giovedì 30 aprile 2009

Aramirè "Sud est"

Carissimi lettori, voglio parlarvi ora di un altro cd fondamentale per la mia formazione. Ne approfitterò, così, per fare un omaggio al primo gruppo di musica popolare salentina che ho mai sentito, i già spesso citati Aramirè.
Il cd di cui parliamo si intitola "Sud est", ed è l'unico non autoprodotto dal gruppo. Risale al 2001, quando la moda della pizzica stava già iniziando.
Il primo brano del cd, "Sta strata", è una pizzica a "botta", voce e tamburo, tradizionale come tutto il repertorio del cd. E' interpretata con grande maestria dalle quattro voci, tutte maschili, del gruppo. E' un brano d'amore, che purtroppo nessuno ha ripreso.
Subito dopo arriva "Aremu", uno dei più bei canti in griko, dove si chiede alla rondinella, spesso messaggera d'amore, di raccontare la sua storia. L'arrangiamento del gruppo, come quasi tutti quelli che ho sentito, è deludente. E' molto raffinato, questo non si può negare, ma forse andrebbe meglio in un disco di jazz piuttosto che in uno di musica popolare. Va detto anche che la voce di Roberto Raheli, leader del gruppo e unico interprete del brano, forse non è particolarmente adatta.
Subito dopo arriva una versione di "Fior di tutti i fiori", brano che il gruppo integra con alcune strofe, sempre a metrica di stornello, tratte dal repertorio degli "Ucci", insieme di cantori a cui gli Aramirè sono particolarmente debitori. Questa versione, così come si farebbe in una vera e propria stornellata, è interpretata da due voci, Raheli e Chiriatti, che si rimpallano le strofe. Le parti di Chiriatti, ad ogni finale, sono sostenute dal controcanto di Alessandro Girasoli, che insieme all'albanese Admir Schurtaj, attualmente professore di musica, suona la fisarmonica. Questa versione, devo dire, mi risulta un po' pesante perché trovo molto pretenziose le parti di fisarmonica, che esegue dei controtempi mentre il tamhburello di Chiriatti e i campanelli di Castrignanò, fanno sì che il brano abbia una connotazione quasi "esotica", comunque inclassificabile, che non capisco cosa c'entri.
Subito dopo, arriviamo ad una versione di "'Ntunuccio", interpretata insieme al gruppo Giro di banda diretto dal trombettista Cesare dell'Anna. Riesco a capire il fatto che gli Aramirè abbiano voluto fare un omaggio a quella tradizione bandistica del Salento, così importante nell'acculturazione musicale della gente, ma questa presenza appesantisce abbastanza il brano, di cui, gli stessi Aramirè, hanno pubblicato una bellissima versione tradizionale nel libro + doppio cd "Il salento di Giovanna Marini".
Il brano, comunque, è uno dei pochi canti narrativi che ha avuto l'onore di essere riproposto, più spesso rovinato, come dagli Adria, che nel loro progetto "Rotta per Otranto" ne hanno fatto una versione rock completamente insignificante.
Subito dopo arrivano degli stornelli di tematica amorosa, interpretati con la melodia, controcanti quasi inclusi, degli Ucci. Il brano si intitola "Quanto me pari beddrha", e permette di scoprire, a chi magari lo conosce solo per essere stato l'autore della bellissima colonna sonora di "Nuovo mondo", l'infinita bravura di Antonio Castrignanò, che nei primi due cd degli Aramirè (questo è il secondo) dà sicuramente un impagabile esempio di come si suona e si interpreta. La sua specialità sono i canti alla carrettiera, oltre ad una terzina di tamburello fra le più belle del salento.
Di seguito arriva la migliore pizzica "tarantata" (si intitola "Pizzica con violino"), che a me sia stato mai dato di sentire. In questo brano, inciso con la collaborazione del grandissimo organettista romano (ma brindisino d'adozione) Mario Salvi, c'è tutta la forza della tradizione. In gran parte, specialmente gli interventi del cantante tamburellista e ricercatore Luigi Chiriatti, il brano è ispirato alle melodie di Stifani, che tra strofa e strofa vengono eseguite dal violino di Raheli, che ha imparato semplicemente ascoltando gli anziani (così dovrebbe fare chiunque volesse davvero fare musica popolare).
La voce di Chiriatti, sicuramente tra le più autentiche anche perché lui stesso è parente di suonatori tradizionali, qui esprime veramente tutta la forza del vero canto salentino, quello a voce piena ("minata"). Penso che il livello di trance a cui si arriva ascoltando questa pizzica, sia assolutamente fuori dal comune, anche perché tutto terzina, ma senza il "barocchismo" di alcune versioni di "riproposta", quella del già recensito "Terra" degli Zoè in primis.
Dopo un mirabile assolo di violino, che chiude simbolicamente la parte che più o meno monograficamente è dedicata a Stifani, si arriva ad alcune strofe, cantate da Raheli con il sostegno nei finali di Girasoli, tratte dal repertorio di Cosimino Surdo, anziano che era tra i pochi, negli anni '70' a ricordarsi come si suonasse il tamburello. Cosimino, poi, nel documentario "Il sibilo lungo della taranta" di Paolo Pisanelli, eseguirà una versione molto curiosa e personale di alcune strofe scritte dagli Aramirè contro il fenomeno della notte della taranta.
Il brano, purtroppo, si conclude nella maniera più innaturale, moderna e pretenziosa che si potesse immaginare. Dopo una piccola parte tamburello e chitarra acustica, già insopportabile, si arriva ad una parte a "botta", quindi con uno stile molto tradizionale, dove però le voci vengono usate con degli intervalli di seconda aumentata nei controcanti, che non ho mai potuto riscontrare negli anziani, non particolarmente belli da sentire.
Subito dopo questo capolavoro, arrivano due dei brani più brutti e deludenti del cd. Il primo è una lentissima versione di "Ferma zitella", la cui versione tradizionale, sempre pubblicata dagli Aramirè l'anno successivo nel doppio cd "Musiche e canti popolari del salento", è molto veloce, troppo, ma qui siamo troppo all'altro estremo. Oltretutto, le armonizzazioni di fisarmonica, basate su una ripetizione quasi organistica di un fa diesis, aiutato da altre note, sinceramente le ritengo insopportabili. Anche il canto, devo dire, non riesce assolutamente a far capire il romanticismo di questo canto, che è stato reso mirabilmente, invece, nel già recensito "Crita" dagli Officina Zoè.
Proseguendo arriva uno dei brani più rovinati della tradizione (o quasi) salentina. Il pezzo si intitola "Kaly nifta" ed io, proprio da questa versione, capii che era molto bello. Non so, sinceramente, però, spiegarmi come abbia potuto fare. Il ritmo è un miscuglio fra una tammurriata campana, un tango argentino e qualcosa che non saprei definire; il canto è qualcosa di vergognoso, soprattutto da parte di un gruppo il cui leader, in seguito, tuonerà in varie occasioni sulla necessità di dare importanza al testo. E' una serenata, dove un uomo, dopo aver visto che la sua innamorata, certamente molto antipatica, non s'affaccia dice molto amareggiato che "Dovunque io vada, mi spinga o rimanga, tu sarai sempre con me".
Arriva poi il momento de "Lu rusciu de lu mare", brano che Aramirè esegue in due parti molto evidenti, diverse e separate.
La prima, ripresa più o meno dal già citato repertorio salentino di Giovanna Marini, è una parte molto colta, dolce, e voglio anche dire ben fatta, anche se la presenza delle due chitarre che dialogano la rende un pochino pretenziosa.
Con questo ritmo il gruppo non esegue l'ultima strofa, che viene interpretata, come tutto il resto, con un ritmo mediterraneo, in verità abbastanza insulso.
In tutto questo, si vede che il gruppo sente come qualcosa di estraneo i ritmi mediterranei, che non sa né eseguire con gli strumenti, né tantomeno interpretare a livello di canto. Il giro, del tutto simile alla terza parte della versione del già recensito e qui citato "Terra" (casualità?), è di un pretenzioso che veramente tocca l'insopportabile, oltretutto il tentativo di Raheli di eseguire un vocalizzo arabo, fallisce miseramente perché non è in grado di gestire il fiato e respira troppo presto.
Subito dopo, sempre in nome di questa gratitudine agli "Ucci" di cui è pieno il cd, arriva "Santa Cesarea". E' un canto narrativo, in italiano, che interpreta Raheli, con il fondamentale controcanto di Antonio Castrignanò.
Un altro esempio di canto narrativo, sempre eseguito sulla base del testo e della melodia degli Ucci, intitolato "Scusate signor Conte". Non voglio raccontarvi la storia, perché anche questa è in italiano. Meritano particolare menzione gli intervalli di terza, forse particolarmente ed esageratamente rigorosi, interpretati dalle voci maschili (Raheli, Chiriatti e Castrignanò).
Subito dopo arriva un canto curiosissimo e simpaticissimo, intitolato "Pinna ponna", liberamente ispirato ad alcune grida di venditori ambulanti. E' una tarantella eseguita con tamburello, chitarra, fisarmonica e cupacupa.
Subito dopo arrivano degli stornelli, interpretati alla maniera degli "Ucci", ossia nel modo che Antonio Aloisi, unico sopravvissuto del gruppo, definisce "salentino". Qui, contrariamente al "Fior di tutti i fiori", non assistiamo ad un duetto-duello di cantori, ma a Raheli che canta strofe, i cui finali vengono riecheggiati da Castrignanò e Girasoli, che si controcantano.
E' un brano tra i più belli di questo cd, che, nonostante le numerose caratteristiche che non amo o non condivido, continuo a ritenere tra i migliori mai incisi.
Subito dopo arriva "Fimmene fimmene", in una versione che come struttura vocale, mi convince pienamente, soprattutto per una interessante triade di voci che ottiene un bellissimo accordo di settima, molto tipico dell'accompagnamento delle pizziche, ma molto poco utilizzato nei canti a cappella.
Il brano, cosiccome la versione degli Officina Zoè di cui si è già parlato nell'articolo precedente, si conclude con delle insopportabili strofe sul tarantismo addirittura portate a pizzica.
Subito dopo, a conclusione del cd, come in un ideale cerchio, arriva la terza pizzica, una pizzica tarantata suonata in maniera lenta, dove il violino quasi non si sente perché è suonato piano. Paradossalmente, qui è più importante il sostegno del tamburello, della chitarra e della fisarmonica, piuttosto che il canto del violino. Se si vuole cercare una fonte per questo brano, si può pensare alle ultime in cisioni di Stifani, molte delle quali sono state pubblicate, sempre dagli Aramirè, nel cd allegato al libro "Io al santo ci Credo."
Questo cd lo vorrei consigliare, perché dimostra come si possa andare avanti, davvero, rispettando altrettanto sinceramente il passato.

Nessun commento:

Posta un commento