domenica 8 marzo 2009

che cos'è...

Sarebbe ora di chiederci che cosa intendiamo con espressioni molto alla moda, le quali "etichettano" (cosa per certo odiata da coloro che credono al "mondo inventato del villaggio globale") la musica. Cominciamo intanto dalla domanda che sta alla base di tutto ciò che si dirà in questo scritto: che cos'è, o cosa connota, un genere musicale?La musica, innanzitutto, è suono. Il suono è ritenuto universale perché permette all'umanità di comprendersi al di là degli steccati linguistici e culturali, ma dovrebbe essere "particolare" per poter connotare, non in modo razzista ovviamente, le varie culture che si comprendono in ogni concreta esecuzione musicale. Da questo si evince che il genere musicale, per essere tale, debba essere connotato fortemente con strumenti tipici. Poi, ovviamente per quelle ragioni che attengono propriamente all'arte, essi si possono unire. Però, credo, non tutto si può legare a tutto. C'è una storia, direi anche una geografia musicale, dietro certe etichette generiche, come quella, che io avverso e odio, di musica mediterranea. Che cos'è il Mediterraneo?E' innanzitutto un luogo geografico, che contiene certi paesi (Italia, Spagna, Francia, Grecia, Algeria, Tunisia, Marocco...), i quali sono accomunati da certe caratteristiche musicali, anche se su questo non sarei così sicura, infatti le comunanze riguardano alcune zone concrete. Oggi, purtroppo, come ogni luogo od espressione minata dal cancro della massificazione, l'espressione Mediterraneo, o musica mediterranea, è diventata un luogo dell'anima, che non c'entra niente con il luogo geografico che designa: è diventata un'etichetta da scaffali di negozi di dischi, per prodotti di nicchia, che pretendono però di essere di massa. A Perugia stiamo poi toccando il fondo, con l'inserimento dell'India tra i paesi mediterranei!Andiamo ora a riflettere sulla situazione concreta di un genere musicale che, come avrete visto, mi sta particolarmente a cuore: la pizzica.Questo è un genere che si porta dietro la stimmata dell'arretratezza, perché veniva suonato per curare il tarantismo, meccanismo culturale che si innestava su un via vai di frustrazioni accumulate, in vite completamente rutinarie ed alienate. A noi questo ci fa paura, perché, esattamente come cinquanta anni fa, per motivi diversi ma non troppo, si torna verso un'evasione frivola e fine a se stessa. Allora, lo spirito di questa musica da quattro soldi (in fondo un tamburello buono costa 40 euro, impegnativo ma non troppo) viene riadattato: non più tarantate addolorate, ma masse di automi che ballano marcotizzati ed incoscienti sul palco del concertone di Melpignano. Per questo nascono degenerazioni come quella degli ultimi Mascarimirì (veramente Madonna mia!) che per "arrivare ai giovani", come dice Claudio "cavallo" Giagnotti, smettono di fare musica popolare pura, per darsi al "punkdub tarantolato". Innanzi tutto, vorrei chiarire che i concetti "giovane", "moderno", e oserei dire anche "contestatore", sono stati elevati a virtù che, di per sé, connotano la bravura di un musicista (Tonino Zurlo, che contestava Berlusconi con banalità del tipo: "trenta, trentuno, a fine mese non arriva nessuno", e parla di cose come il potere del pensiero, secondo alcuni è contestatore e quindi bravo!. Ovviamente non importa a nessuno che utilizzi la chitarra, una bella Eco classica, come una vera zappatrice!). Secondo me, non esistono categorie universali, non esistono concetti come "classico", "moderno", "contestatore", ma solo quello di bellezza, che è d'altronde profondamente soggettivo. La pizzica deve essere dolore (lo ripeterò fino alla nausea!), è stato così per almeno ottocento anni di storia accertata, non ho capito perché nel terzo millennio essa debba diventare un gingillo da consumo. Quando si aveva l'altrettanto insopportabile moda del latino-americano, per lo meno si aveva un repertorio specifico (dalla "Macarena" alla "Danza de los cuarenta limones (il cui cantante si è poi suicidato dalla vergogna)), che non aveva niente in comune con la tradizione della vera America Latina. Con la pizzica si fa di peggio: si prendono quelle quattro strofette ("Lu tamburieddu meu....) e le si suona senza mancu nu tamhburieddu (vedasi Mascarimirì stasera a Perugia). Ogni epoca, oltretutto, ha una musica propria: ciò non significa (per lo meno limitatamente alla musica popolare) che il suo repertorio si debba fermare alla tradizione, ma sarebbe giusto che da essa si carpisse la modernità (gli Zoè nei loro brani d'autore ce l'hanno sempre fatta: "Macaria", pubblicata nel 2000 da Cinzia Marzo è una pizzica a botta, ossia si basa sulla forma più tradizionale, voce e tambureddu). Voglio concludere questo scritto travagliato, augurandomi che, quando finirà la moda e l'obbligo di sentirci pizzicati, i gruppi tradizionali, che seguono l'essenza di questa musica, abbiano la meglio sugli innovatori da quattro soldi.

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