mercoledì 13 marzo 2013
Renato Zero: "Amo capitolo I"
Carissimi lettori, è tempo di tornare a parlare di una mia grande passione che, però, resta spesso sopita.
Ieri è uscito "Amo capitolo I", ventisettesimo disco in studio di Renato Zero, che esce a quarant'anni esatti dal suo primo vinile dal titolo "No, mamma, no!" (1973)
Il cd si apre con il singolo che ce lo ha annunciato il 1 marzo, una canzone dance, che in più di un aspetto ricorda alcuni brani degli anni Settanta-Ottanta.
Il brano è in minore, ma non per questo è mancante di quel desiderio combattivo che ha fatto di Zero un artista stimato da molti giovani di varie generazioni.
Il brano ha una parte in fa che è quella propriamente dance, mentre c'è una interessante sezione in re minore, o con la partenza da questo accordo, che prende un ritmo lento, particolare perché riesce a dare un'anima acustica perfino alle tastiere, che il cantautore comunque ama sempre far sostenere da una corposa orchestra.
E a proposito di incitamenti ai giovani, questa volta conditi da dolci e teneri consigli, arriva "Una canzone da cantare avrai", dove Zero si racconta e ci racconta il proprio rapporto con la sua arte, incitandoci a lottare per i nostri ideali e a non farci sconfiggere dalla mancanza di possibilità.
Il brano è una ballata in una scala di minore molto tesa e larga, di quelle in cui Zero dimostra di riuscire ancora a creare melodie corpose.
La ripetizione di "L'avrai" alla fine potrebbe ricordare, è solo un rimando e non c'è assolutamente plagio, "Un uomo da bruciare" di "Trapezio" (1975)
Il disco continua con una ballata di quelle lente, potrebbe ricordare, giusto come stile e non come melodia né testo, "Quando parlerò di te" tratta da "Presente" (album del 2009 di cui qui parlammo a suo tempo).
Il brano continua il discorso iniziato da "Chiedi di me", questa voglia di condivisione che Zero sente molto sinceramente nei confronti del proprio pubblico (anche se purtroppo fa trasparire certe antipatie e non è molto democratico né nella distribuzione dei dischi né nella scelta delle date dei tour).
A metà brano, durante la parte in si, c'è un parlato che potrebbe rimandare, non come contenuto, solo a causa di certe trovate stilistiche, all'inizio dello storico live "Icaro" (1981).
Una ballata dalla struttura più rock è "Voglia d'amare", che potrebbe ricordare, solo strutturalmente, "Ancora qui", anche se qui forse il tappeto elettronico è più presente.
Anche qui si parla di voglia di vivere e di condividere, dell'importanza dei sentimenti nella vita, ennesimo sprone a fare del sentimento la base del nostro vivere.
Uno dei brani più commoventi del cd è sicuramente "Angelina", ballata dalla struttura classica, aiutata moltissimo dal pianoforte di Danilo Rea.
La canzone è dedicata alla portinaia del condominio in cui Zero è cresciuto alla Montagnola.
Il brano in più di un'occasione e in più di un senso ricorda la bellissima "Ciao Stefania", anche se il brano di "Artide e Antartide" non vedeva mai il contatto tra sonorità classiche e moderne, mentre qui il contatto c'è ma i suoni moderni si limitano a fare tappeto ritmico agli strumenti classici che sono sino alla fine la bussola del brano.
Ed eccoci a "Lu", cinque quarti commovente dedicato a Lucio Dalla, fortemente impregnato di jazz, rispettando completamente forse l'unica vera radice della formazione musicale del bolognese.
Come in tutti i brani di Zero dedicati a persone volate in cielo, anche qui c'è una tenerezza ed una voglia di raccontare in profondità la loro relazione.
Il brano successivo è "I '70", ballad con "sporcature" blues e dance, per ricordare gli anni Settanta, collegandoli però al fermento attuale, che secondo Renato riporterebbe in vita la migliore ribellione degli anni Settanta. Io me lo auguro ma non vorrei che riporti a galla solo la violenza e l'estremismo peggiore.
Dopo si torna alle cose migliori, con un brano che sin da subito mi ha fatto pensare a certi brani delle colonne sonore di Fellini.
Saranno gli accordi larghi, sarà la descrizione quasi cinematografica di paesaggi e abitudini sociali, ma dà veramente la voglia di volare.
Il brano è un omaggio, diretto e chiaro perché Zero interpreta una sua composizione rimasta inedita, a Giancarlo Bigazzi.
A questo artista sono grati vari artisti di diverse generazioni, anche se se ne parla poco perché Mogol gode di un ingiusto monopolio.
La traccia successiva è il racconto del rapporto che Zero ha con la vita, con un perpetuo confronto tra il lavoro, descritto su una ritmica lenta, e la vacanza, raccontata con una struttura quasi latina.
La cosa che fa piacere è notare che per Zero il lavoro creativo è una vacanza.
Andando avanti si arriva ad una ballata, che inizia con una lunga parte inclassificabile, dal titolo "Oramai". Questa è una di quelle ballate senza ritornello, dove la struttura binaria strofa-ritornello viene sostituita da una strofa minore- strofa maggiore.
Il brano è su un addio, ma il protagonista se ne prende tutte le colpe parlando con la propria amata.
Tutto il brano è impreziosito e sottolineato nella sua sensualità dalla tromba di Fabrizio Bosso, a dimostrazione del fatto che Zero ama spesso condividere i propri brani con musicisti che stima.
La successiva è "Tutto inizia sempre da un sì", un ritmo binario con varie soluzioni, che non arrivano mai al rock standard, fermandosi sempre al limite grazie a certi trucchi latineggianti della batteria del grande Lele Melotti.
Anche questa è una di quelle canzoni dove si racconta il rapporto di Zero con l'arte, incitando il pubblico ad un rapporto sincero e grato con i sentimenti che devono far parte ed essere base di un vivere onesto.
"Vola alto" ricorda in maniera evidente (c'è una scala proprio uguale...) "Non sparare" da "Tregua" (1980).
Qui però non si parla di caccia ma di rapporti umani, continuando il discorso che si potrebbe dire intersechi in un filo più o meno segreto tutte le tracce di questo cd.
La melodia apparentemente è meno larga, ma la larghezza è data questa volta dall'alternanza di due tonalità (sol e la) nelle quali viene ripetuto lo stesso tema, ma con parole diverse ad ogni presentazione, anche questa canzone non ha ritornello.
"Dovremmo imparare a vivere" invece è uno di quei brani da operetta, satira pungente sull'Italia attuale, da cui Zero si discosta, dando però la sua solita impagabile fiducia nel futuro.
Sia musicalmente che testualmente potrebbe ricordare "Spera o spara" del precedente "Presente", ma stavolta si è davanti a più di un condimento a base di "Incubo prima di Natale".
Eccola, alla fine, una canzone con ritornello.
Il brano si intitola "La vita che mi aspetta", si direbbe che dopo essersi raccontato ed averci distillato il proprio passato, il cantautore romano ci racconti il suo rapporto, apparentemente armonioso, con il futuro.
Cd stupendo, anche io mi unisco a coloro che gridano al capolavoro, molto ma molto buono forse anche per iniziare a conoscere Zero, difatti c'è più di un rimando in tutti i sensi alla sua storia.
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