Carissimi lettori, dopo tanto tempo, pubblico un'intervista telefonica, fatta a due componenti del grande gruppo salentino "Ballati tutti quanti", che si può scoprire ai seguenti indirizzi internet: http://www.ballatituttiquanti.com/, www.myspace.com/ballatituttiquanti, oltre che su Youtube, dove loro stessi pubblicano i loro video.
Quasi tutta la chiacchierata è con Luca Rizzello, grande violinista salentino, già componente degli Alla Bua.
D: Quali erano le musiche che circolavano nella vostra famiglia quando eravate molto piccoli, a parte la musica popolare salentina?
R: Ovviamente nella nostra famiglia non circolavano solo le musiche legate alla tradizione, perché noi siamo stati bambini negli anni '80, epoca in cui, specialmente nella nostra zona, non c'era molta attenzione per la musica tradizionale. Noi abbiamo avuto un approccio alla musica completamente conforme a quello "normale" in quegli anni, ossia abbiamo ascoltato molta musica leggera, rock e classica, ma abbiamo anche avuto la fortuna di scoprire la musica tradizionale, perché questa rallegrava i ritrovi di famiglia e la si suonava insieme ai nostri zii e nonni. Infatti, nella nostra famiglia, non c'è mai stata interruzione nella trasmissione del repertorio.
D: Queste "altre" forme di musica da che cosa erano rappresentate?
R: Beh, si potrebbe anche pensare alle canzoni di Sanremo, che eseguivamo insieme a nostro padre, che suonava sia il pianoforte che la chitarra, comunque qualsiasi cosa, il tutto filtrato dalla sensibilità dei nostri genitori, grandi musicofili.
D: Quando avete iniziato a suonare musica popolare?
R: In realtà abbiamo iniziato, sin da quando abbiamo cominciato a strimpellare i nostri strumenti, ad accompagnare i canti che i nostri zii non si stancavano mai di ripetere nei ritrovi di famiglia: io personalmente studiavo il violino, ed i miei fratelli prendevano familiarità con i tamburelli e le chitarre.
D: La tua prima esperienza di "musicista" di musica popolare sono stati gli Alla Bua?
R: No, c'è stato qualcosa prima: ho suonato con un gruppo molto interessante del mio paese che si chiama "Menamenamò". Il bello di questo gruppo è che la sua musica non è necessariamente "masticata" e rielaborata artificialmente. Oltretutto in questo gruppo ci sono ancora due dei nostri zii, all'epoca ce n'erano anche tre, quindi, anche grazie alla fusione di generazioni, si riusciva a creare un clima molto amichevole. Non era come suonare in famiglia, ma quasi.
D: Quando, come e perché sei entrato negli Alla Bua?
R: La collaborazione con gli Alla Bua è nata perché ci siamo conosciuti nelle piazze, magari non direttamente, ma tramite lo scambio dei nostri rispettivi recapiti. Inizialmente, è ovvio, questa è stata una collaborazione di prova, sia da parte mia che da parte loro, poi questa unione ha funzionato e sono restato dentro quasi otto anni.
D: Come è cambiato il tuo stile sul violino da quando hai iniziato con i "Menamenamò" fino a quello che ti sei portato con gli "Alla Bua"?
R: Intanto il periodo in questione è stato un periodo di studio sullo strumento, quindi di evoluzione tecnica, la quale, però, poteva diventare un pericolo. Infatti, sono profondamente convinto che la musica popolare non si esprima con un alto livello tecnico, ma con una "coscienza del repertorio". Quindi, anche a livello professionale, ho tentato sempre di lavorare su questa "coscienza", anche in vista della "spettacolarizzazione", del fatto di doversi esibire.
D: Se faccio un confronto tra i vostri e quelli degli Alla Bua, trovo che il secondo ed il terzo cd del gruppo siano infinitamente più moderni. Con i "Ballati tutti quanti" siete per caso voluti tornare "indietro"?
R: Sì, diciamo che l'ho fatto intenzionalmente. "Ballati tutti quanti" mi sta particolarmente a cuore proprio per questo motivo. Non abbiamo avuto l'angoscia della carriera discografica, dello spettacolo necessariamente organizzato come un concerto a tutti gli effetti. Questo è un gruppo nato per la divulgazione di questa musica in festival poco noti ma molto interessanti, dedicati magari alle danze o alle musiche popolari del mondo, dove quindi poi l'esecuzione musicale finisce per non essere la fase più importante. Così ci siamo potuti dedicare alla divulgazione del ballo, nonché ad incontri di "dimostrazione" del nostro repertorio. Ecco perché non abbiamo voluto cercare uno stile che fosse vendibile o moderno. Tramite questo progetto abbiamo avuto la fortuna di esprimerci come ci saremmo espressi a casa nostra.
D: Come sono nati i Ballati Tutti Quanti?
R: Siamo nati un po' in sordina per invito di questi festival di danze tradizionali che esistono tutt'ora in Italia, anche se si preferisce rendere noto un evento mediatico che non cito. Noi, infatti, ci interessiamo ad un aspetto che in questi festival più rinomati viene trascurato: alla ricerca sul campo del repertorio, e alla sua riproposizione nella maniera più semplice possibile, dove "semplice" non sta per grossolano o riduttivo, ma per filtrato meno possibile dall'esigenza professionale dell'esecuzione sul palco. Siamo nati perché invitati ad alcuni festival dopo essere stati notati come ballerini o musicisti di altri gruppi, spesso per tenere corsi di divulgazione della danza della "pizzica pizzica" (nome tradizionale della "pizzica" n.d.r.). Così abbiamo iniziato un'attività che ci è subito piaciuta molto, sia perché potevamo esprimerci come ci esprimevamo in casa, che perché potevamo raccontare ciò che avevamo visto in strada. Sfugge, infatti, che la "pizzica pizzica" e le altre danze tradizionali del mondo, vanno imparate per strada, e che sarebbe un errore etnomusicologico oltreché morale raccontare delle cose che non si sono viste.
Nessuno di noi è etnomusicologo, ma sia io che i miei fratelli ci siamo dedicati a tematiche di questo tipo, ed abbiamo acquisito un minimo di metodo anche solo con l'esperienza. Ovviamente ci sono approcci diversi, ma la cosa più importante è ascoltare sempre il più possibile le fonti viventi. Noi ad esempio abbiamo la fortuna di avere nostra nonna che è stata giovane cinquant'anni fa, ma questi cinquant'anni ci sembrano un'eternità perché lei viveva una vita completamente diversa dalla nostra. Noi continuiamo ad imparare da lei tutti i giorni, e sempre "ci sorprende essere sorpresi", sia canti, ma anche aspetti della socialità contadina, dove la vita e la musica erano concepite in modo completamente diverso da oggi.
D: Vedo che oggi c'è una disonestà dilagante nei confronti dei contadini, spesso si ha paura anche di dire che si fanno testi tradizionali.
R: Su questo ti posso delucidare per quanto riguarda l'indirizzo dei ballati tutti quanti: che esista la contaminazione musicale è ovvio, è umano e non è la prima volta nella storia che succede, se non esistesse la contaminazione musicale oggi non avremmo il jazz. Quello che ci dispiace è che nel Salento, ormai, sia decaduto l'interesse per quello che c'è prima d'un certo limite temporale: c'è un completo disinteresse, in fondo, per la musica tradizionale in sé. Io mi immagino un panorama musicale completo nel momento in cui c'è chi si dedica alla contaminazione e alla modernizzazione di una musica, e, allo stesso tempo, chi la riscopre tradizionale.
Una cosa che tengo a dire è che mi dispiace molto che, ormai, nel Salento, mettendo insieme tutti i gruppi di musica popolare più o meno contaminata, si arriva ad una quindicina di brani e non di più, ripetuti in tutte le salse, mentre, se ci si ferma ad ascoltare gli anziani o chi ha memoria del repertorio, si scopre che esso è molto più vasto.
Spesso la musica salentina è ritenuta povera perché fatta di poche armonie, ma la sua ricchezza è altrove, sta nei dettagli. Solo che, per coglierli, le fonti vanno ascoltate più volte anche per lo stesso brano, prima di riprodurre.
Quello che spesso diciamo durante i nostri corsi è che la "Pizzica pizzica" non è una canzone con un inizio ed una fine definite: noi nei cd, come tutti, siamo costretti ad incidere brani di quattro minuti, ma, quando ci capita di suonare ai festival, quando si tratta di "feste a ballo" dove veramente si viene a sentire la "musica tradizionale salentina", molto volentieri suoniamo anche pizziche di un'ora alternando strofe di varia natura.
La "coda" di questa intervista è affidata a Carlo Rizzello, chitarrista e cantante dei "Ballati tutti quanti".
D: I vostri cd ve li autoproducete. Come funziona l'autoproduzione?
R: L'autoproduzione è una cosa che funziona se uno non ci vuole lucrare. Noi, infatti, non vendiamo i cd nei negozi, non abbiamo distributori, e, anche se dal punto di vista economico questo non è conveniente, ci rende sicuri del fatto che chi vuole qualcosa di diverso da ciò che trova sulla bancarella o nel negozio, ci può comunque trovare. Questo ci permette di fare davvero ciò che sentiamo di fare.
Spero d'avervi aperto gli occhi, sarebbe meglio dire riaperto gli occhi, su uno dei pochissimi gruppi che ritiene interessante ricercare anche nel passato nuovi brani popolari, preferendo questa strada anche a quella di raccontare la modernità, che, nonostante qualche volta sia percorsa con grande qualità, è comunque più facile e rassicurante.
lunedì 24 agosto 2009
Intervista a Luca e Carlo Rizzello dei Ballati TuIl ritorno della taranta (aggiornatoIntervisa ai fratelli Rizzello di Spongano (Ballati tutti quanti)
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