martedì 16 agosto 2011

Agorà: "Io, pizzica... e tu..."

Carissimi lettori, sono appena tornata dal Salento, dove ho assistito a moltissimi concerti e comprato e ricevuto qualche disco degno di essere recensito.
Questa sera pago il pegno di gratitudine più grande, quello nei confronti del gruppo specchiese degli Agorà (visitate il loro sito all'indirizzo www.agoracantiantichi.net). Ho avuto la fortuna di vedere all'opera questo gruppo amatoriale ma non per questo peggiore di molti professionisti (nel Salento spesso dilettantismo significa attaccamento alla vera tradizione, quindi qualità). Il gruppo suonava in una ventosissima serata a Torre Pali. In quell'occasione ho avuto la possibilità di ricevere il cd (in regalo) uscito l'anno scorso dal titolo "Io, pizzica... e tu...".
Il percorso del gruppo, dal pregevole "Canti antichi" fino a questo perfetto ultimo disco, ha avuto una tappa intermedia nel già qui recensito "Canti de na fiata".

Il disco inizia con un inedito che racconta come sia cambiata la raccolta delle olive (giusto per dimostrare che, come diceva Raheli, una delle strade possibili per la sopravvivenza e il rinnovamento della musica popolare salentina è la composizione di "Nuova vecchia musica salentina". Il brano, intitolato "Lu trappitu", è stato scritto da Saverio Fonseca, affabile signore a cui tocca dirigere questa grande piccola nave della musica popolare salentina. La canzone ha il ritmo della tarantella, il giro tonica-dominante-sottodominante, quindi niente astrusità. Stupenda!

La seconda traccia è una perfetta "Pizzica di Cutrofiano" interpretata magistralmente da Maria Rimini e una voce maschile (forse quella di Giacomo casciaro) che in questo cd suona anche i flauti e il mandolino, forse lo strumento principe della grande elevazione stilistica del gruppo specchiese. Mai, infatti, nessuno strumento straniero potrà rimandarmi un centesimo della leggerezza magica del mandolino. Il brano non è veloce, anzi, è una delle pizziche più "stanche" e coinvolgenti che io abbia mai sentito. Il testo è quello degli Ucci, con qualche variante frutto di accurate e personali ricerche sul campo.

Sempre a tempo di pizzica arriva la bellissima "Quando te vitti", bella pizzica in minore sempre fatta sul giro tonica-dominante-sottodominante. Le strofe tradizionali sono interpretate da Maria Rimini, bella e ormai matura voce del gruppo, con l'aiuto di una voce maschile, che prende delle note che modernamente sono spesso eseguite dalle
donne.

Nel ritornello si omaggia Cosimino Surdo, il quale, invece di utilizzare il solito "Beddhra l'amore e ci la sape fa", intercalava le strofe della sua bellissima pizzica con un "Amame beddhra e nun me bbandunà".

Alla quarta traccia si arriva al primo valzerino del cd, con una bellissima "la fija de lu massaru", che ricorda in molti aspetti certe cantate del patriarca della musica popolare salentina Uccio Aloisi, morto qualche mese fa, e molto poco ricordato nel Salento anche da chi dice di volerlo ricordare.

In questo brano si dimostra ancora una volta che, proprio per i numerosi ostacoli che gli si frapponevano da parte di una società profondamente ingiusta, l'amore dei contadini poiché raro è forse più puro. Il brano scorre leggerissimo come tutto il cd, che prende in maniera assoluta chi ancora sa apprezzare questa musica per quello che è, un genere senza mediazioni.

Quando si torna alla pizzica si arriva ad un collage di strofe tradizionali, dove il giovane Giacomo Casciaro dimostra tutta la sua insuperabile abilità nei ricami su sol centrali sulla "a" della parola "fijata" del comune, ma non per questo stancante, ritornello "Na, na, na, comu balla fijata e ne pizzicau lu core mamma mia ce dulore".

Anche in questa pizzica, insieme a strofe comuni, si sentono assolute gemme di rarità poetica inusitata (agli autori di canzoni politiche a orologeria... meditate gente meditate!).

Solo nelle due ripetizioni della prima strofa si sente il "Beddhru l'amore e ci lu sape fa", ma non stanca.

La mandola che conclude il tutto da veramente la sensazione di essere noi la stella che compare a levante.

Sulla melodia del già di per sé raro canto "'Ntunucciu", riproposto veramente in contate occasioni quasi solo dai gruppi ricollegabili alla prima ondata della musica popolare salentina (Canzoniere e Aramirè in primis) si ascolta un testo in griko cantato dalla cantante femminile aiutata da questi particolari controcanti maschili che andrebbero a toccare note che, solo per spiccata tendenza al convenzionale, consideriamo caparbiamente femminili. Mentre la cantante interpreta con durezza, la voce maschile, pur restituendo il medesimo respiro, addolcisce molto il canto creando un interessantissimo contrasto.

Quando si torna a cantare in salentino lo si fa con l'unico momento un po' fiacco del cd, una versione lenta, simile a quella degli Zoè in "Terra" (pur nella profonda diversità della rielaborazione) di "Nia, nia, nia". Musicalmente sinceramente il brano è un po' troppo elaborato, soprattutto per quanto riguarda l'ultimissima parte del giro del canto, che poi, come nella più autentica tradizione salentina, corrisponde con la completa esplicitazione di ogni singolo distico. Il brano, comunque, è interessante per quanto riguarda il testo. Infatti, ancora una volta, oltre a qualche strofa del testo leccese spesso cantato a pizzica, si assiste ad assolute novità.

Così come per "Lu rusciu de lu mare" nel precedente "Canti de na fiata", anche qui abbiamo due versioni di questo testo. Contrariamente al precedente citato, però, qui le strofe non corrispondono per tutto il tempo. La melodia utilizzata, altro merito agli Agorà, è quella di Luigi Stifani che costui interpreta a filastrocca nel cd "Io al Santo ci credo" allegato all'omonimo libro delle Edizioni Aramirè di Lecce, utilizzata dagli stessi Aramirè in maniera molto buona per la loroversione, unica pubblicata ufficialmente, del classico "Opilllopillopì".

E si torna al valzer, cantando una melodia che gli Zimba (vedere il cd allegato al libro "Zimba voci, suoni e ritmi di Aradeo" delle Edizioni Kurumuny diLuigi Chiriatti) utilizzava per rivendicazioni o consigli sulle lotte alle tabacchine del paese. Il testo qui, invece, è bucolico, forse anche troppo, ma forse anche questo era la musica popolare, anzi forse lo era anche più di quanto fosse questo veicolo di lotta che secondo molti, in maniera estremistica, sarebbe così importante nel folklore salentino, anzi addirittura lo monopolizzerebbe.

Melodia leggera e bella, ispira libertà e gaiezza, anche grazie alla mandola, la cui profondità non dà fastidio, perché non utilizzata in maniera mediterranea (bella ma ormai comune nella musica salentina) ma tendente ad un'italianità spesso dimenticata, in nome di pretesi globalismi o glocalismi che ovviamente è la nostra radice più grande.

La traccia successiva, con la quale si torna alla pizzica, è una versione molto buona, anche se forse non molto convincente perché tradotta dal dialetto d'origine al leccese, della "Pizzica di Torchiarolo", con il testo riportato alla luce di recente da Enza Pagliara.

Ancora una volta ritroviamo questa pizzica, forse per gli standard di certa gente "stanca", ma per me, proprio perché tale, coinvolgente e anche interessante per la possibilità di essere portati dall'arte del gruppo fino a profondità dove la velocità non porta.

La voce del cantante è molto vicina ai portatori della tradizione, è dura e graffiante, niente a che vedere con gli atteggiamenti da "Sanremo dei proletari" che si vedranno tra una decina di giorni a Melpignano.

La mandola cesella leggermente variato il tema vocalizzato nel ritornello, così si va avanti lentamente ma irreparabilmente nella pizzica.

Avrete forse capito che ritengo una lezione grandiosa questo cd, a chi pensa che questa musica vada fatta facendo caciara.

E utilizzando un ritmo latino completamente entrato nella nostra tradizione si interpreta un carinissimo canto da osteria intitolato spesso "Na mujere vascia vascia. una coppia tenta di separarsi minacciando l'altro componente di non farne più parte perché costui (o costei) sarà data, ma poi tutto si risolve per il meglio. Curiose certe inflessioni napoletane nella pronuncia della frase "nui ci ulimu bene", presente nel ritornello. Questo è uno di quei canti che potrebbe continuare all'infinito, per la sua circolarità. Vediamo se anche questo repertorio, tramite qualche coraggioso tra cui gli Agorà, i Calanti e i Briganti di Terra d'Otranto, acquista la dignità che ha acquistato (o fatto finta di acquistare...) la pizzica. Anche qui la mandola cesella il brano con interessanti note ribattute in corrispondenza di ogni pausa.

La penultima traccia, insieme alla seconda, è da sempre (ossia dai cinque giorni in cui ho potuto assaporare il cd) la mia preferita. Il brano si sviluppa in una vorticosa (ma sempre "stanca" e leggerissima) pizzica di Aradeo, inpreziosita dai voli del flauto irlandese, che se fosse meno leggero, diventerebbe, come per miracolo, uno di quei flautini che si sentono in qualche traccia del cd "Le tradizioni musicali in Puglia vol. 3" di Giuseppe Michele Gala.

Anche qui, pur nella relativa stabilità e frequenza delle strofe, si assiste a qualche succulenta novità che non vi anticipo, costringendo chi avrà la curiosità sufficiente, a provare a prendere il cd magari ad uno dei bellissimi concerti del gruppo specchiese.

Va detto, per la cronaca, che anche per quanto riguarda le voci, il gruppo, pur non rinunciando alle sue caratteristiche veramente tradizionali, è migliorato infinitamente.

L'ultima traccia è una tarantelluccia che ricorda da una parte "lu scarparu" cantata dagli Alla Bua nel cd "Stella lucente" del 1999, dall'altra, ampliata credo, una poesia di Cesare Monte, il cui repertorio suonato con gli strumenti del Sud è anche carino. Bellissimi i controcanti di due mandole, una sulle note sottto l'ottava centrale del piano e l'altra sopra.

Avete voglia di fare un po' di festa e magari ubriacarvi anche di semplicità? Ascoltatevi l'ultimo prezioso cd degli Agorà.



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