare un esempio, è un canto di addio ad una terra che ha accolto il grido libertario degli anarchici, ed è politico solo per la rabbia di chi deve fuggire, ma non contiene riferimenti a situazioni concrete di effettiva lotta. Questo sottogruppo, musicalmente, si può caratterizzare per una ricerca di ricchezza sia melodica che armonica, testimoniata, ad esempio, dal difficilissimo giro d'accordi della citata "Per i morti di Reggio Emilia".
A fare da contraltare a questo repertorio, c'è quello che nel linguaggio della "Nueva canción chilena", viene chiamato di "Canciones contingentes", nate spesso verso la fine degli anni '60, con molta minor raffinatezza e con riferimenti concreti a circostanze storiche di lotta. Tra le italiane, per questo filone, che chiameremo "Politico-concreto" o "Politico-contingenziale", possiamo ricordare molto repertorio popolare di ogni provenienza, e alcune ballate di cantautori come "Il vestito di Rossini" o " "Borghesia" di Claudio Lolli. Questi brani, musicalmente, sono spesso caratterizzati da un maggiore povertà armonica e melodica, proprio perché sono canzoni da e "in piazza". Molto spesso quest'ultimo repertorio prevede anche l'esecuzione collettiva monodica o polivocale.
Oggi il canto politico, essendo appannaggio quasi esclusivo di intellettuali, viene trattato con molta superficialità o, peggio, viene digerito talmente dal "sistema" che vuole teoricamente abolire, che ne fa il gioco. Non è che non esistano i canti da piazza, ma sono eseguiti in contesti che non prevedono la fruizione concreta dei brani da parte di persone estranee ai collettivi compositori. Una delle conseguenze di ciò è stata la sparizione della distinzione fatta sopra. Si veda, ad esempio, l'ultimo capolavoro degli Zoè. Nel cd in questione, "Maledetti guai", troviamo i due brani di apertura che dovrebbero essere catalogati, per la durezza di alcune loro giuste affermazioni, nel filone "contingenziale". Gli stessi brani, però, spesso e volentieri, si perdono dietro ad incantevoli ma inutili ghirigori ed arzigogoli poetici. E' questo il caso del pezzettino di "Maledetti guai" che dice: "Ieri ho fatto un brutto sogno,
brutto sogno, brutte storie
per gli ospedali, l'informazione, pei precari e per le scuole". Un altro esempio, tratto dal brano "A mammata", potrebbe essere:
"E lui ci insegna tante cose,
a dire false verità.
Presta falso il giuramento,
la parola non mantiene mai.
Non mantiene la parola
data nelle trattative
e siccome è un gran stratega
non finisce sotto accusa".
Se si ripercorre la storia dei due filoni sopra descritti, si vede chiaramente che essi hanno avuto una evoluzione opposta e speculare, quindi metterli insieme è una forzatura intellettuale e, almeno secondo me, unire ciò che la storia ha fatto nascere separato è un affronto alla storia stessa.
Gli Zoè, invece, sono maestri nel canto "politico-poetico". Da antologia, sempre tratta da "Maledetti guai", è "Liknon", che, sotto la veste di un brano intimo, è uno dei canti più riusciti di "ponte" tra l'antica e dimenticata emigrazione italiana, e l'attuale flusso migratorio dall'estero. Qui, aiutata anche dalla melodia eterea che lei stessa ha composto, Cinzia emette un grido antirazzista, perché cosiccome noi stiamo stati delle anime perse ed abbiamo esportato "miniere di solitudini", ora le riceviamo.
Per il Salento, l'ho già detto in varie occasioni ma qui cade a fagiolo, esempio insuperabile di canti politici "contingenziali" sono i soliti Aramirè di "Mazzate pesanti", che d'altronde non hanno un centesimo della poesia di Cinzia.
Un altra visuale possibile del cozzo tra contingenza e poesia, può essere quella rappresentata da coloro che vogliono musicare in maniera raffinata brani che definirebbero "contingenti" o da piazza. Gli esempi più sonanti sono quelli de "I treni per Reggio Calabria" e il "Lamento per la morte di Pier Paolo Pasolini" scritti da Giovanna Marini. Forse è bene ricordare che il canto politico non nasce come "pezzo da museo" che, può divenire oggetto di reinterpretazione magari quest'ultima assai discutibilmente azzeccata e fine a se stessa. Il canto politico nasce dal cuore e solamente col cuore si produce. Esso non può essere strumentalizzato, per nessun fine. Così come non può essere venduto o accademicizzato per un pubblico di élite. Non si può, tra l'altro, andare in un canale nazionale come Rai Radiotre, e, dopo aver citato un intervallo di note particolare, rifiutarsi di spiegarlo perché tanto chi ascolta non avrebbe capito niente.
Oggi, in conclusione, si è arrivati al paradosso, che si è molto più politici quando non si fa politica.
sabato 23 gennaio 2010
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