domenica 9 settembre 2012
Canto remolino
Carissimi lettori, già torno perché ho il cuore dolcemente aperto da un acquisto fatto ieri sera a quella fantastica rimpatriata con gli Inti di cui ho parlato nel post precedente.
Mi va di parlare del cd "Canto remolino" che José Seves pubblicò nel 2002, due anni prima di rimettersi con Salinas e riprendere l'avventura degli Inti.
La prima canzone ha un testo ed una musica perfettamente equilibrate, entrambi quasi surreali. Nonostante ciò la realtà c'è tutta anche nella sua cruda tragicità.
Sono curiosi, qui e in molti altri brani, i numerosi canti staccati così tipici di quella cultura africana che ha influenzato tanto la cultura afroamericana che è entrata così profondamente nell'anima di Seves.
La seconda traccia è una dolcissima ma durissima dichiarazione di intenti, un manifesto di Seves da solista, ma che in molti casi ricorda le battaglie che gli Inti hanno portato e portano ancora avanti.
Musicalmente il brano è uno dei più semplici e cantabili del disco, niente politonalità, un semplicissimo si minore, una melodia festosa ma che lascia trasparire il raccoglimento del testo.
Ma la politonalità torna, molto meno presente, in "El eco de ayer", bel ritmo tradizionale dove si canta di speranza e di nostalgia sempre con questo tocco immaginificotipico della penna di Seves (che spero che a questo punto si esprima di più anche negli Inti, magari creando qualcosa musicato dal grande Salinas).
E questa forte anima afro di José Seves si sfoga forse in maniera radicale in "Saber mapudungún", brano che è dedicato dal musicista alla gente d'etnia "mapuche" (indigeni cileni).
La canzone è in mi maggiore, con bassi ostinati soprattutto nella ripetizione osessiva di "Mapudungún".
Molto bel brano, la voce di José è sempre stupenda, poi accompagnata da strumenti che diventano percussioni si staglia in tutta la sua forza espressiva.
La traccia successiva, intitolata 2Llover", con moltissimi verbi all'infinito come questo del titolo, è una ballata con una bellissima fisarmonica (penserei perfino ad un bandoneón ma non sono sicura).
Il canto di Seves si esprime con quegli staccati che come ho detto prima caratterizzano molti momenti diquesto cd, molto bello, trasognato, raccolto, come però forse oggi non si accettano più.
Andando avanti si arriva a "Será la sombra", semplice ritmo popolare in tonalità minore, che ritmicamente ricorda "La charagua" di Víctor Jara", che gli Inti suonaronocon maestria nel 1970, quando fu eletto Salvador Allende.
La canzone è tutta incentrata sul tentativo di identificare un'ombra inidentificabile.
Il brano successivo è "Velório de un negro criollo", che tramite una secca cronaca di una veglia per un negro creolo, denuncia la condizione d'emarginazione sociale da cui i neri sono usciti ancora in troppo poche occasioni.
Il brano è caratterizzato da una bella voce femminile che compensa perfettamente la potenza dolce di quella di Seves.
Il finale di questa cronaca amara ed ironica degli atteggiamenti umani nei confronti della morte, è caratterizzato da frasi semplici di fiati che traducono con i suoni ciò a cui si allude nel testo.
Altra gemma del cd è un brano intitolato "Cantantes invisibles", nel quale José Seves fa un omaggio a quei cantori che improvvisano i loro testi.
Forse simbolicamente si sceglie un ritmo cubano per accompagnare questo inno al canto concepito come grido di libertà, difatti Cuba è una delle zone più attive da questo punto di vista. Senza andare troppo lotnano da ciò che si sente abitualmente per radio, si potrebbe pensare alla parte finale di ogni buon brano di salsa.
Però il canto di Seves ricorda coloro che in queste forme metriche libere lanciano anche messaggi politici, sociali.
Andando avanti si va verso un classico venezuelano di cui José Seves dà un'interpretazione molto lontana da quelle che conosco io, ma non sono particolarmente affidabile.
La voce del nostro, in questa "Tonada de luna llena", è solo è accompagnata solo da una percussione e da un cuatro, strumento tipico del paese d'origine del brano.
Molto bella la voce di Seves che si libra in volo tra i suoi atti, a volte in pianissimo altre volte fortissimi, ed i suoi toni gravi, che in pochissimi conoscono se non lo sentono parlare (perché la sua parlata è politonale, espressiva e quasi cantata).
Il brano seguente è un altro momento di intimità, difatti la voce del nostro è accompagnata da chitarre che solo molto raramente lasciano l'arpeggio per poi diventare ritmiche. Il brano a cui mi riferisco è "Valdivia en la niebla", in cui si direbbe che la voce ama andare verseo il recitato.
Il testo è in quel limite fra realtà e sogno in cui mi sembra trovarsi quasi tutto il cd.
E quest'anima africana che aleggia come una guida segreta all'interno del disco torna a farsi respiro evidente in questa "Esperanza y yo".
Come brano è in gran parte un son cubano, che racconta, così come la già trovata title track "Canto remolino", la sua autobiografia, ci si ritrovano riferimenti all'esilio e alla tristezza che questa esperienza porta inevitabilmente con sé.
Questa traccia, però, sviluppa come nessuna il fatto che nella sua vita c'era sempre la speranza come una bussola.
Il brano successivo, "He preguntado por él", sembra dedicato a Augusto Pinochet, difatti vi si racconta con poesia e dolcezza della resistenza clandestina.
Il brano
L'ultimo brano è un tocco di poesia e ritmiche quasi brasiliane (un po' una "Líneas para un retrato" ante litteram). Il brano è un canto alle radici geografiche di Seves, un sud del Cile tra vissuto e sognato, in quel confine in cui si muove tutta l'opera.
Bel cd, caldamente consigliato a chi abbia la fortuna di trovarlo.
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