martedì 23 agosto 2011

aRIAFRISCA: "lA STRADA DELLE ROSE".

Carissimi lettori, questa sera ho finalmente l'onore di potervi parlare degli Ariafrisca, ottimo gruppo di musica popolare salentina con sede a Felline (LE), in attività da ormai dieci anni.

Il pretesto è la recensione al loro pregevole ultimo compact disc dal titolo "la strada delle rose".

Il cd si apre con una spumeggiante versione strumentale della Pizzica di Cisternino (BR), diversa da quella presentataci da Massimiliano Morabito nel suo "Sendë na rionettë sunà". Se la prima è in minore, questa si lascia andare in un semplice giro maggiore a due accordi, il tipico tonica-dominante della pizzica più pura. La presenza di ben due archi (un contrabbasso ed un violino) danno alla versione degli Ariafrisca una consistenza unica che rasenta l'ossessivo (fortuna!) senza però arrivare agli estremismi che danno certe trovate ormai comuni nella riproposta. Ciò che si trova qui è la semplicità delle pizziche antiche, quella spesso ripudiata da chi questa musica la vuole sfruttare solo per ciò che gli conviene e non valutarne i pregi obiettivi.

Quando si inizia a cantare si sente subito il valore vocale del gruppo che è davvero notevole. Intanto c'è la voce femminile di Maria Laura De Filippis, il cui timbro ha una forte personalità seppur vi si riconoscono chiarissime le influenze della scuola di Anna Cinzia Villani, in una certa potenza che a certe orecchie non abituate potrebbe sembrare calco (ma non lo è). Su certe vocali finali si riconosce (o si potrebbe riconoscere) uno stile che rimanda anche a certo canto contadino non solo salentino. Il primo canto è una versione estremamente personale (e bella!) de "Lu sule calau calau". Di personale vi sono i controcanti nonché piccole parti melodiche, ma soprattutto gli assoli di flauto e mantici, che forse sono le vere armi degli Ariafrisca. Difatti, secondo me, ciò che è migliorato tra "Sona ca nc'è l'aria" e questo cd, sicuramente più bello e maturo, è l'uso di questi elementi. Da notare, in questo brano, l'inizio ed il finale a cappella, eseguiti con uguale perizia anche live (la bellissima serata a Tricase Porto lo testimonierà presto anche per chi vorrà passare sul mio canale di Youtube quando essa sarà pubblicata in molti suoi momenti).

La traccia successiva è "Lu tommareddu meu", ma non vi fate illudere dal titolo, di cose particolari ve ne sono a iosa. Intanto il brano è un misto di almeno tre pizziche. La prima, quella eseguita sempre a gruppo completo (sempre impreziosito dal solito contrabbasso che dà un corpo notevole) è una serie di strofe di tematica varia, non solo sul tamburello. La seconda, leggera variante della prima, contiene strofe particolarmente piccanti, mentre la terza, omaggio ad Otello Profazio o quantomeno da me fortemente collegata al repertorio di questo grande calabrese, è eseguita, meno che l'ultima ripetizione, voci e tamhuri. Imparate gruppetti da strapazzo!

La traccia successiva è una toccante e tradizionalissima "Damme la manu". Si sente una notevole voce da basso, ruolo particolarmente negletto da questi innovatori da quattro soldi che pensano che il futuro della musica popolare sia per forza da trovare nelle contaminazioni spinte. Vanno notate le fioriture della voce principale, nonché il fatto che il controcanto va a terze (ritenuto rigidamente lo schema della tradizione ora che deve essere insegnata in pretese scuole) solo nelle parti finali di ogni distico, giusto a dimostrare che la linearità non era un attributo della vera tradizione.

La traccia successiva è una classica (solo apparentemente) versione della "Pizzica di San Vito" (BR). Intanto non viene eseguita la versione in la minore, bensì quella che lo stesso "mestu" Vincenzino Vita eseguiva in sol-mi. Il testo è tradotto in leccese, sinceramente non disturba. Le strofe sono quelle di Angelo Sabatelli per i "Tre violini inediti del tarantismo" di Fernando Giannini, libro edito per le edizioni Kurumuny di LuigiChiriatti. Per quanto riguarda la parte strumentale essa viene rispettata solo limitatamente alla parte in maggiore, quando si va in minore entra un flauto (forse tenore) e esegue un giro che porta l'armonizzazione anche verso il grado di "sottodominante", ma neanche questo disturba. Nella parte in sol ci sono due strumenti che nella tradizione sanvitese, che io sappia, sono rari. Mi riferisco all'armonica e all'organetto. Ragazzi, questa comunque è una delle migliori (se non la migliore!) versione della pizzica di San Vito all'infuori di quelle dei coniugi Sabatelli!

Ed andiamo avanti con un valzerino intitolato "Il cacciator del bosco". La versione degli Ariafrisca ha di strano il fatto che la parte narrativa è affidata alla voce femminile, mentre sinceramente credo che il canto sia spudoratamente maschile. Questo brano ha delle parti strumentali dove i tamburelli si rimpallano alternando uno una parte quasi brasiliana, l'altro un qualcosa di simile alla pizzica.

Sinceramente lo stacco non risulta molto gradevole alle mie orecchie, più che altro perché spezza l'atmosfera di un raro e gradevole valzer in lingua italiana. Lo stacco in sé non è male, si potrebbe obbiettare (e io obbietto!) che potrebbe essere base per un brano d'autore, non ha senso (ripeto sono opinioni personali e non vincolanti) metterlo in un brano spudoratamente e fortunatamente tradizionale. Alla fine, dall'ultima ripetizione dello stacco, si parte con una pizzica in minore (tonica-dominante) davvero spacca tutto!

Interessanti i dialoghi fra fl'auto e mantici, supportati dalla vigorosa sezione ritmica.

Nel finale la pizzica fa finta di stemperarsi e si ritorna brevemente al tema mediterraneo (o brasiliano) precedentemente toccato. Per fortuna è solo una finta.

Andando avanti si trova una tarantella in maggiore, con una scala amplissima, con un testo tradizionalee semitradizionale. È la storia dell'inizio e sviluppo di una storia d'amore nel mondo contadino. Anche questo è cantato prevalentemente in lingua italiana, in quell'italiano condito di dialetto che, nonostante io non lo ami, mi fa comunque tenerezza mentre (come ormai sapete) non sopporto l'italiano standard accompagnato dagli strumenti tradizionali. Curioso notare come le parti femminili siano in un dialetto più stretto, che viene ripreso, finalmente, anche dalle parti maschili. Ma alla fine si torna all'italiano, in nome di quella convivenza che si può toccare ancora con mano in certe zone del Salento e non solo negli anziani. Musicalmente il brano non porta al ballo, talmente è annacquata e addolcita.

Il brano successivo è sulla melodia nota come "Giulia di Fornovo", grazie alla maledetta fantasia e superficialità di Giovanna Marini. Il brano inizia con una strofa di quelle cantate dalla stessa cantante romana, ma ha una grande coerenza di trama, si sente che è un documento filologicamente rispettato ed eseguito a cappella.

E tornando alle tarantelle, stavolta belle forti, si canta su un monaco un po' poco ligio ai doveri eclesiastici, che preferisce l'amore alle funzioni di chiesa. Nel ritornello strumentale si assiste, ancora una volta, alle strabilianti entrate del flautista e dell'armonicista. Magari le terzine non sono senza respiro tipo Alla Bua ai tempi di Pierpaolo Sicuro, l'efficacia comunque è sempre tanta. Alla fine del brano il ritornello viene ripetuto svariate volte, l'ultima con un finalea cappella giusto per ricordarci di chi stiamo godendo l'arte.

Ed eccoci al brano che dà il titolo al cd, una pizzica in minore, con giro variabile dai tre ai quattro accordi, con musica d'autore ma testo liberamente creato mettendo insieme alcuni gioielli tradizionali poco cantati (questa è una delle caratteristiche degli Ariafrisca, che però non la coltivano in modo paranoico come tre quarti dei gruppi salentini).

Se dovessi raccontare la struttura della melodia dovrei citare gli Zoè e le pizziche in minore di Pisanello ("Don pizzica" e "Filia"), ma lo stile degli Ariafrisca dà tutta un'altra aria al tutto. Da ascoltare con rapimento. C'è questa solita leggerezza che dai tarantati alla Sparagna potrebbe essere mal interpretata, è solo segno di raffinatezza. Nella stessa direzione si muove il lungo crescendo di cui si rendono protagonisti la chitarra, il contrabbasso con l'archetto, l'organetto ed il sassofono soprano, che partono dopo che la stupenda voce di Maria laura De Filippis abbia smesso di cantare, con la sua particolare timbrica tra il rude ed il dolce, bellissime strofe di tematica romantica. Quando si torna a pizzica il sassofono ha il ruolo del canto, incalzato dai mantici. Bisogna dire che in contesto live questa parte perde un po' data la tendenza ad accentuare la botta del tamburello, mentre qui è tutto perfetto.

L'ultima traccia è un brano irlandese, difatti il mondo celtico aleggia per tutto il cd prima di materializzarsi in questa ballata. L'interpretazione è convincente dal punto di vista musicale, anche se il canto forse non rende, come non rendono i tamburelli.

Comunque è un cd bellissimo, che si chiude con una pizzica vorticosa in sol che si attacca all'ultima parte di questa ballata irlandese.

Per scoprire gli ariafrisca si può andare su www.ariafrisca.it o su www.youtube.com/ariafrisca.

Buona scoperta, resterete almeno colpiti.

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