martedì 28 febbraio 2012

Giancarlo Paglialunga: "T'amai"

Carissimi lettori, oggi ho il particolare piacere di recensire il pregevole lavoro di Giancarlo Paglialunga, intitolato "T'amai" ed uscito l'anno scorso per l'animamundi.

Ve ne parlerò con i brani a zig zag, ma ve ne parlerò comunque in maniera completa.

La prima traccia di cui abbiamo il piacere di parlare (ed è piacere vero, è festosa, anche se magari il virtuosismo esagerato della fisarmonica di Rocco Nigro e del violoncello di Redi Hasa la fanno un po' reprimere, peccato!) è "Ahi quante pene", uno stornello dove si utilizza la tecnica di canto degli Ucci, gruppo d'anziani di Cutrofiano (LE), con la tipica sfida tra due voci, ognuna dedicata ad un distico. Qui la sensazione è ancora più forte, perché le due voci sono quella ruvida di Paglialunga e quella dolce ma potente di Rachele Andrioli (ex cantante degli Officina Zoè, che qui trova finalmente un suo contesto, forse tra lei e Cinzia non c'era empatia vera...).

Continuando si va alla traccia d'apertura del cd, che viene ripresa dal film "Pizzicata" di Edoardo Winspeare. Lì viene interpretata in maniera pregevole dalla voce atavica di Pino Zimba e (credo) da una acerba, ma già brava, Cinzia Marzo. La versione che ne dà Paglialunga, sempre coadiuvato dalla notevole voce di Rachele, è resa forse un po' troppo contemporanea (come se il "contemporaneo" potesse essere elevato a categoria astratta o quasi) dai soliti accompagnamenti di fisarmonica e violoncello. Va comunque riconosciuto ai due strumentisti che molto raramente si lasciano prendere la mano, in fondo eseguono un leggerissimo "basso" che dà più corpo al canto, che resta libero come era nella vera tradizione salentina dei canti polivocali.

Il testo di questo brano, pur non essendo tra i più noti della tradizione salentina, è reperibile in versioni pregevoli come quella del Canzoniere Grecanico Salentino (a guida Daniele Durante) che la registra nel cd "Alla riva del mare" col titolo di "Lu carderaru".

Andando avanti con il cd di Paglialunga, si ascolta una bella versione de "La cerva", sulla melodia cantata tra gli altri da Giovanni Avantaggiato. La canta completamente Rachele, e fa piacere sentire questa voce al contempo limpida e potente (seppure senza l'imprevedibilità magica di quella di Cinzia).

Andando avanti si ascolta, nel cd la trovate alla fine, una bella (sarebbe meglio che la fisarmonica non fosse proprio entrata!) versione della "Pizzica di Tora Marzo". Qui non si fa un omaggio all'orchestrina di Stifani (come accadeva nella forse migliore interpretazione di Anna Cinzia Villani nel cd "Ninnamorella", uscito sempre per l'Animamundi nel 2008) ma a salvatora Marzo, detta "Za Tora", che ha insegnato a Paglialunga la tecnica di tamburello.
La fisarmonica addirittura fa un giro in minore, insomma a me non arriva.
Sulla stessa traccia, e qui miglioriamo assolutamente, abbiamo una "Vorrei volare", brano che omaggia, come si era visto per "Ahi quante pene", gli Ucci. Questo, a differenza dell'altra traccia a cui è stato paragonato, omaggia la "seconda vita" del "patriarca della pizzica", ossia gli ultimi anni di Uccio Aloisi.
Le due voci, Paglialunga e la Andrioli, si rimpallano le strofe, ma non fa contrasto la differenza di tonalità.

Su un ritmo di pizzica lenta portata con una botta particolare che alterna un battito più debole ad uno più forte, arriva "Puttana le pardisti le carizze". Questa canzone in fondo è la versione "integrale" di "Quantave", raccolta da Brizio Montinaro nel suo storico lavoro, portato avanti negli anni Settanta, ed uscito sotto il titolo di "Musiche e canti popolari del Salento" in vinile per l'Albatros, poi in cd grazie alle Edizioni Aramirè di Lecce.
Il brano è interpretato da Dario Muci e Giancarlo Paglialunga, con l'aiuto fondamentale di Claudio Pusterla al secondo tamburello (il primo ovviamente è Paglialunga stesso).
Qui il canto calcato di Muci non dà fastidio (io ovviamente preferisco chi non calca) perché non ha sotto gli strumenti moderni (e lo sapete che secondo me se tu vuoi cantare moderno devi suonare moderno, non puoi cantare tradizionale, ossia imitando gli anziani e poi farti accompagnare da una batteria, un basso e una tromba!).

Andando avanti si ricorda Pino Zimba, ma non nel periodo di successo con l'Officina, bensì con uno di quei canti del suo repertorio "di famiglia" intitolato "Quando lu Zimba face lu pane", qui chiamato solo "Quando lu Zimba". Fa strano sentire il tamburello che inserisce delle terzine nel ritmo di valzer, ma non dà fastidio. Per ascoltare questo brano basta andare sul canale delle Edizioni Animamundi su Youtube all'indirizzo www.youtube.com/animamundiedizioni.

Andando avanti si ascolta una bella "Rindineddha", dove inizialmente il violoncello esegue il semplice basso, per poi, quando entra una bellissima tammorra muta che innesta atmosfere portoghesi, eseguire dei "pizzicati", a cui ogni tanto vengono affiancati degli assoli con l'arco tramite le sovraincisioni. Il canto è molto diretto, è romantico, rivaluta il tipico modo lidio con la quarta aumentata sulla scala (in pratica se siamo in la, come in questo caso, al posto del re abbiamo un mibemolle).

Andando avanti arriva un brano che io reputo forse tra i meno riusciti di questo cd, una "Rumba del carcerato" (chi mi conosce sa la mia proverbiale allergia agli arrangiamenti latino-americaneggianti del folk italiano, ad ognuno il suo, grazie!).
La melodia è una delle più utilizzate dagli anziani e una delle meno riproposte (meglio!), per ascoltarla con un testo diverso e cantata da una contadina, Pippina Guida per la precisione, si può andare a cercare il cd "'Ttacca banda" dei Ballati Tutti Quanti (2005, autoprodotto).
Il tamburello non dà nemmeno fastidio, solo che l'esagerazione delle armonie della fisarmonica e degli arrangiamenti del violoncello purtroppo spesso rendono l'ascolto abbastanza pesante.

Il nostro giro continua con "Su rrivatu a San Frangiscu", che Paglialunga riprende direttamente dal repertorio di Uccio Bandello, riportato dagli Aramirè nel loro disco "Bonasera a quista casa" del 1999. La versione di Paglialunga, d'altronde già da lui interpretata con la Salentorkestra, è libera a livello di canto ed è accompagnata da una terzina di pizzica molto arricchita.

E, per finire, arriva la traccia che dà il titolo al cd, che Paglialunga riprende dalle registrazioni di Ernesto de Martino, edite dalla Squilibri e curate da Maurizio Agamennone. La versione di Paglialunga è semplice e gradevole, fa solo strano (ma non è fastidioso) il contrasto tra violoncello e cupacupa.

Nell'insieme è un bel disco, si gode bene, certo non ha la festosità che molti di questi brani hanno (almeno per me) nelle loro versioni tradizionali.

lunedì 13 febbraio 2012

Parlando del concerto di Spello dei Musicanti del piccolo borgo

Carissimi lettori, oggi scrivo una recensione molto particolare, sia perché recensirò un concerto a cui ho assistito ma a distanza di molto tempo (contrariamente al solito), sia perché la recensione mi è stata richiesta o quasi.

Il concerto in questione è avvenuto il 6 gennaio 2012 alla Chiesa di San Claudio di Spello (PG) ed ha avuto come protagonisti i "Musicanti del piccolo borgo", ottimo gruppo di musica popolare molisana e laziale, ma che ama sconfinare anche verso la Campania la Puglia,, la Calabria, la Sicilia (e se è per questo anche la Romagna, tra un po' se ne parla).

Il concerto sarà recensito dalla fine all'inizio in quanto così me lo posso riascoltare grazie al fatto che l'ho caricato sul mio canale di Youtube all'indirizzo www.youtube.com/valentinalocchi.

Il concerto si è chiuso con "La leggenda del lupino", una bella canzone campana dedicata alla leggenda secondo la quale Maria abbia salvato suo figlio dalla Strage degli Innocenti riparandolo sotto un albero di pino.

L'interpretazione dei Musicanti, come nella loro migliore tradizione, è dolce e festosa al contempo. Questo approccio, che allea ricchezza armonica e musicale alla semplicità atavica e festosa del folklore più puro, purtroppo spesso è incompreso da quelli che si definiscono cultori di musica popolare, mentre per me è il vero futuro di questa musica.
Curioso è il battito di tamburello che, per quello che si riesce a sentire dalle mie riprese amatoriali, accentua la seconda battuta delle nacchere che sembrano invece dare il tempo nella sua completezza.

Il concerto continua, andando indietro ripeto, con una pastorale di Capracotta (paesino in provincia di Isernia dove Silvio Trotta, direttore del gruppo e polistrumentista, è nato). L'inizio, suonato dalla ciaramella strepitosa di Stefano Tartaglia, ricorda "Tu scendi dalle stelle" o, meglio, "Quanno nascette ninno", bellissimo canto napoletano entrato anche nel repertorio dei Musicanti. L'arrangiamento del brano lo fa assomigliare veramente ad una ninna nanna popolare, come se ci potessimo immaginare di poter cantare al Bambinello una specie di serenata d'amore.

Questa sensazione è rafforzata dalle parti in maggiore, dove il mandolino esegue una parte che ricorda da vicino certe "janeiras" del folklore portoghese, sia per la melodia che per la festosità del suono.
Tartaglia, dopo l'assolo di cui abbiamo già avuto occasione di parlare, che introduce mirabilmente questa lunga ma mai stancante pastorale, suona un flauto dolce che dà veramente l'idea della purezza di un passato forse mai esistito.

Ma ad un certo punto si va in sol, e con la inappuntabile precisione dei bassi dell'organetto, in questa occasione addirittura rafforzati dalla profonda dolcezza di un violoncello, si suona la tarantella che ineluttabilmente concludeva ogni buona esibizione di zampognari.
E quando la ciaramella canta, ha naturalmente bisogno della zampogna come bordone quasi orchestrale, quindi Mauro Bassano, prode organettista del gruppo, suona la zampogna in maniera autentica e ricca.

E facendo una sinergia fra nord e sud Italia (perché questa è la nostra musica nazionale, non il pop imposto dai media con l'arroganza di chi sa come vincere ed imporsi) si interpreta "A Cesare gli venne un'ambizione", danza in ritmo binario della zona dell'Appennino modenese che Silvio Trotta, che oltre ad avere i "suoi" Musicanti ha molti gruppi, ha imparato dai Viulan, tre voci tra le più autentiche della zona, tra le quali va citato almeno Lele Chiodi, che canta con Guccini ne "La canzone delle colombe e del fiore" di "D'amore, di morte e di altre sciocchezze" (1996). Nella versione dei Musicanti il brano diventa quasi una tarantella, ma è dolce, per quella necessità di ridare modernamente la leggerezza della musica popolare sempre meno sentita da una riproposta che se non va verso la contaminazione sfrenata va verso il calco (tutte strade sbagliate).

Ilbrano successivo, ripeto che stiamo tornando indietro, si permette un viaggio in Sicilia ed un omaggio ad una delle più belle voci del folklore italiano, la licatese Rosa Balistreri. Il brano scelto, estratto dal vinile "Concerto di Natale" (inciso con i Dioscuri nel 1985) è intitolato "A la notti di Natali" e fa apprezzare la nuova voce dei Musicanti, la foggiana Elvira Impagnatiello. Per quanto riguarda questo nuovo arrivo nel gruppo si può dire che porta un tocco fortemente modernizzante, anche se va riconosciuta la grandissima coerenza stilistica dell'ensemble che fa della mancanza di calco degli anziani forse il suo obiettivo basilare.

E direttamente dal cd "Fiore di tutti i fiori" (2001) arriva questa filastrocca a tempo di saltarello su un pasto luculliano consumato da una sposa il giorno del proprio matrimonio. Notevole è la terzina della battente di Trotta che dà un ritmo instancabile, quasi mitragliato, al brano. Il testo è interpretato da Trotta e dalla Impagnatiello con allegria e dolcezza (imparate suonatori, lo ripeto allo sfinimento).

Questo spettacolo è prevalentemente incentrato su un cd dei Musicanti intitolato "Stella cometa", da questo disco si è già parlato della leggenda del lupino, ora si trova "Dormi dormi" (brano di Sant'Alfonso Maria dei Liguori che in realtà si chiama "Fermarono i cieli"). Il gruppo lo ha dedicato, sia nel disco che a Spello, ai bambini morti nel crollo dell'Asilo di San Giuliano di Puglia, avvenuto il 31 ottobre 2001. La versione dei Musicanti è una canzone dolcissima, ma la ciaramella di Tartaglia grida il dolore in maniera dolce e straziata al contempo, aiutando la già sicura interpretazione dell'Impagnatiello che dimostra tutto il suo valore musicale.

Andando avanti (cioè... indietro!) si arriva ad una delle mie canzoni preferite di tutto il repertorio dei Musicanti. Il brano, tratto da"Fiore di tutti i fiori", è un insieme di due brani, delle "Maitinate" (serie di stornelli che si cantano il 31 dicembre in Molise) ed una quadriglia strumentale (una delle virtù dei Musicanti è quella di non essersi dimenticati del repertorio strumentale da ballo al contrario di quanto fanno molti musicisti soprattutto nel Salento). La "maitinata" è guidata con maestria da Stefano Tartaglia, che ha una voce fortemente caratterizata, oltreché da un raro e prezioso timbro da tenorino quasi barocco, da un particolare tremolo quasi vibrante, che lo porta ad eseguire quarti di tono estremamente naturali,quindi non calcati. Quando Silvio Trotta canta il canto si addolcisce, diventa quasi confidenziale, pur mantenendo la potenza insita nel canto tradizionale.

E senza soluzione di continuità, nella stessa traccia, arriva una fantastica quadriglia strumentale che Trotta esegue con virtuosismo al mandolino, mentre Elvira si dedica alla battente, e Gian Michele Montanaro accompagna, con le sue inconfondibili tecniche moderne ma mai tiranne nei confronti della freschezza dei ritmi terzinati, con il tamburello.

Il pubblico, forse per il gran freddo, non batte le mani se non in rari momenti, spesso guidato dalle mie, che spesso volevano partire ma per pudore non lo facevano.

E continuando questa nostra recensione a ritroso si arriva a "'Ncincirinella", che i Musicanti ripescano da quella gemma rara di bellezza che è il loro ultimo disco "Ecchite maje" (2009). Il brano, come molti brani arcaici, è caratterizzato dall'aternanza di giri d'accordi minori e maggiori, ma questo non fa fare meno festa ve lo assicuro. L'accompagnamento del tamburello, almeno alle mie orecchie, suona come un incrocio tra il saltarello ed una pizzica.

Andando avanti si ascolta "Stella cometa", un testo scritto da Mauro Gioielli, direttore di un altro importante gruppo molisano chiamato "il tratturo". Come è giusto che sia nel clima natalizio si fanno una serie di auguri alle varie categorie di lavoratori della terra e del mare, affinché possano trovare ricchezza nell'anno appena iniziato. C'è da notare il virtuosismo con cui Trotta accompagna questo brano lento, con delle terzine che dànno una grande vivacità nascosta a questa ballata dall'origine probabilmente nordica.

I Musicanti sono nati trentasette anni fa come gruppo di riproposizione del repertorio della Nuova Compagnia di Canto Popolare, gruppo campano fondamentale per capire tutto quello che si è fatto nel folk revival fra gli anni Settanta e gli Ottanta. Dall'lp "Cantata dei pastori" del noto gruppo guidato da Roberto De Simone, il gruppo molisano riprende una bella tarantella intitolata "Nascette lu Messia", che diventa dolcissima, senza mai toccare quella "sanguignità" (per usare un'espressione di Silvio Trotta riguardante la NCCP) che può anche essere ritenuta dura da certe orecchie. Il testo del brano è tronco perché il gruppo ci attacca, sulla stessa melodia ma cambiando il ritmo in una tammurriata resa festosissima dall'organetto, un canto di questua con l'atmosfera della fine dell'anno.

Andando avanti (siamo ormai verso la fine, o verso l'inizio?) si arriva a "Quanno nascette ninno" scritto da Sant'Alfonso Maria dei Liguori. La versione dei Musicanti, rispetto a quella più nota della Nuova Compagnia di Canto Popolare contenuta nella già citata "Cantata dei pastori", differisce sia per l'inizio che per alcune strofe. Il gruppo è fortemente caratterizzato, non fa mai male ripeterlo, da una grande raffinatezza che non proibisce, contrariamente a tantissima riproposta di tutte le regioni italiane, di godere della bellissima semplicità del folklore, che secondo me è la caratteristica che più di ogni altra ha contribuito a questo interesse generalizzato o quasi che attualmente lo investe.

E sempre dal repertorio popolare campano, stavolta non semicolto, arriva "La santa allegrezza", che i Musicanti in disco incidono con un'"introduzione" molisana, ma che qui viene interpretata nella sua versione "ufficiale", con il canto impagabile di Silvio Trotta, che con la sua potente voce di tenore canta i versi facendo capire le singole condizioni dei personaggi. Ed è bellissimo anche il particolare arpeggio di chitarra classica, concepito dal musicista di Capracotta, che accompagna il battimento dolcissimo della chitarra battente, portandolo quasi verso una segreta raffinatezza.

Il concerto è iniziato (e noi così finiamo) con una novena molisana, interpretata da Silvio Trotta con l'impagabile accompagnamento della zampogna di Mauro Bassano e della Ciaramella di Stefano Tartaglia.

Sperando di avervi comunque dato un'idea di quello che sono i Musicanti vi consiglio di cuore di conoscerli tramite il loro sito www.musicantidelpiccoloborgo.it e di andarli soprattutto a vedere dal vivo.

giovedì 2 febbraio 2012

I Coribanti: "Speranza"

Carissimi lettori, oggi voglio tornare a parlare di musica popolare salentina, facendo una recensione al primo (e per ora unico cd uscito) del gruppo salentino dei Coribanti.

La prima traccia è una canzone-manifesto, interpretata sulla melodia di "Nia nia". Il brano, scritto per il testo da Giancarlo Colella, chitarra e voce principale nonché direttore del gruppo, è una serie di strofe sciolte nella più pura tradizione salentina. Questa "modernità che sgorga dalla tradizione" e ne ricalca quasi tutte le caratteristiche in maniera si direbbe naturale ed istintiva, è forse la più grande caratteristica dei Coribanti, tutti nel Salento dicono di ispirarsi alla tradizione e di innovarla fedelmente, loro signori lo fanno!

Il secondo brano è un classico della tradizione salentina, ma sempre bello e piacevole da ascoltare. Il brano a cui ci si riferisce è "Lu rusciu de lu mare", dove brillano le due bellissime e dolci voci femminili del gruppo. Il canto, come in tutto il cd, non ha bisogno di essere calcato, il gruppo porta la dolcezza nella musica popolare salentina, cantando "come gli viene da dentro" (per usare un'espressione cara a Cinzia Marzo degli Officina Zoè). E proprio agli Officina Zoè fa pensare questa rielaborazione, se non fosse che la presenza del flauto la avvicina, anche per la sinuosità delle linee melodiche, a quella degli Alla Bua. Comunque i rimandi ai "maestri" (perché si può anche imparare dai moderni, non solo dagli antichi) non scalfiscono la forte autonomia di questa versione, che, in una seconda parte continua con una tammurriata. La tammurriata è però suonata con la dolcezza tipica dello stile del gruppo, che spero sinceramente si imponga nel panorama della riproposta, difatti, e l'ho già detto ma mi ripeto volentieri, piuttosto che evolversi facendo del folk qualcosa di altro da sé, bisognerebbe portarlo leggermente verso la contemporaneità magari non calcando il canto.

E quando si torna a ritmo di pizzica si canta una bellissima melodia d'autore con testo altrettanto d'autore. Entrambe sembrano tradizionali, forse quello che connota lo stile di Giancarlo Colella è una facilità per la rima, il distico rimato, che io non trovo molto in gran parte dei canti tradizionali da me conosciuti, che si muovono con assonanze o rime casuali. Il brano, insieme a "Pizzica dei Coribanti" è il mio preferito da quando ho questo disco, si intitola "Comu focu de ristucciu". Tipica pizzica con il giro di tonica-dominante, notevolissimo il flautino dolce, a tratti leggermente stonato (ma la troppa limpidezza di molti flautisti blasonati da molto più fastidio) e insuperabile è la terzina di mandolino, suonato dai Coribanti senza pretese mediterranee, piuttosto come ricordo della classe artigiana, che ha altrettanto sviluppato il folklore, magari portandolo verso musicalità più vicine a quelle colte, più prossime allo strumentale piuttosto che al polivocale, più ballabili che cantabili. Rivalutatelo cari salentini!

Il testo è un inno al Salento, alla sua terra, al suo vento, al suo mare, al suo vino ("ca te 'mbriaca"), ma non dà fastidio perché è scritto con sincerità e tenerezza. Questa sì (al contrario di certe canzoni politiche attuali) che sarà una canzone che ci continueremo a cantare e magari entrerà nella tradizione.

Continuando si torna alla tradizione cantando un classico indiscusso di quella grica, ovviamente ci si riferisce a "kali nifta". Sapete tutti come la penso su questo brano, ma va detto che i Coribanti riescono a farla in maniera assolutamente convincente. Non c'è voglia di fare macello, le strofe sono tutte cantate lente, ed anche quando si vaa pizzica per il ritornello viene conservata la dolcezza della serenata. Molto bella anche la voce della cantante, ma della dolcezza delle voci se ne è già parlato lodandola come una delle tante virtù dei Coribanti.

Si può sospettare che questo forte legame con "Kali nifta", che questa rielaborazione denota e conferma, si possa spiegare con il feeling del tutto speciale che il gruppo, pur essendo del Capo di Leuca (nasce ad Acquarica del Capo nel1999) ha con la cultura greca, da cui d'altronde ha preso il nome. In questo caso, e va detto, la Grecia non viene vista come un elemento esotico con cui contaminarsi, ma come qualcosa che si ha propriamente nel sangue. Ed il flauto ci porta, quando il canto si tace, ad una dolce e vorticosa (ebbene sì!) tammurriata strumentale, dove si gioca con il ritornello di questo classico.

E continuando si torna a cantare un bellissimo testo d'autore, intitolato "Luna ruffiana". Dopo un'introduzione lenta, prevalentemente strumentale se non fosse per un'invocazione alla luna scandita dalla chitarra insieme alla tammorra muta e al flauto, parte una bella tarantella (o pizzica lenta) dove vediamo l'innamorato che invoca l'astro affinché porti il suo messaggio d'amore all'amata (tipicamente tradizionale, che sia d'autore lo si sente solo dall'innata facilità della rima, che Colella trova in maniera veramente invidiabile).

E come avevano già fatto gli Aramirè in "Opillopillopì" (introvabile disco del 1998) i Coribanti ci deliziano con una pizzica per flauto, con la differenza che, mentre negli Aramirè il flauto non era l'unico protagonista perché c'era anche il canto e non aveva un'autonomia interpretativa effettiva, qui, in questa convincente tonalità di fa, si lascia andare a cantate (perché anche gli strumenti cantano se ben suonati!) nuove. Solo in pochi momenti si ha la sensazione di sentire, oltre alla "Pizzica con flauto" degli Aramirè, la tipica "tarantata" o "indiavolata" di stifaniana memoria. Anche qui la forza della pizzica è resa con la dolcezza della modernità. Come detto sopra, salentini imparate.

E si torna a cantare moderno, rivitalizzando il canto funebre, con il brano "La morte de l'anima". Come per ricordare il canto struggente delle prefiche il canto inizia a cappella, con coppie di note semplici. Il brano, quasi subito, prende il ritmo di una tarantella, ma il tempo si vergogna di germogliare, per mantenere il dolore del testo (in questo il brano ricorda "Menevò" degli Officina Zoè, anche lì, nel disco "Il miracolo", la pizzica è "vergognosa").

L'accompagnamento, giusto per accentuare più fortemente questo concetto, dal punto di vista percussivo è assicurato solo da una tammorra muta che assicura solo la botta, non esegue mai terzine (in questo il brano dei Coribanti si può considerare una "radicalizzazione" del capolavoro dell'Officina a cui è stato paragonato).

Ed a proposito di brani in cui la matrice Zoè è forte (ma l'interpretazione è autonoma, non è imitazione!) tornando alla tradizione si canta "Nia nia nia", canto in grico in minore, interpretato con queste caratteristiche (credo per la prima volta) dagli Zoè in "Terra". La versione dei Coribanti, pur essendo più veloce di quella dell'Officina, riesce a dare comunque l'idea della culla, soprattutto grazie alla presenza eterea del flauto che smorza la festosità naturale della fisarmonica.

E andando in pizzica si torna alla melodia con cui si era aperto questo cd (se avessero messo questa traccia come ultima era troppo bello, si sarebbe avuta circolarità, la fine come inizio, concetto secondo me molto vicino alla tradizione della pizzica). Qui non si vuole strafare a livello di strofe (ma come sapete io non vado a tutti i costi alla ricerca dell'innovazione: meglio la tradizione fatta leggera!).

Bella anche l'armonica, anche senza terzine virtuosistiche, dà il controcanto alto ai bassi della fisarmonica, che sembrano voci profonde per la lunghezza delle note che emettono.

E tornando alla pizzica, e i Coribanti sì che la fanno a pizzica, si arriva a "lu Paulinu". A me viene istintivo confrontare questa versione con quella degli Arakne Mediterranea nel cd "Tre tarante", sinceramente meglio questa dei Coribanti, più fresca e leggera, anche perché non accompagnata dalla tammorra muta (comunque interiore come strumento) e affidata, invece, a tutto l'ensemble, che chiude con un bel giro strumentale.

E l'ultima traccia è forse quella che va più fuori dalla tradizione (se si può considerare fuori dalla tradizione qualcosa solo perché non usa solo il giro di tonica e dominante ma lo arricchisce con intervalli naturalissimi). Il brano ha una bellissima parte solistica, leggera ed eterea come tutto questo cd, affidata al flauto, che canta una parte talmente umana che verrebbe quasi voglia di mettere delle parole e mettersi a cantare.

La pizzica pizzica, che come abbiamo già visto è sempre dolce e svolazzante e mai povera ed ossessiva fino allo sfinimento (queste cose non mandano in trance, fanno più che altro venire l'esaurimento nervoso!) qui è triste ma è sempre fresca e piacevole.

Si chiude con poche note di flauto, così i Coribanti ci salutano sfumando.

Bel gruppo, bel disco, salentini e suonatori di musica salentina: imparate!