Carissimi lettori, avrete notato che ormai questo blog non si aggiorna più settimanalmente. Sappiate che ciò non dipende per niente dalla mia volontà, ma solo dalla carissima "mamma rai", che dimenticandosi dei suoi figli non vedenti ha pensato bene di rendere introvabile il podcasting di "canzonenapoletana@rai.it".
Purtroppo oggi devo scrivere per un motivo doloroso, perché il grande jazzista, pianista, presentatore televisivo, cantante e compositore Lelio Luttazzi ci ha lasciati questa notte.
Questo articolo non sarà una sua biografia, cosa che d'altronde non faccio mai, ma solo un excursus tra le canzoni sue da me più amate, o anche tra quelle che non sapevo fossero sue ma io altrettanto amo, vedremo!
Il percorso comincia con "Vecchia America", brano scritto dal musicista triestino nel 1951, reso celebre da quello che per me è il più grande gruppo vocale che l'Italia possa vantare, il Quartetto Cetra. Il brano permette veramente al gruppo di dare il massimo per quanto riguarda gli impasti vocali, in quanto possiede una melodia aperta e ricca. È un omaggio ad una terra che si ama, da parte di una generazione che non ne è schiava (come spesso siamo oggi), ma ha appreso un'altra cultura come forma di arricchire la propria. Questo atteggiamento si riscontra nell'insieme di elementi italiani ed americani che costellano il brano, che non diventa mai una scimmiottatura gratuita di modelli, ma si dimostra piuttosto una loro reinterpretazione fortemente personale. La si può trovare, in versione rigorosamente originale ma ben restaurata, nel quarto numero della collana sulla musica anni Cinquanta uscita in edicola qualche tempo fa.
Subito dopo si arriva ad una geniale interpretazione di Mina intitolata "Una zebra a pois", che gioca con ironia forte ma rispettosa su questo bellissimo ed ora bisfrattato mito della serenata, rivolgendo le parole d'amore non ad una donna ma ad una zebra. Musicalmente il brano è a dir poco ricco, cosa che ha fatto dimenticare il suo massiccio sfruttamento. l'inizio è quasi classico e porta con sé una melodia mista di rimandi blues e italiani, mentre il ritornello arriva ad uno sfrenatissimo twist giocato su un giro di blues convenzionale, seguito da dei vocalizzi sulla parola "pois", basati sulla ripetizione di due note su uno sfondo di un accordo solo. Veramente geniale, anche perché citare Dante per una canzone su una zebra non mi pare esattamente da tutti!
Troviamo poi la canzone che mi ha fatto accorgere dell'esistenza di questo artista dalla fantasia sfrenata, la geniale "Legata ad uno scoglio". Forse è un po' esagerato fare discorsi come. "Forse sarà un po' scomodo, ma l'amore è anche sacrificio (o sacrifizio!). non ti ho portata al mare per farti sbaciucchiare dal giovane leone Bevilacqua Vinicio (o Vinizio!), ma meglio che ammazzare una donna per gelosia come sento dire da troppe parti, questo è sicuro. Anche questa è una canzone dall'andamento spudoratamente swing, dall'armonia ricchissima, che Luttazzi interpreta con una verve totale, sentitevela se non ve la ricordate e ridete a crepapelle (io lo faccio tutte le santissime volte che la sento!).
So di non aver dato un buon ritratto di Luttazzi, ma voi sapete che io scrivo per attizzare la vostra curiosità, non per sservirvi tutto su un piatto d'argento (non c'è polemica!).
Ai jazzisti moderni mi sento di dire che, forse, se riscoprissero questo grande del pianismo jazz dal tocco impetuoso e battente, sarebbero meno sofisticati ma più profondamente legati ad una tradizione di jazz che, nonostante i grandi successi che miete, ha perso la sua più profonda identità perché scimmiotta ciò che avviene in America (tranne qualche salutarissima eccezione!).
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