sabato 27 agosto 2011

Considerazioni sulla parte iniziale del concertone di Melpignano 2011

Carissimi lettori, questa sera recensirò la prima metà (circa tre ore e mezzo) del concertone di Melpignano, in diretta grazie allo streaming web della televisione locale salento web tv all'indirizzo www.salentoweb.tv.

Il concerto è iniziato con un breve discorso, dopo il quale hanno iniziato a cantare le "'Ngracalate", ottimo gruppo tradizionale. Accompagnate dalla fisarmonica di Roberto Corciulo (da me conosciuto ai tempi della sua militanza negli Aramirè) hanno intanto interpretato "Santa Cesarea", canto riconducibile agli Ucci, quindi al pluricitato ma poco omaggiato in questo festival Uccio Aloisi. L'interpretazione è stata molto bella e sanguigna, ed ha subito ceduto il passo a "La fija de lu massaru", brano che a cappella si rallenta rispetto alla versione degli Agorà nel cd "Io, pizzica e tu...". L'interpretazione è sporca quanto basta, ma le voci sono belle ed intonate.

Subito dopo si è avuta un'interessantissima versione di "Damme la manu" (conosciuta anche come "Damme nu ricciu), che ha subito notevoli (ma tradizionali) variazioni. Magari tutti la facessero così!

Subito dopo, sempre con la bellissima fisarmonica di Corciulo, sono arrivati dei bellissimi stornelli con delle notevoli improvvisazioni testuali (così si innova! Credo che il Salento sia uno dei pochi posti al mondo in cui si pensa di innovare solo musicalmente, oltretutto forzando molto la mano, mentre si neglige l'aspetto canoro, lasciando ad esempio perdere le possibilità che per dire sarebbero date da un addolcimento rispettoso del canto, nonché l'aspetto testuale). Gli stornelli erano sulla melodia del "Fior di tutti i fiori", di cui riprendevano anche alcune strofe. Suona strano sentire alcune strofe che si sono conosciute lente a stornello, ad esempio la coppia di distici legati "Donnaci stai alla ripa de la Francia/ dimme l'amore comu se cumincia// E se cumincia cu soni e cu canti/ e va finire cu pene e turmenti". Comunque grande lezione a tre quarti dei gruppi salentini.

Il pubblico è un po' casinaro, meglio sinceramente nelle sagre di paese, anche pensando al fatto che il secondo gruppo sta accordando gli strumenti (sì perché le 'Ngracalate" hanno suonato appena un quarto d'ora e tutti i gruppi tradizionali dovrebbero suonare per un totale di un'ora e tre quarti (certo, Uccio è meglio rappresentato da Ludovico Einaudi piuttosto che dalla gente come lui...). Poi delle disparità fra il trattamento riservato a Uccio Aloisi quest'anno e quello riservato a Pino "Zimba" tre anni fa da pagani avremo modo di parlarne polemicamente (giusto per non essere polemici quell'anno, il 2008, tre ore del concertone furono tradizionali... rifletteteci...).

Il secondo gruppo, e giustizia sia!, è l'Uccio Aloisi gruppu, che ora, dopo la morte del suo ispiratore avvenuta alla fine d'ottobre dell'anno scorso, si chiama Robba de smuju. L'esibizione è iniziata con una breve cantata a cappella, seguita subito da dei bei stornelli. Gli stornelli sono stati alla maniera di Uccio, cantati da una bellissima voce tenorile, che in questa occasione è stata affiancata da una bellissima voce femminile (che non so a chi appartiene, durante le presentazioni speriamo di capirlo. Va detto che l'audio è un po' brutto, ma questo è l'unico canale che trasmette il concertone senza pubblicità). Naturalmente va detto da subito che l'Uccio Aloisi gruppu (o Robba de smuju) ha nel mandolinista Antonio Calzolaro il miglior elemento, per quanto tutti siano bravi (se avete più fortuna di quanta ne ho avuta io quando sono andata giù che me li sono visti solo per mezz'oretta, godrete davvero).

Il brano successivo è stata una pizzica molto coinvolgente quasi al modo della cutrofianese. Della cutrofianese ha conservato la caratteristica della sfida (fra la voce tenorile e quella femminile) oltreché molta parte della melodia.

Subito dopo c'è stato un valzerino a me completamente nuovo (e così mi piace, altra bella lezione ai gruppi di riproposta: la tradizione si rispetta non a chiacchiere ma a fatti, non si sfrutta come miniera di testi, ma se ne rispetta tutto o molto, non come fanno troppi).

Ora siamo con un'altra pizzica, una molto bella (forse la più bella da me sentita) versione di "Sta cala lu serenu". Sarà anche che la leggerezza del mandolino equilibra in maniera insuperabile il battito ossessivo e forte dei tamburelli, creando quell'armonia che molti gruppi di riproposta perdono, e non dico solo quelli contaminati.

Ora i Robba de smuju si stanno dedicando all'esecuzione di "Vorrei volare", uno dei brani più noti del repertorio di Uccio Aloisi,serie di stornelli in lingua italiana che io non amo più di tanto, sia per il fattore linguistico, ma anche per quello ritmico: lo stornello lo voglio scatenato. Comunque questa è una versione interessante perché c'è la sfida tra le due voci maschili del gruppo, la tenorile e quella meno corposa ma comunque potente di Domenico Riso.

Con la partecipazione di Antonio Melegari il gruppo sta eseguendo una pizzica di Cutrofiano al modo degli Ucci. Davvero bella. Ci sono molte strofe a me conosciute, forse c'è anche qualche improvvisazione. Possiamo finalmente dare un nome ai cantanti citati poco sopra: la voce tenorile appartiene a Gino de Nuzzo, anche dedito al tamburello, mentre la notevole voce femminile è quella di Lucia Passaseo, anche negli Ariacorte e collaboratrice sporadica di Cinzia Marzo in un bellissimo quartetto vocale costituito anche da Rachele Andrioli (ex cantante degli Zoè)e Rosaria Gaballo (una delle sorelle di Nardò, grandi cantrici riportate alla luce da Dario Muci).

Il pubblico nel precedente momento di pausa ha preso i tamburelli e ha fatto qualche strofa spontanea (che non ho capito, comunque è un bel clima anche se forse la troppa gente fa fare meno festa e diminuisce l'effettivo coinvolgimento del pubblico). Il pubblico sta cantando "Bella ciao", qualcuno, molto suscettibile e fascista che frequentava il sito www.pizzicata.it qualche anno fa si arrabbierebbe allo sfinimento. È un canto inframezzato da grida e un po' stonato ma è segno di festa e perché no di ribellione a queste ultime decisioni governative che ci vorrebbero perfino privare del 25 aprile e del 1 maggio.

Ed eccoci agli Arakne Mediterranea, di cui io ho ampiamente parlato su queste pagine, gruppo diretto attualmente da Imma Giannuzzi, che insieme a Cinzia Marzo e Anna Cinzia Villani forma il trio delle grandi cantanti femminili salentine. Il primo brano è una pizzica-pizzica che convoglia una serie di tarantelle barocche. Notevoli il flauto e il violino. Il flauto attualmente si sta lasciando andare a delle improvvisazioni non molto leggere, un pochino disarmoniche (giusto per tornare a quella mancanza di armonia che mi capita di trovare di tanto in tanto in molti gruppi di riproposta).

E finalmente si è potuta sentire la bella voce di Imma Giannuzzi interpretare "Fimmene fimmene", momento di suprema armonia che precede una pizzica per ora inascoltabile a causa delle esternazioni poco armoniche di una zampogna, strumento che mi sta particolarmente antipatico nelle musiche dove non c'è di tradizione (e anche nei posti dove c'è preferisco i momenti in cui tace).

Gli Arakne provengono da Martignano, altro paesino della Grecia salentina come Melpignano, ora stanno cantando una pizzica in minore, esattamente in la, dove per fortuna le esternazioni poco armoniche di cui sopra sono equilibrate dai voli leggiadri di un mandolino. Se ve la dovessi descrivere direi che questa pizzica riprende il giro armonico tonica-dominante in la minore, come alcune pizziche scritte modernamente nella zona di Lecce o come altre tradizionali nella zona di Brindisi, che però generalmente hanno anche il terzo accordo, ossia la sottodominante.

E dagli studi del Di Lecce, ex direttore del gruppo e suo fondatore, proviene questo insieme di strofe che viene solitamente cantato con l'aiuto di una tammorra muta e delle mani del pubblico. Per trovare la genesi di questo brano si può leggere il volume comunque interessante "Danza della piccola taranta", edito da Sensibili alle foglie nel 1994.

Tamburelli, nacchere e ciaramella eseguono una pizzica in sol. La melodia è una tipica scala, alternativamente ascendente e discendente, molto ripetitiva. Il brano era iniziato con un assolo di zampogna e circolarmente ci si è concluso.

Ed eccoci ad una pizzica (che non ascolterò per intero perché c'è qualche problema streaming), una pizzica tarantata dove i tamburelli sono le mani del pubblico. Le strofe sono di varia provenienza ma riportate rigorosamente in leccese. Nel ritornello si ha la possibilità di apprezzare la bravura di Luigi Giannuzzi, che oltre ad avere un'eccelsa voce da tenore ha una strabiliante mano su molti strumenti tra cui il tamburello. Da questa pizzica è sgorgato, senza soluzione di continuità, l'assolo di questo strumento. Non ritengo questo momento fondamentale, anzi a me il tamburello piace quando accompagna, non quando diventa una batteria. Magari mi impressiona ma poi dico: "Che mi ha dato?" "Niente!". Comunque dalle acrobazie rinasce la pizzica e ritorna l'ultimo giro di tarantata.

Omaggio a Pino "Zimba", con l'attacco di "Sale", che inizia una pizzica ugentina, difatti questa strofa ("sale, ulia mangiare cent'anni sale/ pe 'na donna ca me disse su dessapitu" o anche "lu testamentu", come hanno fatto gli Arakne) è esclusiva di Ugento. Nonostante questo ritornello le strofe che luigi Giannuzzi canta sono quelle comunemente cantate come "Sta cala lu serenu", già sentita poco fa dai Robba de smuju (fantasia!). C'è di buono che le melodie sono diverse e anche gli approcci al brano, quindi non dà fastidio. L'assolo di flauto ha concluso questo brano mentre il violino ha iniziato una bellissima, e credo anche lunghissima, "Pizzica tarantata". La versione degli Arakne ha una grande parte in cui il tamburo è rappresentato dalle mani della gente, devo dire che il lavoro lo stanno facendo bene. La parte di violino, oltre che da variazioni sul tipico giro di tarantata alla Stifani, è costituita da parti in minore. Ed entra l'armonica in do, con lei arriva anche la voce di Imma che inizia a cantare le strofe che si sentono nella "Pizzica taranta" di "Tre tarante". Forse la parte di armonica pecca un pochino per certe (leggere e poco importanti) incrinature blues, soprattutto sulle note che precedono i leggeri respiri che ogni armonicista deve concedersi per non sfiancarsi del tutto. Le strofe stanno cambiando, mamma mia che bello. Qui le incrinature moderne si sentono di più, peccato perché questa pizzica è profondamente concepita come omaggio alla tradizione. A livello di canto si riconoscono infatti le strofe di Cosimino Surdo e quelle di altri anziani che non identifico. E siamo arrivati alla tipica presentazione del gruppo da parte della sua leader Imma Giannuzzi, caratterizzata dalla specificazione della provenienza, paese per paese, di ogni componente del gruppo. Difatti, meglio ricordarlo, il gruppo, anche se a prevalente presenza leccese, è composto anche da brindisini e baresi ed esegue repertori provenienti da tutta la regione. Per averne conferma basta ascoltare il cd "Apulia". Da lì è partito l'assolo di percussioni con cui il gruppo ha salutato il pubblico.

Datemi ora la pazzienza per reggere quello che sta per succedere, ossia le rielaborazioni di un grande ma molto presuntuoso musicista che si chiama Ludovico Einaudi. Odio infatti le generalizzazioni del tipo: "la musica elettronica è l'unica in grado di parlare al mondo contemporaneo". Secondo me queste affermazioni, oltre ad essere irrispettose per la complessità dei gusti possibili, denotano grandissima ignoranza, che non può esser cancellata da niente, tantomeno da anni di conservatorio e teoria musicale. Secondo il mio parere gli unici in grado di capire questa musica sono quelli che si fanno guidare da essa, non quelli che hanno la presunzione di incasellarla arbitrariamente nei loro schemi. Io nelle sagre di paese dove sono andata, specialmente a Tricase Porto, ho visto molta gente che la capiva, la amava e la sentiva come propria,senza stare a dire di sapere chissà quale verità assoluta ed acquisita. Ovviamente nemmeno io voglio con questo articolo dare qualcosa che si avvicini alla verità, voglio solo far sentire una voce che si unisce ad un coro già iniziato degli scettici e, perché no, degli stanchi, di quelli che pensano che il futuro di questa musica vada o possa anche essere ricercato nella sua innovazione rispettosa e non solo nella contaminazione sfrenata.

Comunque ora che inizia l'orchestra popolare ne parleremo canzone per canzone.

Il pubblico si sta serenamente dando a canti e grida, è rispuntata "Bella ciao", si è sentita qualche bella terzina di pizzica, si aspetta che i "signoroni" salgano sul palco e che il loro ambaradan di cose venga montato.

C'è la fanfara di Tirana che segue un brano tradizionale albanese, devo dire che i fiati qui ovviamente non mi danno fastidio, anche perché io non amo la disarmonia, dove c'è l'armonia amo tutto. Il brano è sostenuto da un accordo di fa, è in maggiore ed ha una parte iniziale paragonabile a certe musiche di liscio italiane, seguita da parti con il tipico intervallo di seconda aumentata fra il primo e il secondo grado della scala, così tipico di varie tradizioni fra cui quella balcanica. E da un brano in fa, cambiando completamente di ritmo, si passa ad un'altra melodia stavolta basata su un "basso ostinato" in sol, addolcito solo da qualche momento in do e in fa. la compattezza dei fiati è veramente strabiliante, nonché il naturale (non hanno bisogno di fare assoli, il virtuosismo sta nel ritmo stesso) girare mirabolante delle percussioni. Sempre senza soluzione di continuità, senza respiro né pausa, si arriva ad un brano più ricco, caratterizzato da un'alternanza di momenti minori a momenti maggiori.

E dopo tre brani in uno si ha la prima pausa dell'esibizione, dopo la quale si riprende con un brano in fa minore, dove si assaporano tutte le scale balcaniche grazie ad un portentoso sax contralto, presto seguito da tutta la banda nelle sue evoluzioni.

È entrato un "basso ostinato" collettivo a fare da sottofondo e poi da contraltare ad un assolo di un dolce ma pur sempre scatenato clarinetto. E cambiando di ritmo si va in do minore, con un brano in cui la fanfara armonicamente suona una coinvolgente ma triste melodia. Ed ecco gli ottoni bassi che si preparano a fare da contraltare alle acrobazie del sax, che però in questo caso esegue parti brevi e con pause, anche se questo non mitiga per niente l'effetto ossessivo (imparate salentini che pensate che per ottenere la trance uno debba sentire una stessa nota ripetuta allo sfinimento). Questo pezzo in do minore ha avuto addirittura una codina cantata. Varie voci cantano all'unisono, caratteristica comune in molte culture mediterranee, quanto la polifonia, che oltretutto nel salento non ha gli schemi rigorosi che certi pretesi insegnanti pretendono attribuirle.

Ed il brano successivo è un brano d'orchestra ma dala struttura spesso fortemente cameristica, nel senso che la fanfara ama dividersi in gruppi più o meno grandi che amano dialogare tra loro. Dopo ciò ora si sta eseguendo un vorticosissimo brano in sibemolle, breve ma sfianca tutti.

Una voce tenorile sta eseguendo un canto in sol minore, lento ma con una batteria forse anche un po' fastidiosa. Comunque il canto è interessante per certe fioriture e coloriture messe indifferentemente sulle alte e sulle basse. Il pubblico purtroppo nonascolta, per questo ripeto: meglio le sagre di paese, per quanto lì ci sia anche chi è maleducato qui si dà il massimo. Il canto è accompagnato da una nota di bordone e da qualche fioritura più alta.

E si torna ai brani veloci continuando ad ascoltare cantare voci tenorili, questa volta in tonalità maggiore. La caratteristica del grado di seconda diminuito è in questo caso la più interessante caratteristica del canto. A cui si intreccia un fiato che dopo aver stimolato in un ultimo sprint di canto il cantante fa un breve assolo che prelude ad un breve sfogocollettivo. La voce torna a far sentire il suo canto con caratteristiche di confine fra il canto e l'urlo, dal quale però sfocia un pianissimo che porta ad una velocizzazione del tempo che porta alla chiusura del brano.

Da un inizio lentissimo è arrivato il solito ritmo veloce, questa volta suonato in un gaio fa maggiore, con scale simili alle nostre, che contemplano comunque tutti i colori caratteristici dei balcani ma lasciano spazio anche alle atmosfere del nostro liscio. Le percussioni fanno la parte del leone, dando alla batteria solo il ruolo di rafforzatore del proprio messaggio (imparate batteristi da strapazzo della musica popolare italiana). Questo brano ha avuto una parte abbastanza strana in quanto carattterizzata da una mancanza di coordinazione fra gli strumenti bassi e quelli alti, i quali suonavano in completa autonomia! Il tutto poi si è pacificamente risolto con l'entrata della fanfara in re, in un'alternanza di parti maggiori e minori, tutte caratterizzate da questa scala. La gente non ho idea di quello che stia facendo, spero che stia ballando.

E il vortice continua tornando sul do minore, con un brano ricchissimo di cambi e modulazioni, con giri simili a certe cose del cante jondo andaluso, soprattutto per la scala, per quanto essa è molto più diluita, con la possibilità per ogni accordo di restare nelle orecchie di chi lo riceve.

Su un ossessivo do minore si staglia il clarino, che con dolcezza si porta dietro la gente in un ballo scatenato, che precede il dialogo tra le varie parti dell'orchestra prese singolarmente. Il brano poi si sviluppa in sibemolle minore e contempla dei fischi altissimi, bello!

Il brano ora si sta sviluppando con un assolo di tromba incastonato su un "basso ostinato" sul fa, che precede i fischi e la riesposizione del tema trainante.

Su un ritmo simile ad una habanera si sviluppa un dolce tema con tonica in sol, il quale ben presto non disdegna profondissime aperture armoniche. Quanta armonia c'è, i salentini dovrebbero farne tesoro ma credo che risulterà loro difficile.

Il brano sta continuando a scorrere, guidato dal clarinetto, strumento da noi poco valutato nella musica popolare in nome dell'idolatria generalizzata all'insipido (e scusate!) flauto dolce. Il brano dà tutta l'idea di essere una serenata suonata davanti ad un'ipotetica finestra.

Ma ecco che il ritmo si fa di nuovo vorticoso, con un ennesimo brano in sol minore, che è ancora una volta caratterizzato da certi "bassi ostinati" che non annoiano perché sono riarmonizzati e riequilibrati da molta ricchezza melodica (anche qui: imparate salentini!).

Brano apparentemente lento in fa, iniziato da un basso ostinato in fa. Quando il basso sparisce il brano diventa vorticoso, è caratterizzato dalle solite alternanze tra scale maggiori e minori, però stavolta quando si va in minore si cambia di tono, toccando il sibemolle.

Molto bello ma secondo me dovevano suonare di più i salentini: è o non è questo il festival della nostra musica popolare per eccellenza per quanto contaminata, sporcata e forse sputtanata?

Avrebbero potuto fare benissimo mezz'ora le 'ngracalate, avrebbero potuto ma non l'hanno fatto.

Si è sentito il tormentone insopportabile (in cui purtroppo sono caduti pure gli Zoè nelle ultime date da me viste) sull'acquisto dei cd, pace.

Si è sentita una pubblicità, probabilmente inizia l'incubo fra qualche minuto.

Scusate lo scetticismo ma non condivido questo festival, ora anche per esperienza diretta della tappa di Zollino. È una baraonda dove la musica popolare è ridotta veramente a musica di consumo, fanno pizziche e canti popolari come potrebberofare qualsiasi cosa. Ripeto: meglio le sagre di paese.

Il pubblico si è ridato di nuovo alle sue grida, stiamo aspettando chissà che.

Vorrei nel frattempo approfittare per soffiare sul fuochino delle polemiche sulla disparità fra Uccio e "Zimba". Non so quanti di voi ricordano che nel 2008 ben metà concertone fu tradizionale, ad eccezione o quasi di quella grandissima pagliacciata (e mi fa male il cuore) dei cantori di Villa Castelli e Mario Salvi. C'erano Giovanni Avantaggiato, Uccio, gli Zoè, gli Zimbaria e addirittura Edoardo Winspeare.

Addirittura, dopo una versione vergognosa dell'inno nazionale fatta con la chitarra elettrica e distorta (perché noi dobbiamo sempre imitare qualcuno!) si ascolta Gianni Morandi cantare Sergio Endrigo (non capisco se sto vivendo un incubo o è vero, la canzone è bella ma che c'entra). Comunque la canzone è "Te lo leggo negli occhi", meravigliosa canzone d'amore lanciata da Dino. Io ripeto che qui siamo in un altissimo livello, ma mi chiedo che c'entra. Potevamo far durare gli interventi il giusto. Stessa identica considerazione feci a Zollino con le mie amiche che mi accompagnavano. Stiamo tutti aspettando che venga montato il mostruoso palco, che il baraccone attacchi, che il presunto futuro della musica salentina nasca.

E prima bisogna anche sentire lo Zecchino d'oro, mamma mia, Santu Paulu meu de le tarante, de li scurzuni e de tutti l'animali de lu munnu!

Il brano è "44 gatti", inno di tutti i centomila gatti che sono lì in piazza ad aspettare di buttarsi in un concerto rock dove la musica popolare è sfruttata e basta.

E perfino la musica classica viene scomodata per attendere Einaudi ed i suoi arrangiamenti. Si ascolta il "Nessun dorma" dalla "Turandot" di Puccini. Bellissima, ovvio, ma che c'entra. Va bene che i momenti di attesa a nessun concerto sono riempiti con musica in tema col concerto stesso, però insomma non ne potrei più, anche pensando all'immane ingiustizia fatta ai gruppi salentini che non hanno avuto il giusto peso.

In attesa si può anche ascoltare la "Volta la carta" di De Andrè live con la PFM. Almeno, dio sia lodato, questa è una tarantella. Ovvio la critica resta tutta.

E scusate se non riesco a parlarvi del concertone nella sua parte enaudiana, non ho pazienza. Questo ho fatto!





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