Carissimi lettori, sto ascoltando adesso, tramite una web radio, il programma "Effetto notte in Italia" di Blusat 2000, canale satellitare di ispirazione cattolica. E' una puntata sul jazz italiano e ve la voglio commentare.
Devo subito dire che ho perso il primo brano del programma, che, dicono, sia stato di Paolo Conte. Dopo è arrivato un bellissimo pezzo di Buscaglione "Che bambola". Devo subito dire che, Immediatamente dopo è iniziata una serie di pezzi che, solo in maniera un po' dubbia io definirei "jazz italiano", perché secondo me, questa espressione, più che indicare chi fa jazz in Italia, indica chi ha cercato una via italiana al jazz.
Comunque, si è sentita la versione jazz, incisa da Gino Paoli nel 2007 per il cd "Miles Tones", della canzone "Una lunga storia d'amore". Subito dopo è arrivata una versione, insopportabile secondo me, di "Senza fine", strumentale, e con improvvisazioni troppo free per i miei gusti.
Subito dopo è arrivata "Sono stanco" di Bruno Martino, reinterpretata, però, da Niky Nicolai, insopportabile e sguaiata, perché, neanche lei, cerca una via italiana al jazz.
Adesso stiamo ascoltando "L'inverno e l'estate" di Ivan Segreto, un giovane siciliano che, sinceramente, avrebbe fatto meglio a mantenere "segreta" la sua passione per la musica. Qui, l'unico legame con il jazz, è la presenza di Paolo Fresu, trombettista sardo, neanche di mio particolare gradimento.
Il brano, se dovessi descriverlo, è un pezzo un po' new age, meditativo, con strumenti inclassificabili, intellettualoide, come tutta questa musica che è commerciale, ma siccome questa parola ha una brutta reputazione generalizzata, finge di essere underground nel peggior modo possibile, ghettizzandosi da sola.
Devo dire che, per la prima volta da quando ho acceso la radio, sto provando piacere. E' partita, infatti, una bellissima canzone di Vinicio Capossela, di quando non si era ancora perso dietro i violini a tromba, le tarante e le stravaganze. E' un brano tratto da Camera a Sud, intitolato "Non è l'amore che va via". Il piacere, però, carissima Paola de Simone e carissimi compagni d'avventura di Inblù, non mi toglie il gusto e il mordente della polemica. E' vero che Capossela non fa propriamente jazz, ma vi sono alcuni pezzi, sempre in cd come "Camera a sud", o "All'una e trentacinque circa", che sarebbero stati molto più compatibili con un'analisi dell'italianità nel jazz. Purtroppo non so citare titoli, perché "Camera a sud" è da molto tempo che non lo prendo, e gli altri album ce li ho in cassetta, quindi addio.
Adesso è partito un brano in dialetto napoletano, perché l'esotismo in questi casi fa sempre nicchiettina undergroubnd, che non saprei cosa ci "accucchia" con il jazz, dato che musicalmente è un brano soul. Il soul, nato intorno agli anni 30-quaranta, pur essendo spesso interpretato dagli stessi cantanti di jazz, ha subito preso una fortissima autonomia, che l'ha portato, appunto dagli anni 70 in poi, ad essere una musica prevalentemente o fortemente basata sugli strumenti elettronici od elettrici. Il jazz, lo ricordo solo ai più sprovveduti, e sono confortata dalla testimonianza di una persona a me vicina che ne è grande cultore, è ancora prevalentemente acustico, e le sperimentazioni con l'elettronica o gli strumenti elettrici, sono appunto ancora delle sperimentazioni.
Ora, è vero che questo si potrebbe considerare free jazz, ma, credo, che tecnicamente sia rock progressivo, quindi esula da una seria trasmissione sul jazz italiano. Ma, diciamocela tutta per favore, questa sera stiamo assistendo ad una pagliacciata allo stato puro. Pensate, il brano in questione era dei Napoli centrale, evviva!
Ora è partito un brano che, quantomeno, strutturalmente, può ricordare il jazz, specialmente la ballad jazz, lenta e suadente. E' un brano di Amalia Grè, una delle tante cantanti che, sinceramente, non si sa cosa abbia fatto dopo quelle due partecipazioni, non malvage certamente, al Festival di Sanremo. Comunque, ragazzi, qui si parla di "musica italiana che scimmiotta o sfrutta il jazz", in qualche suo aspetto, ora non importa quale. Non mi venite a dire che questo è il jazz italiano, o per lo meno non mi venite a dire che questa è la via italiana al jazz. La cantante sta cantando, scimmiottando completamente le cantanti americane, che fanno cinquantamila vocalizzi durante mezza parola. Vergogna!
Ora sto provando vero piacere, e finalmente posso parlare di qualcosa senza ombra di polemica. E' infatti arrivata ad avvolgermi una canzone di un grande cantante napoletano, il crooner Joe Barbieri. L'unica osservazione, forse, è che non si può magari definire solo jazz italiano, ma si dovrebbe definire bossanova italiana. Comunque, se non altro, lui riesce ad unire bene la nostra melodicità con uno stile che sente particolarmente suo, senza né tradire noi e la nostra maniera di essere cantando, né la musica brasiliana. Armonicamente è comunque brasilianissima, ha delle parti d'archi che ricordano molte incisioni di Caetano Veloso con Morelembaum (il suo violoncellista).
La chiusura è affidata a Nicola Conte, che fa un samba molto brasiliano, un po' simile a ciò che trent'anni fa poteva fare in qualche caso Piero Miliani. Non è male, ma devo dire che a puntata finita non posso dire che si è sentito jazz italiano nella maniera che intendo io.
Non mi piace, e lo si può vedere su uno dei post dedicati alla Notte Della Taranta, fare solo la distruttiva. Voglio ora, infatti, presentare una scaletta ipotetica, da cui probabilmente si dovrebbe sfrondare qualcosa per farci un'effettiva puntata di "Effetto notte in Italia", ma che comunque io ritengo coerente con il tema scelto.
Innanzitutto, anche se le interpreti sono straniere, dato il profondissimo legame che queste avevano avuto con l'Italia negli anni '30, si potrebbe iniziare con un qualsiasi brano del Trio Lescano. Lo so: sto infrangendo un tabù, in Italia la musica è nata negli anni '50, che si ascoltano pochissimo, e ad ascoltarla si parte dai Sessanta.
Passerei poi, con sommo piacere, a qualche brano di gente come Ernesto Bonino, Natalino Otto, Alberto Rabagliati, tutti ovviamente presi in registrazioni degli anni Cinquanta e Sessanta, per la loro indubbia superiorità qualitativa, non dimenticandomi, ovviamente, dell'insuperabile Quartetto Cetra.
Si potrebbe poi ascoltare qualche brano di Fred Buscaglione, a cui fortunatamente è stato dedicato spazio, affiancandolo, però, al suo amico e rivale Renato Carosone (ecco chi doveva dare il tocco napoletano, non i Napoli Centrale!).
Arrivando agli anni Sessanta, si sarebbe poi potuti passare a Lelio Luttazzi, o in veste di cantante con la spassosissima "Legata ad uno scoglio", o in veste d'autore, ad esempio con "Bum! Ahi! Che colpo di luna!", interpretata da Mina.
Si potrebbe omaggiare poi Bruno Martino, ascoltandolo cantare e non parlandone ipocritamente, per poi passare a Paolo Conte, di cui proporrei, ad esempio, brani come "Sotto le stelle del jazz", "Lo zio", "Via con me", ed altre. (Devo ammettere che non so cosa è stato trasmesso del cantautore astigiano). Si potrebbe, poi, per citare un esempio di persona che si è fatta "contaminare" dal jazz, perché su questo in fondo verteva la puntata, omaggiare Renzo Arbore, con uno dei suoi numerosi brani swing. Si sarebbe potuto, da un lato far ascoltare brani del primo cd del foggiano come "Il clarinetto" o "Vecchia mutanda", o mostrare un qualsiasi brano del disco "Tonite Renzo swing", oppure, ancora, mostrare qualcosa, non so fare esempi concreti, dal cd "Vintage ma non li dimostra".
Per citare altri "Contaminati", molto più "contaminati" di Arbore perché hanno sfidato il jazz a perdere un po' della sua naturale struttura cameristica od orchestrale, si potrebbe poi presentare qualche brano di cantautori come Piero Ciampi ("Don Chisciotte", "Tu no", "Livorno", "Il merlo", ecc); Umberto Bindi (Il nostro concerto). Perché non ricordarsi, poi, del bel progetto dedicato da Cristian de Sica alle canzoni swing italiane dagli anni '30 agli anni '50? Perché non presentare anche qualcosa da altri progetti di riappropriazione di quel repertorio come "Abbassa la tua radio", al quale avevano partecipato numerosi cantanti idolatrati da tutte le radio commerciali (che è quello che Inblù è diventata) come Irene Grandi? Perché, se si vogliono citare delle versioni jazz di brani pop, non si ricorre mai al bellissimo "Strane stelle strane" di Enrico Rava?
Ultimissima: dove è andato a finire il grande amore dimostrato da una gran parte dei giornalisti musicali per Nicola Arigliano? Ve lo ricordate? Lui sì che avrebbe meritato di essere tra i citati, insieme ad un musicista che da diverso tempo non sento più per radio, quel grande Sergio Cammariere, di cui io, dalle colonne di un quotidiano locale perugino, avevo parlato un anno prima che tutti lo cominciassero ad idolatrare dopo la sua prima, bellissima e trionfale partecipazione a Sanremo. Perché non citare, ascoltandola, come curiosità anche "Dopo il liceo che potevo fare", segno di una "contaminazione" jazzistica da parte di Edoardo Bennato?
Ascoltatevi, carissimi lettori, un po' dei brani e dei cantanti che si citano in questa coda d'articolo, capirete così cosa intendo io per jazz all'italiana, soprattutto via italiana al jazz.
martedì 14 aprile 2009
Commento alla puntata di "Effetto notte in Italia" del 13 aprile 2009
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