lunedì 9 marzo 2009

Resoconto di un'intervista fatta telefonicamente a Daniele Girasoli

Carissimi lettori, ecco a voi la prima di una serie, che spero lunga, di interviste a musicisti, più o meno conosciuti, che io stimo.Questo testo non è propriamente strutturato come ubn'intervista, come non lo sarà nessuno di quelli che andranno in questo blog sotto questo nome, ma è stato comunque frutto di una bellissima chiacchierata telefonica con il polistrumentista, cantante e ricercatore salentino Daniele Girasoli.
Nato a San Pancrazio Salentino (BR), nella zona di confine fra le tre province di Lecce, Brindisi e Taranto, e caratteristica per questo incrocio di culture (le vocali sono leccesi ma la grammatica è brindisina come tutta l’area delle Murgie) compie studi classici e si avvicina alla musica grazie al padre, Alessandro (ex fisarmonicista e basso degli Aramirè), al Canzoniere Terra d’Otranto, a Gigi Stifani – il cui incontro sarà fondamentale – ma soprattutto alla nonna, che lo ha “iniziato” al canto sin dalla più tenera età. Racconta infatti che la nonna era solita cantare di continuo tra una faccenda domestica e l’altra , come sfogo - – non si era abituati alla televisione ancora – e da bambino si è sorbito dunque un vasto repertorio che spaziava dalla canzonetta, alla lirica, alle arie d’opera, fino ai canti delle verginelle del paese (ovvero quelle ragazze solitamente quattordicenni che andavano in processione per la settimana santa vestite come prescrive la tradizione). Del resto lui stesso ammette ancora che l’insegnamento popolare era sempre molto presente : nenie, filastrocche, storielle, stornelli, cantati alle volte o in prosa, erano comunissimi anche per spiegare i concetti più semplici della vita.Così accadde per i suoi amici , influenzati dalle rispettive nonne e dagli anziani del paese, che sempre invitavano a cantare e a ricordare. Girasoli fa parte dapprima de “Li Strittuli di San Pancrazio”, un gruppo locale poco noto poiché non si è mai voluto commercializzare, che utilizza prevalentemente il genere della serenata in occasioni di feste (specie matrimoni) e che ha sempre rifiutato la logica del “palco” preferendo quella del paese, delle campagne.Lui stesso dichiara che si è trovato al bivio tra miti e leggende che si erano costruite intorno alle sue terre.Pur nella difficoltà di fare generalizzazioni, Girasoli distingue innanzitutto un Salento basso (Lecce e Taranto), nel quale si usava la pizzica a scopo terapeutico, ed un Salento alto (Brindisi) ove è più la logica della festa e della celebrazione di un qualcosa di gioioso. Nel basso Salento è più in particolare presente il concetto di ripetizione di quello che facevano le civiltà pre-cristiane, greca in particolare, con la ritualità dionisiaca e bacchica. Molto ci sarebbe da dire, ma si cadrebbe in un discorso di pura antropologia culturale, sulla sovrapposizione della cristianità alla paganità con conseguente cristianizzazione delle relative feste e persone. Lo stesso San Paolo, per i cristiani l’apostolo delle genti, nella cultura popolare ha assorbito in realtà quello che era lo stesso Dioniso o Bacco.Per quanto concerne la metrica, ogni area presenta le sue peculiarità e le sue tradizioni.Gli stornelli del leccese sono diversi dal suonare brindisino ove c’è un alternanza minore e maggiore, forse per gli influssi della tarantella napoletana.Nel Salento basso l’influenza è araba, così come nel Gargano. Ovvero la musica è composta da canti alla stisa e sono frequenti gorgheggi e pezzi tipici della musica orientale. Del resto “chi viene, lascia qualcosa”.
TAMBURELLONon c’è una tecnica precisa per suonarlo. La differenziazione si ha da persona a persona, anzi da famiglia a famiglia, nel senso di “clan”, poiché ogni timbro di mano è diverso dall’altro. Molto caratteristico è il timbro degli Zimba che presenta una torsione della mano unica nel suo genere.Nel Salento basso la tendenza è di dare un forte accento con il pollice, di qui un terzinato fatto in modo innaturale. Nel Salento alto, invece, forse per influenza sempre della tarantella napoletana, c’è il terzinato fatto con le dita.Altro strumento tipico del tarantismo è il violino, che Girasoli impara dallo Stifani tramite suo padre, nella Grecìa. E’ fortemente convinto che per saper suonare la pizzica, non bisogna saper suonare il violino secondo i canoni classici-scolastici. La pizzica presenta passaggi che la tecnica classica non prevede assolutamente.
DANZAQuella che adesso si esporta è la pizzica salentina, con la donna al centro e l’uomo che le danza attorno. Nel Brindisino no, più similmente al calabrese c’è l’accompagnamento di uomo e donna.Si può ballare sia con maschi che con femmine e l’aspetto legato al corteggiamento è atipico, pur se entrato nella tradizione.Degno di nota il simbolo del fazzoletto, che non trova una spiegazione precisa e non se ne conosce il codice (pare infatti che se la donna agita un fazzoletto, esso funge come da richiamo al corteggiamento e si dice persino, ma anche qui senza fondamento, che il colore del fazzoletto, indichi la verginità della donna).Il tarantismo è un aspetto culturale, psicologico, antropologico e storico-geografico molto ampio e complesso, che Winspeare ha cercato di rendere nel celebre film "Pizzicata". Il nome deriva dalla morsicatura del ragno, che effettivamente è esistito nel Salento.La storia del tarantismo – come quella del vampirismo – si perde nella notte dei tempi, prima dell’arrivo dei Greci, con i Messapi, di cui sono rimaste tracce archeologiche (dipinti rupestri, vasi, ecc.). Certo è che la questione inerente le tarantate è difficile da indagare in particolare perché il tarantismo è un malessere, un disagio e dunque non sono mai state queste donne disposte a parlarne. Una causa probabile è la depressione delle donne, una sorta di uscita dalla routine di tutti i giorni. Un evento per uscire dalla quotidianità. Anche qui si cade nel sottile confine che c’è tra bisogno ancestrale di protezione e religione, concetto che investe in pratica tutta la religiosità del sud Italia. La sottile linea che divide la religione dalle paure ancestrali e dal bisogno di sicurezza. Lo stesso Stifani , quando si recava a suonare per le tarantate, annotava le varie diagnosi in un taccuino come un medico vero e proprio.Ancora oggi sono viventi almeno due di queste “tarantate”, che all’alba del giorno della festa di San Paolo (29 giugno) si riuniscono puntualmente verso le 5.30 – 6.00 del mattino nella cappella di Galatina e chiudono a chiave la porta per tenere lontani fotografi e telecamere.

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