sabato 18 aprile 2009

María Dolores Pradera "En directo"

Carissimi lettori, erano già diversi giorni che non scrivevo, ed il fatto mi rendeva abbastanza triste. Oggi, però mi è arrivato un gioiello tra le mani, direttamente dalla Spagna, quindi lo voglio recensire per voi, anche se, purtroppo, devo dire che in Italia lo troverete solo molto difficilmente.
Si tratta del cd "En directo" della cantante ed attrice spagnola María Dolores Pradera. E' un disco dedicato, come tutta la sua produzione, all'incrocio di pezzi spagnoli e sudamericani. L'album è del periodo migliore della cantante, quello caratterizzato dall'accompagnamento strumentale de Los Gemelos, un duo di fratelli, eccellenti chitarristi.
L'album si apre con un pezzo strumentale, incrocio di una "ranchera" messicana ed un valzer peruviano, eseguito dal trio di basso e due chitarre che caratterizza tutto il cd.
Il primo brano cantato è una bellissima "ranchera" (componimento abitualmente cantato da orchestre molto numerose chiamate "mariachi"), intitolata "El tiempo que te quede libre, scritta dal più grande autore di "rancheras" messicane, José Alfredo Giménez. Subito dopo, il primo intermezzo parlato, permette di conoscere il quartetto, che ci accompagnerà in questo viaggio, insieme alla Pradera. Oltre ai citati "Gemelos" c'è un contrabbasso, suonato da Fernando López, e si sentono in alcuni brani le percussioni, suonate da Pepe Ebano.
Andando avanti con le canzoni, abbiamo una versione, non molto convincente per lo meno per me, di "Fina estampa", valzer peruviano scritto da Chabuca Granda, a cui Caetano Veloso si è ispirato per il titolo del suo omaggio alla cultura hispanica dell'America latina. Quello che mi convince poco, premetto che non conosco la versione originale, sono le numerose pause che scandiscono il ritornello, che io ho abitualmente sentito tutto attaccato.
Il cd è come un viaggio, e María Dolores Pradera, facendoci divertire, ci guida in questo mondo che per noi italiani è spesso sconosciuto, infatti non aspettatevi l'America Latina commerciale e facile.
Subito dopo abbiamo un ritmo, che a me pare una cueca, ballo nazionale cileno, con il quale si canta di un protagonista che, credo tra Cile ed Argentina, è sempre ben servito per quanto riguarda gli amori.
Arriva ora un valzerino alla segoviana, lo chiamo "valzerino" per la mia proverbiale ignoranza sui ritmi popolari spagnoli, intitolato "El ramilletillo", "Il rametto", una filastrocca incentrata sull'amore, con queste sentenze fulminanti tipicamente popolari, che però, tradotte, perdono ogni forma di forza.
Con la stessa atmosfera ascoltiamo ora "El gabilán", una piccantissima canzone venezuelana, della zona della pianura, la cui musica è caratterizzata spessissimo da ritmi veloci.
Nello spirito di comunione che secondo María Dolores Pradera e non solo secondo lei unisce la Spagna con il continente latino-americano, viene ora una canzone argentina, del cantautore Horacio Guaraní, unita con un brano popolare spagnolo del secolo XVII, intitolato "La hija de Don Juan Alba". Se devo dire la mia, però, mi pare un'unione abbastanza artificiale, non tanto per i ritmi, che si fondono molto bene, ma per le armonizzazioni che fanno da "ponte".
Il pubblico, comunque, aprezza ed applaude in maniera appassionata e composta, magari noi fossimo così.
Il contatto con L'Argentina continua, ed anche questa volta ascoltiamo un gioiello della musica del nord di questo paese, la più lontana dal tango, che è un genere tipico di Buenos Aires, anche se nel mondo intero è quasi la sola cosa che si conosce del paese sudamericano. La canzone in questione è stata scritta da Atahualpa Yupanqui, artista citato da Paolo Conte nella sua "Alle prese con una verde milonga", e si intitola "Luna tucumana", "Luna della zona di Tucumán". I cultori di musica sudamericana, se ne potrebbero ricordare per la bellissima versione di Mercedes Sosa. La versione della Pradera è sicuramente affascinante, anche se la velocità la rovina un po', e le fa perdere la passionalità "norteña", che è racchiusa nella versione della Sosa.
Di seguito la Pradera ci propone una delle più belle canzoni dedicate alla rivoluzione dei garofani portoghese, anche se la cantante non lo dice sbagliando completamente l'interpretazione del brano, scritta da Carlos Cano, uno dei più grandi cantautori spagnoli. La versione della Pradera, è molto più simile ad un Fado rispetto all'originale, ma Carlos Cano utilizza la chitarra portoghese, dimostrando un'apertura musicale infinita a ciò che gli è vicino.
Molta musica popolare messicana, rancheras e dintorni, è ispirata alla rivoluzione del 1910. La Pradera ce ne offre uno degli esempi più belli in "Caballo prieto azabache", valzer lento. E' la storia di un rivoluzionario, della parte sconfitta da Pancho Villa, che viene salvato dal cavallo che caparbiamente, anche davanti ai giudici che stanno per fucilare il protagonista, esegue i suoi ordini, prendendo poi i colpi di proiettili che sarebbero dovuti andare alla persona. Questa storia è una delle tante di fedeltà agli animali ed alla natura, di cui è piena la musica sudamericana (si pensi a "Mi arbol y yo" del cantautore argentino Alberto Cortéz).
Il primo disco si conclude con una versione, filologicamente ineccepibile, della canzone "Caballo viejo" del venezuelano Simón Díaz, da tutti conosciuta nella terribile versione flamenca dei Gipsy Kings ("Bamboleo").
Il gruppo gitano, oltre ad aver fatto sparire ogni traccia del ritmo venezuelano, ha ridotto il brano ad un normale pezzo d'amore, senza far vedere la semplice ma illuminante, filosofia dell'anziano contadino venezolano, che potrebbe dimostrare, a chi ancora non lo ha capito, che quando gli amori sono veri non ci sono limiti d'età.
Il secondo cd si apre con una polka, che io non avevo mai sentito e di cui ignoro completamente il titolo, della quale non si sa neanche la provenienza esatta, o cilena o messicana (come vedete due paesi che stanno agli estremi dell'America latina, quindi vi giuro che c'è un pochino di differenza in quanto a musica popolare!).
Il brano è, comunque, tutto giocato sugli iperbati, che spesso causano cambiamenti di senso di frasi, ossia sugli spostamenti di parole (scusate i tecnicismi, ma oltre ad essere musicista ed appassionata di musica studio anche lingue!).
Si ritorna a cantare un pezzo della peruviana Chabuca Granda, non catalogabile con il nome di valzer peruviano, o per lo meno non compatibile con l'idea comune che gli ascoltatori normali di musica sudamericana, si sono fatti di questo genere. Il genere, di solito, è caratterizzato da una profondissima leggerezza, mentre qui c'è la tristezza che porta addirittura ad una certa filosofia e ad un certo senso della morte dell'anima, o dell'imminenza di quella fisica. Lo stile dei musicisti e degli strumenti, non si può descrivere, ma comunque permette ai pezzi, pur restando se stessi ed autonomi, di dimostrare ciò che più volte dice la stessa Pradera, cioè l'omogeinità di fondo, pur fra tante e profonde differenze, tra Spagna ed America latina.
Arriva ora un "Candombe" argentino, dedicata ad una "negra", che in Argentina si usa anche per indicare una donna, senza darle particolari connotati di razza, che, purtroppo, muore prestissimo. La prima parte, infatti, è la descrizione delle speranze che causa nella sua famiglia la sua nascita, che si spezzano ben presto. L'interpretazione della Pradera, che d'altronde è anche un'attrice di teatro, è molto incisiva, e permette, anche a chi non sa la lingua di Cervantes, di capire questo e tutti i testi che canta (è la cantante in lingua spagnola con la migliore dizione in assoluto, tanto che i suoi pezzi vengono fatti studiare nelle scuole).
E a proposito dell'incrocio tra Spagna ed America latina, la traccia successiva è un pezzo composto in Spagna, con la musica di un compositore di Mallorca, e le parole di Vázquez Montalbán. E' una descrizione tra le migliori, della tristezza che può causare, in chi resta, un abbandono amoroso, quando già tra i due coniugi od amanti, si rompe quel miracolo che fa scordare tutto, età inclusa.
Per reazione, lo afferma la stessa Pradera nella presentazione, arriva un "bambuco" colombiano intitolato "Yo también tuve veinte años". Non c'è nostalgia, anzi, durante tutto il brano si elogia la tranquillità e la calma che dovrebbero contrassegnare la maturità.
Di seguito, tornando in Spagna, si torna ad omaggiare Carlos Cano, cantautore andaluso con cui la Pradera ebbe una relazione del tutto particolare. Il brano scelto questa volta, è forse il più bello mai scritto dal cantautore, un fado intitolato "María la portuguesa". Il brano, nonostante il nome hispanico della protagonista, è un omaggio alla grande cantante portoghese Amália Rodrigues, di cui ancora qui non si è mai parlato, ma che è stata una delle tappe più importanti della mia formazione.
L'interpretazione della Pradera è molto convincente, anche se vi sono delle armonizzazioni che non rispettano molto l'originale. (Fortunatamente bisogna conoscerla molto bene per capirlo!).
Per continuare a commuoverci, la cantante madrilena ora ci porta in America latina, con una delle più struggenti serenate, un po' alla napoletana, intitolata "Llora mi guitarra", "Piangi chitarra mia". E' un'invocazione allo strumento re delle serenate, affinché, almeno lui, sia fedele compagno del protagonista nella sua fortissima sofferenza d'amore. Nonostante la profonda tristezza del tema e del brano, il canto, sia nella versione della Pradera che in quasi tutte quelle che siano fatte con un minimo di filologia, non si trova mai quella tristezza melodrammatica che a noi piace tanto. (Sinceramente questo è uno dei motivi della mia grandissima passione per questa musica).
Ora, nel nome di quell'unione indissolubile dell'anima hispanica di cui si è già parlato, arriva una bellissima trilogia di canzoni dedicate al "palmero", che dato il profondissimo legame delle isole canarie con il continente sudamericano, è diventato un topos onnipresente (da noi si potrebbe fare una cosa simile, non so con quali risultati, unendo ad esempio in un unico brano alcuni dei tanti esempi di canzoni dedicate alla rondine come messaggera d'amore). Il brano di cui parliamo, comunque, è caratterizzato da un crescendo, infatti la seconda e la terza parte, non sono che due diverse interpretazioni, molto lontane geograficamente tra loro, della stessa struttura ritmica. A me, dato che ci sono stata, mi emoziona particolarmente la parte terza, quella dedicata alle isole canarie. Infatti, e voglio dirlo, dei miei viaggi scolastici, quello alle Canarie è quello che mi porto più nel cuore, anche perché quella terra possiede una delle più belle musiche popolari che io conosca.
Dopo questo omaggio alla terra canaria, si arriva ad uno dei classici indiscussi, per lo meno per un hispanoparlante, della musica sudamericana in genere e del repertorio della Pradera e di Chabuca Granda in particolare, ossia "La flor de la canela". E' uno dei brani dove, con più orgoglio e poesia, si racconta la storia di un Perù mitico, che raramente si crederebbe esistito.
Andando verso la fine, la Pradera ci dedica tre dei classici indiscussi del suo repertorio. Il primo è "El rey", una delle "rancheras" più famose del grande José Alfredo Giménez. Non saprei, sinceramente, descrivere il testo della canzone, ma potrei dirvi, senza paura di essere smentita, che è un vademecum di sentenze che incarnano come poche la filosofia di vita del messicano, un po' pazzo e sui generis.
A proposito di José Alfredo Giménez, ecco una delle canzoni dove si scopre la tendenza del messicano ad affogare il proprio dolore nel vino, cosa che, d'altronde accomuna spesso tutti i popoli del sud del mondo, soprattutto latino-americani. Questo pezzo, tra l'altro è stato tra i tanti che mi hanno iniziato all'ascolto di questa bellissima voce spagnola, che non vi ho descritto perché è impossibile o per lo meno io non lo so fare. Si chiude con "Amarraditos", che era la canzone che apriva l'antologia, intitolata "Álbum de oro" con la quale io mi sono introdotta nel mondo dell'interpretazione confidenziale della musica sudamericana. Infatti, sarebbe ora, che noi italiani, che amiamo tanto definirci latini, conoscessimo seriamente e un minimo bene la musica di popoli che ci amano davvero.
Secondo la persona che me ne parlò, María Dolores Pradera era simile a Mina. Sinceramente, lo dico dopo circa tredici anni di conoscienza della spagnola, non credo giusto il paragone, se non per dire che le due cantanti sono accomunate dalla ricerca di gioielli spesso dimenticati. Bisogna dire, però, che mentre Mina, soprattutto negli ultimi anni, si sta dedicando al pop od al jazz, la Pradera, con una coerenza che alla cremonese non si può riconoscere, interpreta tutti i ritmi sudamericani e spagnoli, unendo folk e musica d'autore, in un unicum magico.
Chiudendo l'articolo, voglio semplicemente dirvi buona ricerca del cd, e poi, se lo trovate, buon ascolto. Il consiglio che vi do è di andarvi a godere un pochino la Spagna e riportarvelo da lì!

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