venerdì 16 agosto 2013

Parlando di un concerto di Joan Manuel Serrat.

Carissimi lettori, mi va di parlare di un concerto di un cantautore spagnolo che amo da morire. Mi riferisco a Joan Manuel Serrat. Parlerò di un concerto del tour "Cansiones", in cui il cantautore catalano cantava brani in castigliano provenienti dall'America Latina. Dopo un interessantissimo parlato di Serrat che racconta con poesia e un po' di teatralità il suo alter ego, si inizia con un classico, di cui però mi è difficile parlare, perché pur conoscendolo ne ignoro la provenienza. Sì, in America Latina cantano i loro classici con orgoglio, il brano è un brano fortemente romantico, probabilmente questo è il miglior repertorio latinoamericano. Nell'arrangiamento si sentono echi di tango e di bolero, musiche che il cantautore interpreta da sempre. Il secondo brano è tratto dalla track list di "Cansiones", un brano dall'anima spagnola antica, a cui il cantautore ha dato una veste flamenca. Ma non è il flamenco esotico che usano anche troppi cantanti italiani, ma quello che i catalani conoscono bene e coltivano con arte in forma di rumba. Il testo potrebbe ricordare, sia per certi riferimenti che per tecniche di scrittura, le poesie di Antonio Machado, poeta a cui Serrat è legatissimo perché da ormai quarant'anni lo canta con maestria quasi insuperabile. La successiva canzone ci fa arrivare al tango, infatti ascoltiamo "Fangal", che nella voce di Serrat acquista un'anima spagnola che non riesce a distruggere l'anima tanguera che ha questo brano in ogni sua nota. Notevole la miniorchestra di tango, il bandoneón da una grande prova della sua inconfondibile sonorità. Serrat non trova il tempo né per imitare né per stravolgere, canta queste canzoni come se fossero sue. Il cd conteneva un solo inedito, in un ritmo misto tra America e Spagna, concepito benissimo. Come molti brani del miglior Serrat è in minore, il musicista catalano si trova particolarmente bene a rallegrare le tonalità minori. Va chiarito però che non è l'allegria semplice di una salsa, il ritmo continua ad essere lento, seppure dà adito al ballo, il bandoneón ci può specchiare la sua eterea malinconia. Riprendiamo contatto con i classici latino-americani con "Soy lo prohibido", un bolero che nella versione di Serrat diventa qualcosa di clandestino e sussurrato, quasi irriconoscibile, una parte del ritmo manca sempre. L'essenza notturna è data da piccolissimi tocchi di spazzole e dalla solita ma insostituibile malinconia del bandoneón. La voce del nostro non ha la limpidezza di dischi degli anni Ottanta, ma proprio questa imperfezione nel timbro, dà un'interpretazione più sentita e profonda di brani di vari generi. A dimostrazione di ciò si continua con la "Mazúrquica modérnica" di Violeta Parra, dove si gioca dicendo delle verità ancora attuali a distanza di cinquant'anni dalla sua composizione. Per capirla noi possiamo ascoltare la versione di Maria Monti in italiano. La versione di Serrat è un misto tra una Mazzurka, di cui ha l'incedere, e una sevillana, di cui ha l'anima "jonda" della chitarra. Dopo una bevuta (rituale che noi conosciamo bene grazie a Guccini), Serrat riprende e torna al tango con "El último organito". Quasi provocatoriamente il bandoneón è lo strumento che suona meno, se non fosse che poi, quasi per vendetta, fa un breve ma folgorante assolo. Il brano infatti è accompagnato dal piano e dagli archi. Ovviamente queste non sono interpretazioni filologiche,anche perché nessuno spagnolo potrà mai cantare con l'anima di un argentino, ma non si può dire sia un progetto brutto o superficiale, anzi è un progetto da far sentire a qualcuno, magari ad esempio ai maestri concertatori della Notte Della Taranta. Si continua con un ballenato colombiano, che se non ricordo male viene dal repertorio di Rubén Blades. La versione di Serrat ha moltissimi elementi di flamenco, a partire dallo stile del cantautore, continuando con il cajón peruviano (strumento re del flamenco), continuando con le nacchere. Questo concerto dimostra a chi non lo sa che Spagna e América Latina sono una cosa sola. Un brano cileno continua il viaggio, tratto dal repertorio di Víctor Jara, cantautore ammazzato crudelmente dalla miope dittatura di Pinochet. Il brano di Víctor è quasi a ritmo libero, Serrat, mantenendo questa libertà ci mette questi colori mediterranei che gli dànno un'anima diversa ma altrettanto giusta. Si va in Messico, si interpreta una canzone "ranchera", a cui Serrat dà un'anima notturna che non c'entra niente con le versioni delle orchestre di "Mariachi", legittime detentrici di questo bellissimo repertorio. Nelle mani di Serrat e del suo arrangiatore il brano diventa un valzer notturno con venature jazz, con i soliti bordoni del bandoneón così umani. Un brano che a un italiano potrebbe sembrare carnevalesco, di quei carnevali centroamericani, dai ritmi sfrenati e dall'anima afro. Serrat, pur facendosi portare, non ha paura né problemi a cantare con il suo stile arabo e contemplativo, la festa malinconica continua. Il concerto continua con alcune canzoni scritte dallo stesso Serrat. Qui siamo negli anni Settanta, forse anzi saremo alla fine dei Sessanta, in uno di quei brani influenzati dalla poesia andalusa, particolarmente dalle liriche di quell'Antonio Machado che il cantautore ha approfondito come pochi. Il brano, dal titolo "Romance de Curro y el Palmo", è uno di quelli dove con le metafore più semplici si riesce a raccontare la parte più profonda della personalità umana. Il viaggio a ritroso continua con "Penelope", un brano dove il mito della moglie di Ulisse viene trasportato ai nostri tempi e il personaggio diventa una persona che aspetta in una stazione. Anche questa canzone ha avuto una bellissima traduzione italiana da parte di Gino Paoli nel cd "Appropriazione indebita". L'arrangiamento è latinoamericano e malinconico, anche perché nel brano serratiano lei non ritroverà o non riconoscerà il proprio amante, ormai troppo cambiato. Difatti questo brano è un dolcissimo ma impietoso ricordo della caducità delle cose. Continuando si va ad un brano tratto da un altro cd di Serrat che ho amato da morire, dal titolo "Sombras de la China". Nel cd il brano, dal titolo "Princesa", veniva sottolineato dal flauto irlandese del grande "gaiteiro" galiziano Carlos Nuñez. In questa canzone un personaggio parla con la protagonista augurandole un futuro migliore, come molti sperano soprattutto nei quartieri emarginati, nel mondo dello spettacolo. Un altro brano tratto da questo stesso cd, fratello di quei brani latino-americani che hanno caratterizzato la prima parte di questo concerto, arriva a continuarne la track list. La canzone, dal titolo "Dondequiera que estés" (in qualsiasi luogo tu stia) è una di quelle canzoni d'amore dove si dice ad un amore spento che, nonostante tutto, non lo si è voluto scordare, perché la gratitudine va oltre ogni cosa. Lezione bellissima per troppa gente. L'arrangiamento è intimo e notturno, le tastiere in Serrat non fanno mai quei suoni inutili che sanno solo di generi esotici. Tornando molto indietro con gli anni si interpreta ora un capolavoro assoluto della discografia del "nano" (questo è il soprannome di Serrat), una canzone dedicata al "mare nostrum". Questa poesia è un misto di amore passionale e gratitudine nei confronti del mare. Anche questa noi italiani possiamo conoscerla ancora meglio grazie ad un'ottima versione di Gino Paoli, risalente alla metà degli anni Settanta. E non poteva mancare il brano composto da Serrat per incorniciare le poesie musicate di Antonio Machado negli anni Settanta. Il brano, dal titolo "Cantares", dopo una parte di strofe riprese da "Proverbios y cantares" del poeta sivigliano, ne contiene altre composte dallo stesso cantautore. E il pubblico aiuta a cantare questi versi, che raccontano con poesia la tragica morte in Francia, poco dopo la frontiera, di Antonio Machado nel 1939, anno in cui finì la tragica guerra di Spagna. Così si conclude un concerto che di emozioni me ne ha date tante, se le volete vivere basterà copiare questa url nel vostro browser: http://www.youtube.com/watch?v=Oid84iQOKws

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