venerdì 10 agosto 2012
Qualche parola sui quarantacinque anni degli Inti
Carissimi lettori, oggi provo a recensire il concerto che gli Inti-Illimani hanno tenuto per festeggiare i quarantacinque anni di carriera.
Il concerto è stato trasmesso da Radio 1 música chilena (www.radio1chile.cl), lo streaming è stato messo a disposizione di tutti da Discoteca Nacional Chile (www.discotecanacionalchile.blogspot.com) e a noi italiani la sua esistenza è stata segnalata da quell'impagabile segugio che è Stefano Abulqasim, direttore del blog Una finestra aperta, reperibile all'indirizzo www.intiabul.wordpress.com.
Il concerto si è aperto con "Sobre tu playa", brano scritto da Manuel Meriño, attuale direttore del gruppo, credo su testo di Patricio Manns. La canzone è stata interpretata da Efren Viera, estroso membro cubano degli Inti, con più verve spettacolare che perfezione canora (musicalmente è un mostro su tutto ciò che suona...).
Dopo si è avuto il piacere di ascoltare una bellissima "Bailando bailando", brano risalente agli anni Ottanta, all'album "De canto y baile" del 1986. Il brano purtroppo non è stato eseguito perfettamente, i flauti stonicchiavano!
Subito dopo si è avuta una "Candidos" abbastanza buona, ottimo il ritmo di cajón peruviano. Il brano è stato scritto da José Seves, ispirato dalla lettura de "L'autunno del patriarca" di Gabriel García Márquez, siamo ormai negli ultimi anni d'esilio del gruppo.
Subito dopo si è avuta una "Longuita" fantastica, con la sorpresa dell'inserimento del violino, che il gruppo ha usato solo in maniera sporadica sino al 1999, anno dell'entrata di Daniel Cantillana, violinista classico.
Subito dopo si ascolta una "Malagueña", tratta da "Lugares comunes", che interpretano rimpallandosi le strofe Jorge Coulon (unico membro fondatore rimasto negli Inti) e Cristián "El buho" González. Il brano è un huapango messicano che i cileni riprendono dal repertorio del notevole gruppo Los folkloristas".
Ora insieme agli Inti sta suonando Alexis Venegas, che sta suonando tre cuecas cilene di sua composizione. I brani sono strani, molto sviluppati, gli Inti dànno un tocco etnico, portano però rispetto alla creatività armonica del musicista, che mai fa smettere di battere la tradizione (imparate musicisti italiani di musica etnica e simili!).
Ora Alexis Venegas sta eseguendo una versione di "Juanito Laguna remonta un barrilete", che è leggermente troppo lenta ed elaborata. Il brano, in questa parte è portato verso ritmi di ballata, che non concedono nessun tipo di spazio alla Zamba argentina a cui si rifà originariamente il brano, ripreso dagli Inti dopo il loro primo viaggio in Argentina alla fine degli anni '60 (lo aveva inciso Mercedes Sosa). La seconda parte, quella interpretata dal gruppo, è sicuramente migliore ma vi sono i soliti problemi con gli strumenti e anche con la vocalità!
Gli Inti eseguono "El mercado de Testaccio" (brano di Horacio Salinas di ispirazione italiana, tratto da quell'opera suprema che è "Palimpsesto" del 1981, da cui avevamo già ascoltato "La fiesta de la tirana", bella versione ma lontana dalla perfezione). Qui addirittura qualcuno s'è perso, che figura!
Comunque dà da riflettere il fatto che i cileni all'attacco di questa canzone delirano, la sentono propria, mentre noi, forse, se la suonassero ancora, non saremmo che freddi (che peccato!).
E gli Inti tornano a tirare fuori gioielli da "Lugares comunes" (ultimo disco veramente bello da loro inciso!).
La poesia "Tú no te irás" è di Rafael Alberti ed è dedicata all'Aniene, suo luogo degli ultimi anni d'esilio, quando voleva già essere più vicino alla sua patria. La musica di Meriño ha forti tinte afroperuviane, è un bellissimo valzer peruviano.
Ed arriva Joe Vasconcellos, preceduto da un musicista brasiliano che ha fatto gli auguri agli Inti in portoghese (stupendo).
Ora si sta cantando una canzone dedicata alla donna, a metà tra la tenerezza e la denuncia delle situazioni ingiuste dove la donna è ancora coinvolta. Il brano ha quella poesia che la musica di protesta italiana ha perso da un pezzo. Nelle mani degli Inti il brano diventa una bellissima ballata andina, fa piacere ascoltare questa orchestrazione latina, che gli Inti hanno insegnato al mondo, mostrandoci un Sud America unito e senza frontiere.
E così si torna al repertorio dei nostri amici, riprendendo a saccheggiare "De canto y baile" (e come no!). Il brano che si esegue è un bello valzerino scritto DA Nicolás Guillén per il testo e da Horacio Salinas (il geniale direttore degli Inti dal 1967 al 2001). La versione che ascoltiamo è festosissima, coinvolgentissima, forse solo un pochino "intiepidita" rispetto alla prassi degli Inti del passato (anche quelli che ho potuto vedere qui a Perugia diverse volte!).
E nello stesso brano si passa a "El carnaval", composizione strumentale dello stesso Salinas, che da ormai anni prevede l'inserimento del violino. Sempre bella e festosa, con la sua fusione di elementi andini e afroperuviani, suonandola si fa visita ad un bel cd inciso con Paco Peña (chitarrista flamenco) e John Williams (chitarrista classico inglese) dal titolo "Fragments of a dream". Bellissimo il duetto-duello tra le congas e il cajón peruano, due anime africane d'America. Nella versione originale c'è un interessante finale andino che il gruppo ha sempre snobbato nei concerti (purtroppo!).
Continuando si omaggia Víctor Jara, musicista cileno grande vittima della ferocia della tirannia di Pinochet (fu deportato allo Estadio Chile, che oggi porta il suo nome, e lì tenuto cinque giorni e torturato).
Gli Inti interpretano "Charagua", brano che il musicista aveva composto come sigla delle trasmissioni della televisione cilena (si ascoltava durante il governo della Unidad Popular di Salvador Allende, durato dal 1970 al 1973).
Continuando l'omaggio a Víctor Jara il gruppo interpreta "A Luis Emilio Recabarren", canzone che era stata pubblicata in Italia nel vinile "Chile resistencia", raro gioiello di politica, poesia e maturità (credo che da noi "Charagua" non sia mai arrivata, si trova in "Antologia en vivo", un disco che ripercorreva trentacinque anni di concerti, risalente al 2002).
La versione dell'attuale gruppo è molto buona dal punto di vista musicale, abbastanza deludente da quello vocale (le stonature non si contano!).
Con Luís Lebert di Santiago Del Nuevo Extremo (noto gruppo rock cileno) gli Inti eseguono "El aparecido", classico di Víctor Jara, che nelle mani del cantante rock diventa quasi ballata folk-rock, interessante ma siamo lontani dalla perfezione.
Anche qui, come in "Juanito Laguna", la seconda parte è portata allo stile normale degli Inti, è curioso ascoltare il violino in questo pezzo, nonché il sassofono soprano.
Bella ma forse una maggiore cura nel suono non ci sarebbe stata male.
E ora, per scambio, insieme agli Inti, Lebert sta interpretando "A mi ciudad", una canzone molto bella, un appello alla comunicazione vera e sanguigna, dedicato a Santiago da Lebert, ma sicuramente estendibile a qualsiasi città del mondo. Nelle mani degli Inti il brano diventa un pezzo dalle tinte varie, forse più afroperuviano che andino (non sono una cima per la distinzione tra i vari ritmi latino-americani...).
E dopo aver cantato Santiago, quando gli Inti tornano soli eseguono il "Tema d'amore" di "Nuovo cinema Paradiso" (perché nonostante il non aver vissuto l'esilio, anche i giovani sentono l'Italia come un mondo proprio). La versione è molto concreta e scarna, solo una chitarra, un mandolino e un clarinetto. Il brano si trovava in un disco, oltretutto caldamente consigliato già che ne abbiamo l'occasione, dal titolo "Treinta años en vivo, Viva Italia". Oltretutto il cd in questione veniva allegato ad un librettino dallo stesso titolo dove gli Inti di vecchia generazione, coloro che avevano vissuto l'esilio in Italia, ne ricordavano momenti diversi con grande tenerezza (bella anche la lettura che ne venne fatta da Horacio Durán all'interno della rubrica "Storyville" di Fahreneit di Radio 3 Rai).
E gli Inti continuano il concerto interpretando "El surco", brano che vede la partecipazione di un sassofonista dalla forte estrazione jazz-punk, cosa che però non fa male, anzi fa quasi piacere. L'incisione originale di questo brano degli Inti si trova in "Lugares comunes", cd pubblicato in Italia dalla Storie di note (grande etichetta indipendente che ha il coraggio di dare voce a persone che altrimenti entrerebbero molto difficilmente nella vita di un ascoltatore attuale di musica, è il caso di Claudio Lolli).
E gli Inti continuano con "A la caza del Nandu", brano ancora una volta estratto da "Lugares comunes" (notare come manchino riferimenti sia a "Meridiano" che a "Pequeño mundo". Il brano, scritto da Manuel Meriño è concepito come un omaggio a Francisco Coloane, scrittore cileno. La melodia è molto elaborata, è lontana la semplicità di Salinas. Nella seconda esposizione del tema in la minore torna il sassofono contralto, stavolta con tinte inequivocabilmente punk. Devo dire che è azzeccato, porta respiri nuovi ma coerenti. Il sassofonista è Andrés Perez.
E ahi! Gli Inti stanno interpretando la mia canzone preferita del loro repertorio, quella che me li fece scoprire ormai sedici anni fa, solo che me la sta cantando Daniel Cantillana e non ce la fa!
Il brano di cui parlo è "Medianoche", che gli Inti avevano incluso in un bellissimo cd dal titolo "Arriesgaré la piel", che fu il primo disco del gruppo che comprai con la coscienza di ciò che stavo facendo, riportando gli Inti in una casa che ne aveva perso le tracce da ormai vent'anni (i miei, come mezza Italia, si erano fermati a "Chile resistencia"). La versione è molto bella, ma solo dal punto di vista strumentale, difatti, secondo me, per cantare il bolero cubano si ha bisogno di una voce potente (e ce l'ha Seves, voce storica del brano, Cantillana purtroppo no!)
Gli Inti continuano con "Vino del mar", brano che Patricio Manns (poeta, scrittore e cantautore cileno) dedicò a marta Ugarte, sindacalista cilena le cui ceneri furono buttate in mare ma da questo furono gentilmente restituite alla gente. La versione non ha l'aiuto del quartetto d'archi, che contribuiva moltissimo alla sua bellezza, il flauto prova a dare quelle atmosfere ma non ce la fa (e le voci continuano ad essere l'aspetto più deludente di questo concerto, ahi che male fa!).
C'è stata l'ultima strofa a cappella, poi il brano si è completato strumentale.
Gli Inti vanno avanti, in questo viaggio nel tempo, con un brano che per i cileni è quasi una bandiera. La canzone si chiama "Vuelvo" e fu scritta da Patricio Manns e Horacio Salinas dieci anni prima della fine della dittatura. Il pubblico l'ha cantata, emozionante davvero.
Gli Inti hanno ricevuto il disco d'oro (vinile d'oro?) per le vendite di "Pequeño mundo", dopodiché si è iniziato a sentire alcune note di "Canto para una semilla" ("Canto per un seme"), opera tra popolare e colto basata sulle "décimas" (composizioni su strofe di dieci versi) con cui la cantautrice Violeta Parra (1917-1967) ha raccontato la propria vita. Gli Inti incisero almeno due volte questa opera (nel 1972 con Carmen Bunster che recitava e collegava le canzoni, nel 1978 con l'insuperabile recitazione di Edmonda Aldini in versione italiana). Isabel Parra è stata sempre l'incaricata di cantare le parti principali di molti brani di questo disco, e anche questa volta la commoventissima "El amor" è stata cantata dalla gloriosa cantante cilena. Isabel non ha più quella voce così dolce che mi aveva folgorato quando ascoltai alcuni suoi vinili ("Encuentro" e "Vientos del pueblo), ma tutt'ora è una signora cantante.
E con la giusta rivendicazione della paternità della melodia, Isabel Parra interpreta "Lo que más quiero". Sicuramente, come sempre quando i brani vengono cambiati di tonalità per favorire l'ospite, gli Inti non dànno il massimo. Comunque emoziona moltissimo riascoltare la voce di Isabel.
E si continua con un altro invitato (che ancora non so chi è...). Il brano che si canta è "Negra presuntuosa", un brano peruviano che gli Inti avevano inciso in quell'altro gioiello meraviglioso della loro discografia che è "Amar de nuevo", che io ebbi in anteprima rispetto all'edizione italiana, quando vidi gli Inti nel 1999 a Bastia (e chi se lo scorda). Fa strano sentire questi leggeri tocchi di zampoña, ma non dà fastidio, anzi! Notevoli gli assoli di Meriño.
L'invitato è Nano Stern, un giovane cileno dalla voce potente e roca, un timbro molto strano. Ora Nano Stern sta interpretando una canzone veramente bella, un testo dedicato ad un amore da cui si viene lasciati, o forse a qualcuno che se ne va e per cui non abbiamo fatto abbastanza. Meraviglioso è il sinuoso accordo di mi minore che non dà però il tempo di essere tristi, anzi, io per qualche secondo ho dovuto smettere di scrivere, non si sta fermi!
Gli Illapu, notevole gruppo di musica andina nato nel 1972, è salito sul palco con gli Inti e ora insieme stanno interpretando "La partida" di Víctor Jara. Spettacolare, bellissime le zampoñas gravi. Durante questa interpretazione de "La partida" si trova il tempo per accennare a "Calambito temucano", brano di Violeta Parra, che impreziosiva, insieme a "La partida" la track list di uno dei più importanti dischi degli Inti, "La nueva canción chilena" del 1974.
Lo stile degli Illapu è un bell'esempio di uso razionale della batteria (dovrebbe essere seguito da un sacco di gruppi salentini...).
E andando verso la tradizione andina si interpreta, credo sempre insieme agli Illapu, "Señora chichera", un altro di quei brani che anche noi italiani amiamo molto e ci ricordiamo con più amore. Interessante l'intervento del sassofono, che ricorda gli impagabili assoli che Renato Freyggang eseguiva su questo brano circa una quindicina di anni fa. La canzone ha avuto la particolarità di essere eseguita in due tonalità (credo sol minore e la minore) per permettere ad ogni gruppo di interpretarla secondo la propria sensibilità.
E dopo la festa c'è un momento di commozione (perfino io, che non ho mai nascosto di non amare questa canzone ho cantato la prima metà con le lacrime agli occhi e ora mi sto imponendo di scrivere e descrivere ciò che sento). Gli Inti interpretano, in maniera lenta e sofferta, come avviene ormai da moltissimo tempo (sicuramente da quando li seguo io ma forse anche da prima) "El pueblo unido jamás será vencido". Bella interpretazione, non da canto di lotta, ma da chi si è forse usurato ma continua comunque faticosamente a lottare.
E gli Inti interpretano "La exiliada del sur", altro brano estratto da "La nueva canción chilena" del 1974. La canzone di Violeta Parra viene interpretata dagli Inti con Manuel García, devo dire molto bene, anche perché la voce di García è particolarmente adatta a questo brano.
Ed ora, come sempre, gli Inti accompagnano Manuel García in un brano del suo repertorio. Non so perché ma la melodia mi ricorda moltissimo Silvio Rodríguez, grandissimo esponente della Nueva Trova Cubana, in qqualche modo l'equivalente della Nueva canción chilena per l'isola. Se la dovessi descrivere dovrei parlare di una ballata un po' alla statunitense, dove il tiple viene sfidato a trovare una percussività che solo raramente gli scopriresti in condizioni normali. Molto curiosa, bellissimo testo su un amore finito nell'incomunicabilità.
Ed eccoli i brani di "Pequeño mundo", si esegue "Rondombe", strumentale alla Meriño molto complicato e pieno di riferimenti colti.
Curioso è l'assolo di batteria (ancora non so di chi), che ha dialogato con le congas. Il batterista era Sidney Da Silva, batterista degli Illapu.
Andando avanti si continua ad estrarre gioielli da "Pequeño mundo" (il disco a me non piace ma qualcosa di veramente bello c'è!). Gli Inti ci interpretano "La tarde se ha puesto triste", bellissimo son cubano, la voce di Juan Flores è qualcosa di veramente bello. Bello anche l'assolo in cui ora stiamo sentendo il piccolo, il flauto ottavino.
Il pubblico è in piedi, gli Inti stanno credo ora fuori dal palco, sono tornati Manuel García e Nano Stern, che succede non lo so.
Dopo aver eseguito un giro di blues, Nano Stern sta eseguendo una versione di "Samba Lando" che per ora è un po' troppo lenta per i miei gusti (e anche troppi vocalizzi, sempre per i miei gusti!).
Quando canta Manuel García la situazione sicuramente straipermigliora.
Ed ecco gli Inti, ringraziamo Dio!
Meravigliosi gli assoli di Meriño, che questa volta esegue gli stili latino-americani in modo più che puro. Fa piacere risentire la voce di Juan Flores, che si prende la terza strofa di questa bellissima canzone antirazzista tratta da "Canción para matar una culebra", gioiello della discografia degli Inti del 1979.
Gli Inti e Nano Stern continuano la scaletta con un commovente inedito intitolato "La siembra", a ritmo di chacarera argentina. Il testo è molto bello, si parla della memoria e del fatto che i popoli non dimenticano le proprie tragedie né restano fermi di fronte alle sfide e alle ingiustizie.
E si continua con "La fiesta de San Benito", un brano che Meriño si è divertito largamente a arricchire (e rovinare secondo me). Nonostante ciò si fa tanta tantissima fiesta, soprattutto quando entrano le quenas e quel refrain così cantabile che noi italiani intillimaniaci ancora ce lo ricordiamo. Fa piacere sentire il bel violino di Cantillana, che ricorda in molti casi i gruppi andini boliviani. E torna Andrés Perez, che fa un assolo dei suoi e grida con il suo sassofono contralto. Secondo me qui ci sono anche gli Illapu, quantomeno Sidney da Silva ha fatto la sua apparizione.
Bel concerto, emozionante, festoso, bei ripescaggi di capolavori, interessante sguardo al futuro.
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