domenica 8 marzo 2009

riflessioni sull'ultimo concerto visto degli Officina Zoè

Innanzitutto desidero dedicare questo scritto a tutti i detrattori dell'ultimo periodo di carriera dell'Officina zoè; a quelli che parlano degli ultimi tre cd, spesso senza neanche conoscerli, criticando ingiustamente ciò che sentono ai concerti, a cui partecipano per nostalgia di non si sa che cosa, dicendo loro semplicemente che è lecito avere preferenze e gusti, ma poi si sarebbe obbligati ad essere con questi abbastanza coerenti. Ad esempio: se a me non piace l'ultimo Lucio Dalla, è meglio che non spendo i miei soldi per andarmelo a vedere dal vivo o comprargli i cd. Se voi andate ad un concerto di musica salentina solo per sballarvi, è meglio che non andiate a vedere Zoè, perché stanno esattamente dalla parte opposta.Entrando nel vivo della questione, il concerto svoltosi all'Auditorium Parco della Musica di Roma, lo scorso 12 marzo, è stata la seconda migliore esibizione che ho visto, (perché il primo concerto è come il primo amore e non si scorda mai!) soprattutto per l'affiatamento presente fra loro e per il clima di festa popolare che, a partire da "Don pizzica", si è miracolosamente creato.La sala Petrassi era quasi piena, ed all'inizio il pubblico era quello di uno spettacolo musicale che avesse luogo in teatro: molto silenzioso e quasi preso da un'estasi riflessiva. L'inizio, come accade ormai da almeno un anno a questa parte, è stato affidato ad una scoppiettante Santu Paulu (in sol e con voce solista di Lamberto Probo, che sta crescendo a vista d'occhio come cantante). Dopo di che, appunto per confermare quanto detto sullo spirito di Zoè, si è avuta "La carrozza", pezzo che l'Officina riprende alla "stisa", cosiccome lo si trova nell'"Italian treasury Puglia: the Salento", primo e mai troppo citato documento di ricerca antropologica su una tradizione meridionale. Va da sé che il gruppo, per fortuna, non imita gli intervalli che i contadini facevano intercorrere tra le varie voci (spesso ad un orecchio non abituato addirittura cacofonici!). Un accenno di festa popolare si è avuto subito dopo con "Allu sciardinu", pizzica in sol maggiore in cui Zoè ha convogliato, leggermente modificate, alcune strofe tratte da "Mara l'acqua" degli Ucci. Devo dire che l'inserimento del violino arricchisce di una maggiore cantabilità il già di per sé armonicissimo tessuto strumentale del pezzo, dove Lamberto (pur cantando in modo un po' più "sporco" rispetto a Santu Paulu I), è riuscito ad esprimere tutto il romanticismo del testo, uno dei tanti di forte desiderio nei confronti di una donna.Dopo i primi tre brani, suonati di fila, Lamberto ha iniziato anche a presentare (in modo forse poco convincente per chi non fosse salentino o al dentro del dialetto tanto da capirlo), ogni brano. Il primo con presentazione, è stata una pizzica tarantata (la "pizzicata indiavolata" della nomenclatura del maestro Stifani), tipica pizzica in la maggiore che si utilizzava nei riti domiciliari. L'interpretazione di Zoè attualmente, da quando cioè è tornato ad esserci nel gruppo un violinista serio (Giorgio Doveri, pur non essendo salentino ma livornese, è uno dei migliori interpreti di pizzica che ho mai sentito), è di sicuro la più vicina allo spirito del barbiere-violinista (denominazione demartiniana di Stifani). Non si può infatti dire che sia vicina alla forma, in quanto è fortemente spettacolarizzata ossia creativa, soprattutto quando si va piano piano avvicinando il finale. Va però ricordato che viene utilizzato un intervallo di seconda aumentata (si, do diesis, mibemolle), che i signori che tutt'ora ripropongono la pizzica tarantata con il violino scordato, non eseguono mai!Un altro rallentamento di ritmo si è poi avuto con la bellissima "Ulia Bessu", poesia di Giuseppe de Dominicis mirabilmente messa in musica dalla principale cantante ed anima creativa dell'ensemble, Cinzia Marzo. Purtroppo la bellezza del brano è stata fortemente offuscata dalla scordatura della mandola di Giorgio, che ha mandato un pochino fuori tono le voci (peccato mortale!).Da qui è iniziato un periodo di assoluto affiatamento tra Zoè ed il pubblico che li ascoltava, il che è come dire che è iniziata la parte migliore del concerto.Il tutto è partito con "Don pizzica", forse per merito dei nostalgici di cui sopra. Sia come sia, c'è da dire che rispetto al "Live in Japan", questo pezzo, come tutti quelli cantati nelle due occasioni, ha acquistato un'anima più arrabbiata e quindi più popolare. Qui si è iniziata a percepire una presenza profonda dello scomparso tamburellista di Zoè Pino Zimba, di cui si dovrà riparlare tra un po'.Cosiccome accade in "Sangue vivo" e nel "Live in Japan", di cui d'altronde è stata quasi esattamente rispettata la scaletta, senza soluzione di continuità è arrivata "Ijentu", pezzo d'autore ma pienamente tradizionale (addirittura ora ci mettono il tamburo a frizione o cupacupa!). Devo dire però che questa aggiunta, mi pare un poco fuori luogo, perché è un semplice rafforzativo di un'autenticità che è già profondamente presente nel brano. Secondo me la versione impagabile resta quella originale (strano!), dove davvero non vi sono strumenti che non servono. In "Ijentu" Cinzia Marzo è tornata quasi al canto sporco di "Macaria" o della "Pizzica di Aradeo" di Crita. Questo si potrebbe anche spiegare con la presenza della seconda voce femminile (quella di Rachele Andrioli), che sempre di più condiziona in modo evidente lo sviluppo dello stile canoro del gruppo e della stessa Cinzia. Infatti tra le due si sta sempre di più creando un dialogo-contrasto, che tramite la profonda diversificazione dei colori utilizzati, arriva ad un altrettanto profondo affiatamento. Da adesso in poi sarà un po' un rebus ricordarmi l'ordine dei pezzi, anche perché ho deciso di buttare giù queste idee solamente adesso! (mannaggia a me!).C'è comunque ovviamente stato spazio anche per il grecanico e per la soggiogante versione greca (addirittura a sirtaki!) di "Cali nifta". Devo ammettere, pur preferendo radicalmente che sia fatta lenta, (cosa che non fa rigorosamente nessuno), che con questo arrangiamento si riesce a conciliare una giusta interpretazione a "Matinata", con il coinvolgimento del pubblico. C'è stata poi una dolcissima e perfetta "T'amai", brano dove le due voci femminili hanno conseguito un accorpamento dove difficilmente si capiva dove finiva una e iniziava l'altra. Il pezzo (ripreso dal doppio cd del libro "Musiche tradizionali del salento" a cura di Maurizio Agamennone), ha perso la sguaiataggine che i popolani mettevano cantando sempre a "voce minata", ossia a voce piena, per acquistare visibilmente nell'interpretazione, la dolcezza che vi è in grandi quantità nel testo.Obbiettivamente il momento più toccante del concerto è stato quando Lamberto ha ricordato Pino Zimba, dedicandogli "Sale", pezzo di strofe sciolte popolari, con musica di Cinzia Marzo , Donatello Pisanello e Ambrogio de Nicola, chitarrista, che ha coadiuvato Zoè in "Sangue vivo". L'Officina da diverso tempo non esegue la parte iniziale del brano, aggiungendovi però una quartina che mi resta ancora misteriosa, durante lo sviluppo della parte a pizzica rallentata. Sono stata sempre un po' sfavorevole alla presenza del tres e dei cordofoni sudamericani in generale nella musica popolare del Sud, e voglio pensare di aver ragione perché la parte di mandolino che ha attualmente questo pezzo, ottiene un effetto modernizzante perfino superiore rispetto alla versione di "sangue vivo". Qui sono state anche numerose le sperimentazioni di terzine "mozzate", ossia con il colpo di mano dato ogni due battute. C'è stato ovviamente spazio anche per il grande assolo d'organetto di Donatello Pisanello, rappresentato dal brano "Filia", una delle pizziche più liberatorie che conosca, che oltretutto dimostra ai rappresentanti della filosofia del "Taranta power" che si può creare musica popolare moderna che sappia di antico. "Lu rusciu te lu mare" non è mancato, con la dolcezza che ultimamente lo contraddistingue. La versione presentata è stata costituita dalle prime due parti della rielaborazione di "terra". Si può dire che anche qua tradisco i miei gusti naturali (contrari di solito a quelli delle persone a cui dedico questo scritto), perché dico che l'eliminazione della parte mediterranea è un peccato grave. Infatti a questo pezzo manca attualmente la durezza che equilibri questa eterea dolcezza così tipica di certo canto dell'ultima Cinzia Marzo (si pensi all'incisione di "Menevò" presente nel "Live in Japan). Ciò non toglie che "Lu rusciu" così acquista un carattere più simile allo spirito della versione raccolta da Giovanna Marini, ritenuta non so con quanta giustizia la più tradizionale. Sinceramente però, devo dire che se si deve fare una versione classica del pezzo, allora lo si dovrebbe eseguire in tonalità maggiore e con prassi armoniche veramente classiche (come l'alternanza di la maggiore, la settima, re maggiore e mi maggiore), presente nella versione appena citata. Il giro di due accordi (re minore e do maggiore), perde forza senza la terza parte.Una citazione a parte (per preferenze personali spiccatissime), merita "Menevò", capolavoro composto da Cinzia Marzo, che ci ricorda con questo brano il valore della vita, cosa che questa società frenetica e banale, spesso ha dimenticato. La versione dal vivo è spesso acceleratissima (addirittura sulla versione del "Live in Japan" si sente che Cinzia ha il fiatone!), quindi perde d'espressività. Questa volta l'hanno rallentata, ancora troppo poco per i miei gusti, ma comunque quanto basta per far sì che potesse venire fuori (come difatti è avvenuto), qualche bell'arabesco o qualche colore alla portoghese.La parte ufficiale del concerto si è chiusa con "Santu Paulu II", che ultimamente ha acquistato una ancora maggiore ipnoticità, data anche dal maggior contrasto che si ha tra la prima parte, che è stata quindi rallentata rispetto a "terra", e la travolgente pizzica tarantata, che ha questa volta come voce solista Cinzia Marzo. anche qui, tramite l'ormai consolidata presenza dell'organetto unita alla riconquistata predominanza del violino, si riesce ad avere la semplicità di un brano "di campo", con i vantaggi obbiettivi che porta in sé una buona esecuzione secondo i criteri moderni. tutti i pezzi del primo periodo (specialmente quelli di "Terra", in queste nuove versioni hanno acquistato una maggior dolcezza, perché non si vuole più per forza imitare un'inimitabile rito antico, ma si sa riprendere quella formazione conservandone i pregi, senza quindi cadere nelle belle ma pesanti idee "barocche" del cd. Dopo una nostra scalpitante richiesta di bis, l'Officina ci ha accontentati, con due pezzi. Innanzitutto un canto di trainieri (preso anche questo dalla raccolta di Agamennone), interpretato da Danilo con un timbro che veramente riporta verso un mondo che non c'è più, ma che quell'interpretazione a voce piena materializza subito. Il finale è stato riservato (come già nel concerto di Perugia), ad una versione bellissima di "Pizzicarella", finalmente eseguita con l'organetto, invece che dai due mandolini, che da noi si sono un pochino "fatti la guerra". Per mia dimenticanza gravissima, cito solo adesso "Ferma ferma", pezzo che in versione live tende ad acquistare una rabbia che le fa perdere un po' di quell'effetto cullante, di cui è così intrisa la versione di "Crita". Se è possibile, questa volta il brano ha acquistato un'ancora maggiore suggestione, grazie all'eco che ha fatto sì che i suoni e le parole, già così dilatati dalla lentezza cercata e dalle infinite sfumature, soprattutto del canto di Cinzia, venissero da un altro mondo.Per chiudere voglio semplicemente fare i miei complimenti a Gigi Panico che, oltre ad essere un musicista che sa sfuggire alla tentazione di mostrare la propria bravura con virtuosismi inutili, in pochissimo tempo è profondissimamente entrato nella filosofia di Zoè.
La perugina pizzicata
Seguono alcune riflessioni sul concerto degli Officina Zoè, riguardanti la filosofia musicale del gruppo.
Io non sono un musicista né un critico musicale; né tanto meno un intenditore di pizzica, "scientificamente accreditato". Però, non posso trattenere alcune mie riflessioni, assolutamente personali e convinte, riguardo questo gruppo musicale che mi ha "iniziato" alla passione per la musica salentina. ci sarebbero tante emozioni, considerazioni e curiosità che potrei cercare di dirvi, ma non so da che cosa incominciare. Innanzitutto sento di confermare, oggi come non mai, quanto dissi una delle prime volte che mi capitò di ascoltare la vostra musica: come una brezza calda proveniente dal mare, che ti sfiora il viso e ti scompiglia i capelli, e che dopo un po' ti fa venire voglia di rotolarti nell'erba e di lasciare andare in libertà i tuoi pensieri. Per una persona come me, cresciuta a lirica (Mozart) e canti alpini, (la tradotta o il testamento del capitano...) è stato l'entrare in un nuovo mondo, scoprire, letteralmente, un gran piacere della vita, prendere coscienza di una realtà che, fino a quel momento, consideravo "separata". Il mio modo di pensare, di relazionarmi alla vita, gli studi inerenti certi aspetti dell'esistenza, hanno trovato un loro pieno coinvolgimento nella "filosofia" della pizzica, ma quella "pura".Mi piace poter affermare, in tutta sincerità, che la pizzica portata da voi è letteralmente "sincera", genuina e priva di quei tanti orpelli retorici che, a mio modesto parere, fanno tanta inutilità e confusione verso chi, grazie a Dio, ancora vorrebbe ascoltare una musica popolare come si deve. Mi riferisco a tutti quei generi e subgeneri di gruppi musicali che, pur di "ravanare" (termine dialettale!) ascolti e biglietti, si esibiscono in formazioni quanto meno insolite e di dubbia conoscienza musicale. La mia formazione vuole e richiede che ogni genere musicale, rimanga saldo sulla propria tradizione, e che non rappresenti se non se stesso. Così non ho mai gradito un coro alpino, sia esso Veneto, trentino o friulano, che si mettesse a fare uso, per esempio, di strumenti elettronici a scopo commerciale o ancor peggio per un più vago desiderio d'innovazione o di "stare al passo con i tempi", nel senso più banale e schietto dell'espressione. Ma veniamo ad alcune vostre canzoni in modo particolareggiato.Intanto la trilogia che preferisco e che trovo mirabile, è composta da: "Menevò", "Don pizzica" e "Maria Nicola", seppure quest'ultima appartenga ad un repertorio che voi abitualmente non eseguite.Per quanto riguarda la prima, ritengo che la versione migliore ed insuperabile, resta quella de "Il miracolo", pur riconoscendo una notevole crescita positiva (dovuta al rallentamento) nell'ultimo concerto. Il contrario dicasi per la seconda, che prediligo (e so di dire tecnicamente un'eresia) nella maniera velocissima come la faceste nel concerto di Villa Ada. Ma veniamo alla nota migliore: un coinvolgimento emotivo sempre maggiore con il pubblico "da camera", il quale entra in un curioso conflitto interiore e non sa, ad un certo punto, decidersi se ascoltare seduto in religioso silenzio, oppure lasciarsi andare alle danze sfrenate della pizzica. Questo, l'aspetto senz'altro più evidente dell'ultimo concerto, e non a caso (e lo dico con un certo gusto) complice la melodia "sciamanica" di "Don pizzica".Io non lo so per quali oscuri motivi adesso un vostro concerto mi fa letteralmente impazzire; sarà forse che al primo vostro concerto al quale ho assistito di persona, ero già ben "svezzato" e mi potevo considerare già vostro ammiratore. In conclusione, non mi rimane che rinnovarvi sinceri e particolari complimenti: complimenti per quello che siete, per la vostra armonia, per il vostro bellissimo affiatamento e per il vostro "rinnovarvi rimanendo semprer gli stessi". Un bolognese perugino "miracolosamente" salentino.

Nessun commento:

Posta un commento