lunedì 29 marzo 2010

Prime riflessioni sugli Aramirè

Carissimi lettori, concludo questa serie di post "storici", ossia di scritti che sarebbero dovuti stare tra i primi articoli di questo blog, ma per un motivo o per un altro non ci sono mai potuti entrare. In questo si parla degli Aramirè, ma è molto meno meditato, molto più arrabbiato ed impietoso nei loro confronti. Ovviamente c'è la comprensione per le motivazioni del loro leader, ma ci si ritrova una persona che è profondamente arrabbiata per una scelta che non condivide da parte di un gruppo per il quale ha una stima incrollabile. Credo di aver scritto questo articolo quasi subito dopo aver letto il post con cui Raheli spiegava le sue ragioni con la sua giusta ma distruttiva rabbia.
Buona lettura a tutti.
Devo dire che mi dispiace, vedere questo gruppo alfiere della tradizione, ridotto ad un cadavere. Non avevo più loro informazioni, ma neanche la coscienza del fatto che si fossero sciolti. Capisco le motivazioni di Raheli: è demoralizzante perfino per me che mi ci dedico a tempo perso e addirittura sono due anni che non faccio più un concerto serio di pizzica, vedere che questa musica, dalla ricchezza infinita ed inesplorata o maltrattata, sia rimpicciolita fino a diventare un marchio della peggiore società consumistica. Bisogna però altrettanto dire che è troppo facile fare le cose in un certo modo quando non le fa nessuno (seppur si viene magari sbeffeggiati) e poi gettare la spugna, cioè non dare un’alternativa, quando queste stesse basi vengono usate in maniere non condivise da noi. Se io potessi (se fossi salentina o vivessi nel Salento), cercherei tutti i modi possibili per interpretare la pizzica con metodi opposti ad esempio a quello del concertone della Notte della Taranta, che a me non piace per niente. Devo purtroppo ammettere da “aramiriana” (forse da ex “aramiriana”), che i miei storici beniamini erano un po’ “nostra signora ipocrisia” (se Raheli leggesse questo sarebbero cavoli). Quando li ho visti in Puglia (12 agosto 2005, Cannole, sagra della municeddra), loro che rimproverano a tutti il fatto di non saper utilizzare le voci e la scelta ostinata di fare solo brani ritmati, hanno giustamente eseguito solo quel repertorio, tra l’altro con controcanti quasi indecenti. L’unico brano lento della serata è stata una versione orribile (contenuta purtroppo anche in “Mazzate pesanti”) della “Ieri sira”, che tutti dicono di aver imparato dalla Simpatichina (quidda sì ca facia musica popolare). Posso anche dire che prima del concerto ho avuto la possibilità di conoscere Raheli che, siccome non lo riconoscevo dato che nel parlare ha una voce completamente inespressiva, si è messo ad accennare “Sta strata”, pezzo che io stessa abitualmente facevo, rigorosamente “a botta”. In quel caso il signor “integralista” è partito “a stisa” ed a me è venuto completamente naturale il controcanto per terze salentine. Non si può raccontare la mia rabbia quando lui, che come ho detto prima grida all’eresia non appena si smette di dare il monopolio della musica salentina alle voci, non è nemmeno stato in grado di seguirmi: dopo tre note del mio controvoce, lasciava la melodia principale per mettersi nella mia zona. Purtroppo non ho mai cantato con altri ripropositori, ma voglio sperare che qualcuno più bravo di lui ci sia (io adoro Cinzia Marzo ma non ho mai avuto il piacere di unire la mia esile voce a quel vento pieno di contrasti).L’ultima parola che voglio dedicare agli aramirè è: non date la colpa alla Notte della Taranta e ai suoi miliardi se vi siete sciolti, guardate per una volta dentro di voi e non fuori. So che è molto più facile accusare chi viene dopo di noi dei nostri problemi, ma la radice di tutto sta sempre in noi. Se tu, carissimo Raheli, avessi imparato a suonare bene il violino o il flauto, già avresti potuto competere con la qualità del tuo suonare e cantare, anche con la N.d.t. e poi: si può sapere come pretendi di vincere un ensemble di pagliacci reciclati tirando fuori da quella miniera di musica che è il Salento i peggiori musicisti?In Puglia, forse in parte la colpa è da dare al fonico, mi sono accorta benissimo (pur non suonando nessuno degli strumenti citati), che i due tamburelli erano scordinati tra loro e il fisarmonicista suonava con una sola mano (sempre!). e poi davanti a me, che sono una sua grande ammiratrice quando non si vende alla Notte della Taranta, hai avuto il coraggio di dire che Castrignanò non ti mancava perché ti piacevano gli stupidi e banali virtuosismi da bambino di cinque anni del vostro attuale (allora) tamburellista. Ultimissima: quando eseguivate “Lu rusciu te lu mare” avevate la faccia tosta di dire che la seconda parte (quella pseudo mediterraneata terribile), aveva degli echi flamenchi. Se ti potessi mandare questo scritto qui sì che ti giocheresti la reputazione di integralista! Carissimo signor Raheli, ancora non ho mai visto il flamenco, nemmeno nelle sue espressioni meno pure e tristi, suonato con una chitarra con corde d’acciaio (se lo sentissi rischierei di cambiare opinione). Il flamenco per di più si canta completamente di gola (non sicuramente come canti tu), con una vocalità molto magrebina (ascolta qualche cosa di algerino per capire quello che dico), mentre il sustrato arabo salentino, naturalmente, essendo di origine bizzantina, proviene da matrici turche. Ho infatti riscontrato somiglianze tra una certa vocalità salentina moderna (pensa ad alcune cose dell’ultima Cinzia Marzo) e la musica popolare persiana. In Iraq infatti hanno il gusto, soprattutto le donne, di impostare la voce in modo fortemente lirico (pensa all’opera italiana), lasciando quindi perdere l’irruenza che un qualsiasi cantante di flamenco, anche perché alcune cose le cantavano i minatori perfino sotto terra, metterebbe nel suo canto.E dopo questo studio commpletamente basato sulle mie rielaborazioni delle tante fonti musicali che ascolto, ti saluto con la maledetta coscienza d’aver sprecato il mio tempo perché non te lo potrò mai mandare.Da una parte è meglio!La perugina pizzicata.

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