Carissimi lettori, voglio immediatamente rendervi partecipi di una conversazione telefonica avuta con il grande cantante, chitarrista e studioso napoletano Carlo Missaglia.Carlo Missaglia chiarisce subito che la passione per la canzone napoletana gli è nata in famiglia, mentre il dovere di studiarla lui ha iniziato a sentirlo dopo che suo padre, ben presto in verità, gli ha detto che, dato che lui aveva avuto il privilegio di nascere napoletano, doveva conoscere bene la sua città.
I primi contatti con la musica li ha verso i dodici anni, quando inizia anche a prendere una chitarra in mano e a studiarla da autodidatta. E' questo il periodo in cui forma i suoi primi gruppi e si esibisce nei night club, con grandi musicisti tra cui l'altro grande chitarrista napoletano Fausto Cigliano. Sin da allora le canzoni napoletane erano repertorio obbligato, insieme agli standard americani, dai quali Missaglia riprende ancora oggi determinate concezioni armoniche. Comunque, la parte dominante del repertorio, anche lì finiva per essere Napoli, alla quale si dedicava anche un'ora di seguito in ogni serata, anche per le pressanti richieste del pubblico. Agli anni '60 risalgono i primi dischi di canzoni napoletane, fatti con orchestra, oltre alle prime ricerche bibliografiche, che hanno permesso al nostro di comperare libri che oggi, purtroppo, sono completamente introvabili.
L'inizio ufficiale della carriera di Missaglia come cantante chitarrista, è nel 1973, per imposizione di Peppino di Capri. L'opera più preziosa che Missaglia ci ha regalato è l' "Antologia della canzone napoletana", di cui presto uscirà un seguito, che va dal 1537 al 1992. Il periodo più indagato da Missaglia, che nonostante il suo essere uno studioso non si è mai pentito di aver partecipato al Festival di Napoli nel 1965, è quello che va dal 1880 al 1914. Questo periodo, dice Missaglia, non è stato indagato perché i figli degli autori di quell'epoca non hanno mai battuto quei territori, mentre sia Roberto Murolo, figlio di Ernesto, che Aldo Bovio, figlio di Libero, hanno creato fondazioni specifiche per lo studio dell'epoca dei loro illustri padri, i quali, d'altronde, hanno scritto dei pezzi che sono rimasti, e tutt'ora rimangono, nel patrimonio di chiunque ascolti buona musica.
Missaglia, interpellato da me sulle differenze tra il suo stile chitarristico e quello di Murolo e Cigliano, dice che, mentre Murolo puntava alla semplicità sia sul fronte armonico che su quello del tocco e Cigliano invece è molto invadente con accordi spesso di troppo, lui si limita a seguire le partiture originali dei pezzi. Infatti il cofanetto sopra citato, è l'antologia "più filologica che esiste sulla faccia della Terra".
Per scoprire Carlo Missaglia si può andare su http://www.carlomissaglia.it/ o su http://www.madrenapoli.com/.
Ora ha appena scritto un libro su Capri ed ha ripreso i suoi articoli nel giornale "Roma" di Napoli, facilmente visibili sul suo sito ufficiale.
Signore e signori, buona navigata e buon ascolto napoletano!
sabato 4 aprile 2009
Navigando a suon di pizzica
Carissimi lettori, avrete capito che una delle mie più grandi passioni, se non la più grande, è la musica tradizionale salentina. Vorrei parlarvene, ma questa volta consigliandovi un po' di siti Internet da vedere, più che altro alcuni gruppi da dover ascoltare.
Iniziamo subito con www.pizzicata.it, senza dubbio il miglior portale dedicato alla musica di tradizione, soprattutto salentina ma non solo, specie se l'utente vuole essere informato su tutto ciò che in quel mondo succede. Il sito è curato da Carlo Trono, già curatore del sito www.aramire.it, dedicato specificatamente al gruppo degli Aramirè, uno dei più esperti in materia di pizzica e musica popolare.
Continuando posso e devo consigliarvi il sito www.vincenzosantoro.it, dove l'addetto alla cultura dell'ANCI, il salentino Vincenzo Santoro, sfoga tutta la sua passione e mostra la sua cultura riguardante la musica di tradizione, prevalentemente salentina, ma non solo. Nel sito vi sono recensioni, interviste ed approfondimenti.
L'ultimo sito di approfondimento che vi consiglio è quello di Brizio Montinaro, un attore salentino che vive a Roma, il quale si trovò negli anni '70, ad incidere una raccolta di canti popolari, pubblicata in tre dischi, intitolati "Musiche e canti popolari del Salento". Il sito è www.briziomontinaro.it, e tra le altre cose vi si reperiscono alcuni estratti audio, soprattutto del terzo volume della collana, pubblicato direttamente in cd dalle Edizioni Aramirè, a cui va anche il merito di aver ristampato i due vinili della casa discografica Albatros con i primi due volumi.
Iniziamo a parlare ufficialmente di siti propriamente musicali, dove cioè si può venire a contatto con gruppi noti o meno noti che si dedicano a questa bellissima ed antichissima musica.
Voglio consigliarvi intanto il sito, dentro myspace, del gruppo Mara ci ne sente, con sede a Bologna, che reinterpreta in maniera fedele, forse anche troppo, la tradizione salentina. Ve lo consiglio perché lì dentro suona uno dei migliori organettisti di pizzica che mi sia mai stato dato di sentire, il grande Antonio Corsano. Il sito è www.myspace.com/maracinesente
L'organettista Antonio Corsano, di cui abbiamo appena parlato, è stato allievo di Donatello Pisanello, storico organettista degli Officina Zoè, quindi il prossimo gruppo di cui voglio consigliarvi un sito è appunto l'Officina Zoè. Per protesta nei loro confronti, mi fa male dirlo perché li adoro, non consiglierò il loro sito ufficiale, che a noi non vedenti è completamente inaccessibile, ma il loro myspace all'indirizzo www.myspace.com/officinazoe
Veniamo ad un gruppo sicuramente meno noto e più tradizionale, gli Agorà, gruppo nato a Specchia, paesino della punta estrema del Salento. Il gruppo è molto orgoglioso della propria scelta di interpretare solo brani tradizionali, tanto è vero che nella sua denominazione c'è un esplicito "Gruppo di canti antichi". Il loro sito è www.agoracantiantichi.net
Con la stessa filosofia, con repertorio allargato a tutta la Puglia, o meglio alle province di Foggia, Lecce e Brindisi, si presentano i Malicanti, gruppo che, orgogliosamente, ma forse irrealisticamente, impara dagli anziani e li imita. Il loro sito è www.malicanti.it, e vi si può ascoltare una strabiliante versione della pizzica di San Vito dei Normanni.
A proposito di gruppi brindisini voglio consigliarvi un duo, chitarra e mandolino, che non ha un repertorio lmitato al tradizionale italiano, ma lo fa molto bene. Il gruppo si chiama Barbieria, ed è reperibile su myspace, all'indirizzo www.myspace.com/barbieria
Tornando alla zona leccese ma restando sempre in tema di duetti strumentali, per concludere questa lista voglio darvi il sito, sempre dentro myspace, del duo Doi te mazze, di cui in questo stesso blog si è già parlato. L'indirizzo è www.myspace.com/doitemazze
Buona navigata e buon ascolto!
Iniziamo subito con www.pizzicata.it, senza dubbio il miglior portale dedicato alla musica di tradizione, soprattutto salentina ma non solo, specie se l'utente vuole essere informato su tutto ciò che in quel mondo succede. Il sito è curato da Carlo Trono, già curatore del sito www.aramire.it, dedicato specificatamente al gruppo degli Aramirè, uno dei più esperti in materia di pizzica e musica popolare.
Continuando posso e devo consigliarvi il sito www.vincenzosantoro.it, dove l'addetto alla cultura dell'ANCI, il salentino Vincenzo Santoro, sfoga tutta la sua passione e mostra la sua cultura riguardante la musica di tradizione, prevalentemente salentina, ma non solo. Nel sito vi sono recensioni, interviste ed approfondimenti.
L'ultimo sito di approfondimento che vi consiglio è quello di Brizio Montinaro, un attore salentino che vive a Roma, il quale si trovò negli anni '70, ad incidere una raccolta di canti popolari, pubblicata in tre dischi, intitolati "Musiche e canti popolari del Salento". Il sito è www.briziomontinaro.it, e tra le altre cose vi si reperiscono alcuni estratti audio, soprattutto del terzo volume della collana, pubblicato direttamente in cd dalle Edizioni Aramirè, a cui va anche il merito di aver ristampato i due vinili della casa discografica Albatros con i primi due volumi.
Iniziamo a parlare ufficialmente di siti propriamente musicali, dove cioè si può venire a contatto con gruppi noti o meno noti che si dedicano a questa bellissima ed antichissima musica.
Voglio consigliarvi intanto il sito, dentro myspace, del gruppo Mara ci ne sente, con sede a Bologna, che reinterpreta in maniera fedele, forse anche troppo, la tradizione salentina. Ve lo consiglio perché lì dentro suona uno dei migliori organettisti di pizzica che mi sia mai stato dato di sentire, il grande Antonio Corsano. Il sito è www.myspace.com/maracinesente
L'organettista Antonio Corsano, di cui abbiamo appena parlato, è stato allievo di Donatello Pisanello, storico organettista degli Officina Zoè, quindi il prossimo gruppo di cui voglio consigliarvi un sito è appunto l'Officina Zoè. Per protesta nei loro confronti, mi fa male dirlo perché li adoro, non consiglierò il loro sito ufficiale, che a noi non vedenti è completamente inaccessibile, ma il loro myspace all'indirizzo www.myspace.com/officinazoe
Veniamo ad un gruppo sicuramente meno noto e più tradizionale, gli Agorà, gruppo nato a Specchia, paesino della punta estrema del Salento. Il gruppo è molto orgoglioso della propria scelta di interpretare solo brani tradizionali, tanto è vero che nella sua denominazione c'è un esplicito "Gruppo di canti antichi". Il loro sito è www.agoracantiantichi.net
Con la stessa filosofia, con repertorio allargato a tutta la Puglia, o meglio alle province di Foggia, Lecce e Brindisi, si presentano i Malicanti, gruppo che, orgogliosamente, ma forse irrealisticamente, impara dagli anziani e li imita. Il loro sito è www.malicanti.it, e vi si può ascoltare una strabiliante versione della pizzica di San Vito dei Normanni.
A proposito di gruppi brindisini voglio consigliarvi un duo, chitarra e mandolino, che non ha un repertorio lmitato al tradizionale italiano, ma lo fa molto bene. Il gruppo si chiama Barbieria, ed è reperibile su myspace, all'indirizzo www.myspace.com/barbieria
Tornando alla zona leccese ma restando sempre in tema di duetti strumentali, per concludere questa lista voglio darvi il sito, sempre dentro myspace, del duo Doi te mazze, di cui in questo stesso blog si è già parlato. L'indirizzo è www.myspace.com/doitemazze
Buona navigata e buon ascolto!
venerdì 3 aprile 2009
Attenzione! Battaglione! I Damadakà
Carissimi lettori, voglio subito rendervi partecipi di una grande scoperta che ho fatto questo pomeriggio. Riguarda un gruppo di musica popolare campana, veramente autentico perché ha imparato direttamente dagli anziani e si sente, chiamato Damadakà. Si dedicano a tutto il folklore del sud, ma giustamente di più alla loro terra d'origine, appunto la Campania. Non mischano, come ad esempio faceva la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il repertorio classico napoletano con i brani folk, quello dei Damadakà è veramente repertorio contadino, che tocca indifferentemente la zona vesuviana e quella di Giugliano.
La loro maniera di cantare è tradizionale, ma senza le imperfezioni proprie del vero canto popolare. Questo per me, però, non è un difetto ma un pregio. Infatti, credo che sia questo approccio a portare la musica contadina nella modernità, non sicuramente la "tradinnovazione" dei Mascarimirì o filosofie simili, che tendono ad usare ciò che serve loro della musica popolare, per farne qualcosa di altro.
I Damadakà sono il gruppo più autentico all'infuori delle paranze, e non hanno voglia di rendere accademica la musica campana, cosa che invece amava tanto la Nuova Compagnia di Canto Popolare ai tempi di De Simone.
Per scoprire i Damadakà, che hanno fra l'altro vinto il premio Eurofolk in Spagna nel 2006, c'è il loro sito Internet http://www.damadaka.it/, dal quale si accede al loro myspace, dove purtroppo sono presenti solamente tre brani audio, troppo pochi per un gruppo di questa qualità.
Buon ascolto che non ve ne pentirete!
La loro maniera di cantare è tradizionale, ma senza le imperfezioni proprie del vero canto popolare. Questo per me, però, non è un difetto ma un pregio. Infatti, credo che sia questo approccio a portare la musica contadina nella modernità, non sicuramente la "tradinnovazione" dei Mascarimirì o filosofie simili, che tendono ad usare ciò che serve loro della musica popolare, per farne qualcosa di altro.
I Damadakà sono il gruppo più autentico all'infuori delle paranze, e non hanno voglia di rendere accademica la musica campana, cosa che invece amava tanto la Nuova Compagnia di Canto Popolare ai tempi di De Simone.
Per scoprire i Damadakà, che hanno fra l'altro vinto il premio Eurofolk in Spagna nel 2006, c'è il loro sito Internet http://www.damadaka.it/, dal quale si accede al loro myspace, dove purtroppo sono presenti solamente tre brani audio, troppo pochi per un gruppo di questa qualità.
Buon ascolto che non ve ne pentirete!
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giovedì 2 aprile 2009
Fate i cantanti!
Carissimi lettori, anche stasera mi va di scrivere. Vorrei chiedermi: è mai possibile che il novantanove per cento dei cantanti di musica leggera, che dovrebbe essere la più gratificante dato che è praticamente l'unica che fa accedere l'artista ad un pubblico di massa, abbia bisogno di reciclarsi o di espandersi in arti che non sono le sue?
So che forse mi si potrebbe dire che sono superata, che gli steccati sono semplicemente da abbattere, che le arti sono solamente una, eccetera.
Io invece dico che l'arte è come l'artigianato, d'altronde nel passato "arti" erano i mestieri artigianali, e che quindi solo molto raramente si può diventare, con decenza, scalpellini se prima si era intarsiatori, o scrittori se si era, o si resta, soprattutto cantanti. Mi si potrebbe dire che tra un cantante e uno scrittore c'è molta meno differenza che tra un intarsiatore ed uno scalpellino. Io rispondo che ciò che conta è la filosofia con cui si scrive, io ad esempio sono una buona scrittrice per un blog, forse, ma solo molto difficilmente mi verrebbe di pensare ad un libro cartaceo e tradizionale. Per confermare questo esempio posso citarvi un caso di un artista che io amo molto come cantante, ma che come scrittore mi ha deluso del tutto. Mi riferisco a Francesco Guccini, che è stato tra i primi cantanti che io ho stimato, ed è stato sicuramente il primo di cui ho acquistato un cd di mia sponte. Se si parla delle sue canzoni non c'è niente da discutere o da eccepire, ma se si parla dei suoi libri, beh, la delusione è cocente. Ho infatti provato, tramite la Fondazione Ezio Galiano, che permette a noi non vedenti di scaricare libri, a prendere "Croniche epafaniche". Vi giuro che io, che sono una grande lettrice di libri, soprattutto di scrittori provenienti dal Sud Europa, non sono riuscita assolutamente a leggerlo, anzi, non sono neanche arrivata a dieci o quindici pagine.
Capisco che la canzone leggera, con il suo schematismo, orgoglio solo di chi l'ha creato ed imposto possa aver stancato, ma vi prego, smettetela di fare ciò che non sapete o non avete imparato a fare. Non venitemi più a dire quella furfanteria della naturalezza, che ogni cosa scaturisce dall'altra senza soluzione di continuità, senza problemi, senza ostacoli, perché non è mai così.
Io mi sento bene, ad esempio, nella scrittura di versi, con determinate caratteristiche che mi rappresentano, ma non per questo mi sento attratta dalla prospettiva di scrivere in prosa, tanto meno da quella di ricavarne guadagno, perché non mi sento sufficientemente portata e buona per questo.
Forse un po' di questa umiltà, che in me può darsi che sia anche esagerata, dovrebbe venire a gente come Franco Battiato, Cesare Cremonini e gli altri che si improvvisano scrittori.
Un altro discorso, ovviamente, vale per i libri di musica scritti dai critici musicali, ma questo post voleva semplicemente mettere i puntini sulle i sulla sfacciataggine e la protervia di alcuni cantanti che, solo perché sono famosi, si sentono in grado di fare tutto quello che gira loro per la testa.
So che forse mi si potrebbe dire che sono superata, che gli steccati sono semplicemente da abbattere, che le arti sono solamente una, eccetera.
Io invece dico che l'arte è come l'artigianato, d'altronde nel passato "arti" erano i mestieri artigianali, e che quindi solo molto raramente si può diventare, con decenza, scalpellini se prima si era intarsiatori, o scrittori se si era, o si resta, soprattutto cantanti. Mi si potrebbe dire che tra un cantante e uno scrittore c'è molta meno differenza che tra un intarsiatore ed uno scalpellino. Io rispondo che ciò che conta è la filosofia con cui si scrive, io ad esempio sono una buona scrittrice per un blog, forse, ma solo molto difficilmente mi verrebbe di pensare ad un libro cartaceo e tradizionale. Per confermare questo esempio posso citarvi un caso di un artista che io amo molto come cantante, ma che come scrittore mi ha deluso del tutto. Mi riferisco a Francesco Guccini, che è stato tra i primi cantanti che io ho stimato, ed è stato sicuramente il primo di cui ho acquistato un cd di mia sponte. Se si parla delle sue canzoni non c'è niente da discutere o da eccepire, ma se si parla dei suoi libri, beh, la delusione è cocente. Ho infatti provato, tramite la Fondazione Ezio Galiano, che permette a noi non vedenti di scaricare libri, a prendere "Croniche epafaniche". Vi giuro che io, che sono una grande lettrice di libri, soprattutto di scrittori provenienti dal Sud Europa, non sono riuscita assolutamente a leggerlo, anzi, non sono neanche arrivata a dieci o quindici pagine.
Capisco che la canzone leggera, con il suo schematismo, orgoglio solo di chi l'ha creato ed imposto possa aver stancato, ma vi prego, smettetela di fare ciò che non sapete o non avete imparato a fare. Non venitemi più a dire quella furfanteria della naturalezza, che ogni cosa scaturisce dall'altra senza soluzione di continuità, senza problemi, senza ostacoli, perché non è mai così.
Io mi sento bene, ad esempio, nella scrittura di versi, con determinate caratteristiche che mi rappresentano, ma non per questo mi sento attratta dalla prospettiva di scrivere in prosa, tanto meno da quella di ricavarne guadagno, perché non mi sento sufficientemente portata e buona per questo.
Forse un po' di questa umiltà, che in me può darsi che sia anche esagerata, dovrebbe venire a gente come Franco Battiato, Cesare Cremonini e gli altri che si improvvisano scrittori.
Un altro discorso, ovviamente, vale per i libri di musica scritti dai critici musicali, ma questo post voleva semplicemente mettere i puntini sulle i sulla sfacciataggine e la protervia di alcuni cantanti che, solo perché sono famosi, si sentono in grado di fare tutto quello che gira loro per la testa.
mercoledì 1 aprile 2009
Cover, basta!
Carissimi lettori, scusate se già torno, ma ho in sottofondo Morgan, ex bluvertigo e conduttore di quella terribile trasmissione intitolata "X-factor", che canta, con la sua terribile presunzione, uno dei più grandi capolavori della canzone d'autore italiana, ossia "Il mio mondo" di Umberto Bindi.
Con questo pretesto, dato che a me tirare "Mazzate pesanti cu li soni e cu li canti" piace molto, volevo darne quattro ad un po' di gente.
Intanto partiamo da una domanda semplice: è mai possibile che la musica leggera, per illudersi di vivere, debba ricorrere alle cover? Preferisco sinceramente la situazione degli anni '60, in cui, almeno la cover era creativa, perché spesso era una traduzione di un pezzo americano od inglese, che senza quella mediazione non avrebbe magari contribuito alla morte della nostra civiltà e cultura più autentica, facendo quindi spazio allo scempio che si fa ora della nostra musica popolare e contadina. Comunque, non si può negare, che i nostri parolieri di quegli anni, in cui c'erano ancora la specializzazione e la bravura vera, erano creativi, sinceri e anche veri. In quegli anni sono nati capolavori e brani curiosi, frutto di riscritture letterarie di brani stranieri, da "Quelli della mia età", interpretata da Françoise Hardy, o "Senza luce" dei Dick dick, che comunque diventavano veramente qualcosa di altro dall'originale, un qualcosa che finiva per avere una propria autonomia dalla stessa originale. Oggi no, si prendono pezzi su pezzi già editi, limitandosi magari a rovinarli in tutti i sensi, sia dal punto di vista armonico che dell'arrangiamento, interpretandoli con una sfacciataggine ed una superficialità che mi lasciano veramente stupita. Sto adesso ascoltando "Malarazza", capolavoro composto da Domenico Modugno su un testo popolare siciliano del '500. L'interprete, però, non è il grandissimo Modugno, ma Ginevra di Marco. Per chi non lo sa, dirò che questa signora, è passata indisturbata dal punk-rock dei CSI alla musica popolare, ovviamente dopo che questa fosse ben chiaramente diventata oggetto di facilissima mercificazione, soprattutto se si dice di fare nuova musica d'autore interpretando brani di gente che la musica d'autore non sa neanche cos'è, o per lo meno non ne segue o condivide le logiche.
Sarei felice di questa operazione, se non sapessi anche troppo bene, che le radio e coloro che ascoltano questa musica, solo in un caso molto fortunato si incuriosiscono poi sulle fonti da cui l'artista che gliele ha mediate le ha a sua volta prese. Stasera hanno detto che "Malarazza" era di Domenico Modugno, ma ovviamente il popolo non ha il diritto di esistere, neanche quando fa dei capolavori. Il popolo esiste solo per essere massa da vendere, da sfruttare, da annullare. Non dico che con le cover non si possano fare capolavori, ad esempio è bellissimo il cd di Luca Carboni "Musiche ribelli", ancora più bello era quello di Mia Martini "La musica che mi gira intorno". In questi due casi, però, i dischi hanno due grandissime virtù, da una parte il coraggio di aver riproposto brani che sennò sarebbero rimasti patrimonio di una sparuta e non troppo agguerrita nicchia, dall'altra una sincerità disarmante, che si dimostra anche nelle cover del cd "Tutti gli zeri del mondo" del grande "Fiacco" (Renato Zero). La media, però, su questo fronte, è quella di una semplice voglia di fare dischi su dischi, anche se non si ha effettivamente niente da scrivere o da dire. E' per questo che dico basta, soprattutto a quelli che, quando interpretano, o si sentono troppo liberi di fare ciò che vogliono solo perché hanno un pubblico fedele, o non sanno assolutamente interpretare.
Credo infatti che, nello stesso momento in cui si decida di fare gli interpreti, anche solo per un secondo, bisogna avere una voce un minimo versatile. Ad esempio trovo completamente indecenti le versioni della P.F.M. dei pezzi del grande Fabrizio de Andrè. Ho già detto in un altro post, infatti, che per me la contaminazione, affinché non sia categorico stravolgimento di un qualsiasi mondo musicale, deve essere doppia, mentre qui ci sono solo loro che stanno facendo ciò che vogliono de "Il pescatore", brano che loro però non hanno scritto. Il gruppo di rock progressivo, certo un buon gruppo trent'anni fa, si dovrebbe semplicemente limitare a fare le proprie cose, smettendo quindi dicampare sulle ceneri di un qualcosa di irripetibile, che lo fu per la presenza di queste due forze contrastanti, che riuscirono bene o male a dialogare.
Oggi le cover sono l'ancora di salvezza di chi ha fretta di lavorare, si chiami costui Battiato o GiusìyFerreri. Questi due artisti, poi, sono due casi limite di impossibilità interpretativa, infatti possono solo interpretare brani propri o scritti per loro, poiché hanno due voci inconfondibili, troppo connotate. Infatti, secondo me, quando si interpreta, si deve un po' tenere dentro di sé qualcosa dello stile dell'autore, ovviamente ciò che non disabilita la libertà di far rinascere dentro di noi il brano che stiamo eseguendo. Oggi, nella musica leggera, non essendoci più gente veramente competente d'arte ed essendo ormai la patria dell'informatica e della tecnologia indiscriminata, non conosce più sfumature artistiche, meno in progetti che però fanno la fame, poiché non godono dei favori delle radio.
Con questo post ho voluto semplicemente gridare un "basta!" a questa tendenza brutta, di reinterpretare brani, tanto più che ci è stato un periodo diversi anni fa, in cui gli stessi brani ritornavano talmente spesso, che le radio, notoriamente frequentate da grandissimi ignoranti di musica, ad ogni nuova riedizione di certi brani, invece di citare l'autore che magari li aveva scritti quarant'anni fa, citavano colui che li aveva reinterpretati qualche mese prima! E' clamoroso il caso di una radio, che non cito solo perché non mi ricordo quale sia, che citò Franco Battiato come autore di "Insieme a te non ci sto più", che era stata appena reinterpretata da qualcun altro.
Con questo pretesto, dato che a me tirare "Mazzate pesanti cu li soni e cu li canti" piace molto, volevo darne quattro ad un po' di gente.
Intanto partiamo da una domanda semplice: è mai possibile che la musica leggera, per illudersi di vivere, debba ricorrere alle cover? Preferisco sinceramente la situazione degli anni '60, in cui, almeno la cover era creativa, perché spesso era una traduzione di un pezzo americano od inglese, che senza quella mediazione non avrebbe magari contribuito alla morte della nostra civiltà e cultura più autentica, facendo quindi spazio allo scempio che si fa ora della nostra musica popolare e contadina. Comunque, non si può negare, che i nostri parolieri di quegli anni, in cui c'erano ancora la specializzazione e la bravura vera, erano creativi, sinceri e anche veri. In quegli anni sono nati capolavori e brani curiosi, frutto di riscritture letterarie di brani stranieri, da "Quelli della mia età", interpretata da Françoise Hardy, o "Senza luce" dei Dick dick, che comunque diventavano veramente qualcosa di altro dall'originale, un qualcosa che finiva per avere una propria autonomia dalla stessa originale. Oggi no, si prendono pezzi su pezzi già editi, limitandosi magari a rovinarli in tutti i sensi, sia dal punto di vista armonico che dell'arrangiamento, interpretandoli con una sfacciataggine ed una superficialità che mi lasciano veramente stupita. Sto adesso ascoltando "Malarazza", capolavoro composto da Domenico Modugno su un testo popolare siciliano del '500. L'interprete, però, non è il grandissimo Modugno, ma Ginevra di Marco. Per chi non lo sa, dirò che questa signora, è passata indisturbata dal punk-rock dei CSI alla musica popolare, ovviamente dopo che questa fosse ben chiaramente diventata oggetto di facilissima mercificazione, soprattutto se si dice di fare nuova musica d'autore interpretando brani di gente che la musica d'autore non sa neanche cos'è, o per lo meno non ne segue o condivide le logiche.
Sarei felice di questa operazione, se non sapessi anche troppo bene, che le radio e coloro che ascoltano questa musica, solo in un caso molto fortunato si incuriosiscono poi sulle fonti da cui l'artista che gliele ha mediate le ha a sua volta prese. Stasera hanno detto che "Malarazza" era di Domenico Modugno, ma ovviamente il popolo non ha il diritto di esistere, neanche quando fa dei capolavori. Il popolo esiste solo per essere massa da vendere, da sfruttare, da annullare. Non dico che con le cover non si possano fare capolavori, ad esempio è bellissimo il cd di Luca Carboni "Musiche ribelli", ancora più bello era quello di Mia Martini "La musica che mi gira intorno". In questi due casi, però, i dischi hanno due grandissime virtù, da una parte il coraggio di aver riproposto brani che sennò sarebbero rimasti patrimonio di una sparuta e non troppo agguerrita nicchia, dall'altra una sincerità disarmante, che si dimostra anche nelle cover del cd "Tutti gli zeri del mondo" del grande "Fiacco" (Renato Zero). La media, però, su questo fronte, è quella di una semplice voglia di fare dischi su dischi, anche se non si ha effettivamente niente da scrivere o da dire. E' per questo che dico basta, soprattutto a quelli che, quando interpretano, o si sentono troppo liberi di fare ciò che vogliono solo perché hanno un pubblico fedele, o non sanno assolutamente interpretare.
Credo infatti che, nello stesso momento in cui si decida di fare gli interpreti, anche solo per un secondo, bisogna avere una voce un minimo versatile. Ad esempio trovo completamente indecenti le versioni della P.F.M. dei pezzi del grande Fabrizio de Andrè. Ho già detto in un altro post, infatti, che per me la contaminazione, affinché non sia categorico stravolgimento di un qualsiasi mondo musicale, deve essere doppia, mentre qui ci sono solo loro che stanno facendo ciò che vogliono de "Il pescatore", brano che loro però non hanno scritto. Il gruppo di rock progressivo, certo un buon gruppo trent'anni fa, si dovrebbe semplicemente limitare a fare le proprie cose, smettendo quindi dicampare sulle ceneri di un qualcosa di irripetibile, che lo fu per la presenza di queste due forze contrastanti, che riuscirono bene o male a dialogare.
Oggi le cover sono l'ancora di salvezza di chi ha fretta di lavorare, si chiami costui Battiato o GiusìyFerreri. Questi due artisti, poi, sono due casi limite di impossibilità interpretativa, infatti possono solo interpretare brani propri o scritti per loro, poiché hanno due voci inconfondibili, troppo connotate. Infatti, secondo me, quando si interpreta, si deve un po' tenere dentro di sé qualcosa dello stile dell'autore, ovviamente ciò che non disabilita la libertà di far rinascere dentro di noi il brano che stiamo eseguendo. Oggi, nella musica leggera, non essendoci più gente veramente competente d'arte ed essendo ormai la patria dell'informatica e della tecnologia indiscriminata, non conosce più sfumature artistiche, meno in progetti che però fanno la fame, poiché non godono dei favori delle radio.
Con questo post ho voluto semplicemente gridare un "basta!" a questa tendenza brutta, di reinterpretare brani, tanto più che ci è stato un periodo diversi anni fa, in cui gli stessi brani ritornavano talmente spesso, che le radio, notoriamente frequentate da grandissimi ignoranti di musica, ad ogni nuova riedizione di certi brani, invece di citare l'autore che magari li aveva scritti quarant'anni fa, citavano colui che li aveva reinterpretati qualche mese prima! E' clamoroso il caso di una radio, che non cito solo perché non mi ricordo quale sia, che citò Franco Battiato come autore di "Insieme a te non ci sto più", che era stata appena reinterpretata da qualcun altro.
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Un "Miracolo" della musica salentina (Su "Il miracolo" degli Officina Zoè
Carissimi lettori, voglio portarvi ora verso un cd che ha rappresentato una tappa fondamentale nella mia formazione di appassionata, ma soprattutto di interprete, di musica popolare salentina. Mi riferisco a "Il miracolo" degli Officina Zoè, album che è la colonna sonora dell'omonimo film del regista Edoardo Winspeare.
Voglio ammettere subito che è un cd un po' complicato, oltre a confessare il fatto di essermene innamorata ufficialmente solo quando ho avuto fra le mani i testi delle canzoni e una copia personale ed originale del disco stesso.
Quando ci si accinge ad ascoltare "Il miracolo", si deve innanzitutto dimenticare tutto ciò che si sa sugli Officina Zoè prima maniera, quelli più spesso conosciuti, oltre a scordarsi completamente della lettura moderna e spesso stereotipata e semplificata che si fa della tradizione salentina. Infatti, se per tradizione salentina intendiamo solo le pizziche, eseguite magari a velocità spasmodiche che non permettono neanche di ballare, sicuramente "Il miracolo" non lo possiamo considerare un cd di musica tradizionale o di matrice tradizionale salentina. Se poi per innovazione nella tradizione salentina intendiamo solo il lavoro di gente che stravolge i ritmi, le armonie e le sonorità dei vecchi brani per essere moderna ma ne sfrutta i testi, allora sicuramente "Il miracolo" non può essere considerato neanche un cd di "Innovazione sulla tradizione salentina".
Se, invece, noi intendiamo per tradizione un qualcosa che sentiamo naturalmente dentro, conosciamo in profondità e scandagliamo sin nei suoi minimi particolari per farne qualcosa di nuovo che non lo ammazzi, anche perché se ne allontana in molti aspetti ma senza rancore né boria, allora siamo pronti per un ascolto magico.
Il cd, infatti, è il più coraggioso della discografia degli Zoè, sia perché è tutto di brani d'autore, sia perché gli strumenti tradizionali vengono mischiati a suoni d'origine colta e quindi sfidati ad essere qualcosa di diverso da quello che sono, anche se non perdono la loro anima. Facendo un confronto con l'altra colonna sonora firmata dagli Zoè, quella del pluripremiato film "Sangue vivo", si può dire che lì era la musica una parte importante della trama cinematografica, mentre qui è il cinema a fare propria la musicalità popolare, portandola a diventare più eterea, raccolta, profonda, interiore. Con questo non voglio dire che il cd si debba ascoltare rigorosamente come continuazione del progetto cinematografico, ma le immagini che evoca vanno al di là degli stereotipi e degli stessi usi tradizionali della pizzica, che d'altronde è quasi assente.
Musicalmente parlando, ci troviamo di fronte ad una serie di brani, alcuni accomunati dalla stessa tonalità, dove si vede l'influenza balcanica che oggi è così di moda, diventare una delle componenti principali della sonorità del cd, anche grazie al violoncellista albanese Redi Hasa.
Il cd è quasi completamente strumentale, eccezion fatta per tre brani dove comunque le parole si fanno spessissimo suono e perdono il loro valore tradizionale.
La prima traccia "Miracolo", inizia con un lungo movimento di sonagli a rullata, quasi ondulatorio, che viene riecheggiato dall'organetto suonato sui bassi. Quando la composizione acquista una forma ritmica ben definita, si vede un utilizzo di stili di suono di tamburello molto simili a quelli della pizzica, anche se con tutt'altro tempo. A me, che vengo anche da un forte lavoro sulla musica di Buenos Aires, queste sonorità fanno pensare al tango. Dopo questa entrata strumentale, brevissima, arriva anche la voce di Cinzia Marzo, che qui si fa eterea, quasi lirica, quasi sospesa, ai confini di una geografia inesistente.
Questa sensazione continua anche in "Golfo ionico" , di cui nel cd vi sono due versioni. La prima inizia con il bouzouki greco suonato in maniera ritmica, non alla greca quindi, al quale si armonizza perfettamente l'entrata di un tamburello o di una percussione che prelude ai vocalizzi di Cinzia i quali si alternano con pezzi eseguiti sia da tutto l'insieme strumentale (costituito da percussione, bouzouki e violoncello), sia da alcuni elementi solisti.
Si arriva poi al primo brano che possiede un testo, "Tempu veru". Musicalmente parlando è un brano in tonalità minore dove scompare l'organetto, con un inizio lentissimo affidato ad alcune note di bouzouki accompagnate da lunghi suoni bassi del violoncello, sul quale si inizia a stagliare ben presto il dolce misticismo della voce di Cinzia. Non so dire se in questa prima parte la voce esegua semplicemente dei vocalizzi o dica delle parole, perché il confine tra parola e suono autonomo è labilissimo. Dopo una pausa si riprende con un assolo di bouzouki che consiste nella ripetizione di un unico accordo, sul quale poi si innesta innanzitutto l'insieme strumentale, che accompagna uno strabiliante assolo di violoncello, per poi guidare la voce verso una scansione a vocalizzi di un belllissimo testo, scritto da Cinzia Marzo, che qui è portata, per la prima volta, verso un fortissimo misticismo. E' un misticismo laico, cosiccome è laico il senso del miracolo di cui parla il film di Edoardo Winspeare.
Il finale del brano è una ripresa, con altri vocalizzi, del tema lento iniziale, che sembra quasi evaporare.
Arriviamo all'unico momento del cd che ci può far pensare al mondo "normale" degli Officina Zoè, ossia alla pizzica. Il brano in questione, intitolato "Menevò", è una pizzica lenta scritta, sia nel testo che nella musica, da Cinzia Marzo. L'introduzione, a chi magari conosce "Sangue vivo", potrebbe ricordare quella di "Ijentu", di cui d'altronde ricalca anche il giro d'accordi. Entrando nel vivo della struttura del brano, l'introduzione è accompagnata da dei battiti di tammorra muta, senza sonagli, e da un organetto che suona sui bassi. Anche qui il canto è a vocalizzi, ed il testo entra quando, piano piano, da questa parte così moderna scaturisce la tradizione. Questa però, va detto subito, non si spoglia mai della modernità. Infatti, tutti gli strumenti, suonano in maniera "sporca", quasi avessero paura di disturbare il canto d'addio che si sta cantando. Infatti "Menevò" è il testamento interiore di una persona che decide di lasciare questa terra e volare via "tra li canti", anche se poi non si sa se questa decisione vada in porto. Descrivendo concretamente l'ensemble strumentale che esegue il brano, troviamo un tamburello che praticamente non terzina, una chitarra che non suona ritmicamente ma arpeggia, ed un bouzouki che fa altrettanto, insieme ad un organetto che continua a suonare solamente sulla sua parte sinistra. Lo strumento più ritmico, infatti, è una armonica a bocca, suonata mirabilmente dal grande virtuoso salentino Umberto Panico. A metà brano, dopo il secondo ritornello e la seconda parte a vocalizzi, c'è un assolo di doppio flauto, strumento di origine greca rimasto effettivamente in uso solo in Calabria, ma storicamente diffuso anche nel basso Salento.
Dopo questa parentesi più tradizionale, quasi per reazione, arriva un brano completamente strumentale intitolato "Mera promessa". Con questo brano si torna a delle sonorità a metà fra balcani ed Argentina, il tutto condito con atmosfere free jazz grazie all'intervento del fiatista Marco Tuma. E' un altro brano basato sulla ripetizione di un unico accordo, a cui la curiosa presenza del basso elettrico, da una particolare dissonanza.
Si prosegue con il brano più mistico, e oserei dire allucinato, di tutto il cd. Il suo titolo è "Fracidde", scintille, ed ha un ritmo che ricorda la pizzica, anche se nella scansione il ritmo a sfumature diverse.
L'introduzione è affidata al violoncello che, tenendo due note contemporaneamente, permette al bouzouki di eseguire modulazioni arabe, ed alla voce di eseguire dei vocalizzi con controcanti salentini, che però diventano subito talmente eterei da annullare la loro matrice. Il tamburo entra mentre questa introduzione sta finendo, portandosi con sé il contrabbasso, che d'ora in poi sarà l'altro inseparabile compagno della voce nei suoi voli leggiadri. Il bouzouki, il violoncello ed il flauto finiscono qui per essere dei semplici interlocutori del canto che, data la ritmicità dei due strumenti d'accompagnamento, può librarsi in voli segreti, che permettono di intuire l'atmosfera del testo, che d'altra parte è molto enigmatico. Inizia con delle scintille che fanno finta di presentarsi e interloquire con noi umani, per poi diventare una serie di sentenze profonde e fulminanti. Non si deve pensare, però, al parlar sentenzioso popolare, piuttosto semplice, ma a delle frasi imbevute di vera e colta filosofia.
Il cd si chiude con un accenno di "Golfo ionico" eseguito dal violoncello pizzicato con le dita, dalla chitarra che arpeggia e dal sassofono che suona la parte che nell'altra versione è eseguita brevemente dal violoncello.
Spero che con questa descrizione vi ho incuriosito, mi auguro che qualcuno voglia scoprire questo gioiello e farlo ascoltare, a sua volta, per avvicinarsi ad una musica veramente nuova, perché non tocca la tradizione ma la rispetta.
Voglio ammettere subito che è un cd un po' complicato, oltre a confessare il fatto di essermene innamorata ufficialmente solo quando ho avuto fra le mani i testi delle canzoni e una copia personale ed originale del disco stesso.
Quando ci si accinge ad ascoltare "Il miracolo", si deve innanzitutto dimenticare tutto ciò che si sa sugli Officina Zoè prima maniera, quelli più spesso conosciuti, oltre a scordarsi completamente della lettura moderna e spesso stereotipata e semplificata che si fa della tradizione salentina. Infatti, se per tradizione salentina intendiamo solo le pizziche, eseguite magari a velocità spasmodiche che non permettono neanche di ballare, sicuramente "Il miracolo" non lo possiamo considerare un cd di musica tradizionale o di matrice tradizionale salentina. Se poi per innovazione nella tradizione salentina intendiamo solo il lavoro di gente che stravolge i ritmi, le armonie e le sonorità dei vecchi brani per essere moderna ma ne sfrutta i testi, allora sicuramente "Il miracolo" non può essere considerato neanche un cd di "Innovazione sulla tradizione salentina".
Se, invece, noi intendiamo per tradizione un qualcosa che sentiamo naturalmente dentro, conosciamo in profondità e scandagliamo sin nei suoi minimi particolari per farne qualcosa di nuovo che non lo ammazzi, anche perché se ne allontana in molti aspetti ma senza rancore né boria, allora siamo pronti per un ascolto magico.
Il cd, infatti, è il più coraggioso della discografia degli Zoè, sia perché è tutto di brani d'autore, sia perché gli strumenti tradizionali vengono mischiati a suoni d'origine colta e quindi sfidati ad essere qualcosa di diverso da quello che sono, anche se non perdono la loro anima. Facendo un confronto con l'altra colonna sonora firmata dagli Zoè, quella del pluripremiato film "Sangue vivo", si può dire che lì era la musica una parte importante della trama cinematografica, mentre qui è il cinema a fare propria la musicalità popolare, portandola a diventare più eterea, raccolta, profonda, interiore. Con questo non voglio dire che il cd si debba ascoltare rigorosamente come continuazione del progetto cinematografico, ma le immagini che evoca vanno al di là degli stereotipi e degli stessi usi tradizionali della pizzica, che d'altronde è quasi assente.
Musicalmente parlando, ci troviamo di fronte ad una serie di brani, alcuni accomunati dalla stessa tonalità, dove si vede l'influenza balcanica che oggi è così di moda, diventare una delle componenti principali della sonorità del cd, anche grazie al violoncellista albanese Redi Hasa.
Il cd è quasi completamente strumentale, eccezion fatta per tre brani dove comunque le parole si fanno spessissimo suono e perdono il loro valore tradizionale.
La prima traccia "Miracolo", inizia con un lungo movimento di sonagli a rullata, quasi ondulatorio, che viene riecheggiato dall'organetto suonato sui bassi. Quando la composizione acquista una forma ritmica ben definita, si vede un utilizzo di stili di suono di tamburello molto simili a quelli della pizzica, anche se con tutt'altro tempo. A me, che vengo anche da un forte lavoro sulla musica di Buenos Aires, queste sonorità fanno pensare al tango. Dopo questa entrata strumentale, brevissima, arriva anche la voce di Cinzia Marzo, che qui si fa eterea, quasi lirica, quasi sospesa, ai confini di una geografia inesistente.
Questa sensazione continua anche in "Golfo ionico" , di cui nel cd vi sono due versioni. La prima inizia con il bouzouki greco suonato in maniera ritmica, non alla greca quindi, al quale si armonizza perfettamente l'entrata di un tamburello o di una percussione che prelude ai vocalizzi di Cinzia i quali si alternano con pezzi eseguiti sia da tutto l'insieme strumentale (costituito da percussione, bouzouki e violoncello), sia da alcuni elementi solisti.
Si arriva poi al primo brano che possiede un testo, "Tempu veru". Musicalmente parlando è un brano in tonalità minore dove scompare l'organetto, con un inizio lentissimo affidato ad alcune note di bouzouki accompagnate da lunghi suoni bassi del violoncello, sul quale si inizia a stagliare ben presto il dolce misticismo della voce di Cinzia. Non so dire se in questa prima parte la voce esegua semplicemente dei vocalizzi o dica delle parole, perché il confine tra parola e suono autonomo è labilissimo. Dopo una pausa si riprende con un assolo di bouzouki che consiste nella ripetizione di un unico accordo, sul quale poi si innesta innanzitutto l'insieme strumentale, che accompagna uno strabiliante assolo di violoncello, per poi guidare la voce verso una scansione a vocalizzi di un belllissimo testo, scritto da Cinzia Marzo, che qui è portata, per la prima volta, verso un fortissimo misticismo. E' un misticismo laico, cosiccome è laico il senso del miracolo di cui parla il film di Edoardo Winspeare.
Il finale del brano è una ripresa, con altri vocalizzi, del tema lento iniziale, che sembra quasi evaporare.
Arriviamo all'unico momento del cd che ci può far pensare al mondo "normale" degli Officina Zoè, ossia alla pizzica. Il brano in questione, intitolato "Menevò", è una pizzica lenta scritta, sia nel testo che nella musica, da Cinzia Marzo. L'introduzione, a chi magari conosce "Sangue vivo", potrebbe ricordare quella di "Ijentu", di cui d'altronde ricalca anche il giro d'accordi. Entrando nel vivo della struttura del brano, l'introduzione è accompagnata da dei battiti di tammorra muta, senza sonagli, e da un organetto che suona sui bassi. Anche qui il canto è a vocalizzi, ed il testo entra quando, piano piano, da questa parte così moderna scaturisce la tradizione. Questa però, va detto subito, non si spoglia mai della modernità. Infatti, tutti gli strumenti, suonano in maniera "sporca", quasi avessero paura di disturbare il canto d'addio che si sta cantando. Infatti "Menevò" è il testamento interiore di una persona che decide di lasciare questa terra e volare via "tra li canti", anche se poi non si sa se questa decisione vada in porto. Descrivendo concretamente l'ensemble strumentale che esegue il brano, troviamo un tamburello che praticamente non terzina, una chitarra che non suona ritmicamente ma arpeggia, ed un bouzouki che fa altrettanto, insieme ad un organetto che continua a suonare solamente sulla sua parte sinistra. Lo strumento più ritmico, infatti, è una armonica a bocca, suonata mirabilmente dal grande virtuoso salentino Umberto Panico. A metà brano, dopo il secondo ritornello e la seconda parte a vocalizzi, c'è un assolo di doppio flauto, strumento di origine greca rimasto effettivamente in uso solo in Calabria, ma storicamente diffuso anche nel basso Salento.
Dopo questa parentesi più tradizionale, quasi per reazione, arriva un brano completamente strumentale intitolato "Mera promessa". Con questo brano si torna a delle sonorità a metà fra balcani ed Argentina, il tutto condito con atmosfere free jazz grazie all'intervento del fiatista Marco Tuma. E' un altro brano basato sulla ripetizione di un unico accordo, a cui la curiosa presenza del basso elettrico, da una particolare dissonanza.
Si prosegue con il brano più mistico, e oserei dire allucinato, di tutto il cd. Il suo titolo è "Fracidde", scintille, ed ha un ritmo che ricorda la pizzica, anche se nella scansione il ritmo a sfumature diverse.
L'introduzione è affidata al violoncello che, tenendo due note contemporaneamente, permette al bouzouki di eseguire modulazioni arabe, ed alla voce di eseguire dei vocalizzi con controcanti salentini, che però diventano subito talmente eterei da annullare la loro matrice. Il tamburo entra mentre questa introduzione sta finendo, portandosi con sé il contrabbasso, che d'ora in poi sarà l'altro inseparabile compagno della voce nei suoi voli leggiadri. Il bouzouki, il violoncello ed il flauto finiscono qui per essere dei semplici interlocutori del canto che, data la ritmicità dei due strumenti d'accompagnamento, può librarsi in voli segreti, che permettono di intuire l'atmosfera del testo, che d'altra parte è molto enigmatico. Inizia con delle scintille che fanno finta di presentarsi e interloquire con noi umani, per poi diventare una serie di sentenze profonde e fulminanti. Non si deve pensare, però, al parlar sentenzioso popolare, piuttosto semplice, ma a delle frasi imbevute di vera e colta filosofia.
Il cd si chiude con un accenno di "Golfo ionico" eseguito dal violoncello pizzicato con le dita, dalla chitarra che arpeggia e dal sassofono che suona la parte che nell'altra versione è eseguita brevemente dal violoncello.
Spero che con questa descrizione vi ho incuriosito, mi auguro che qualcuno voglia scoprire questo gioiello e farlo ascoltare, a sua volta, per avvicinarsi ad una musica veramente nuova, perché non tocca la tradizione ma la rispetta.
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