domenica 24 maggio 2009

Parlando di Profazio

Carissimi lettori, oggi mi va di parlarvi un po' di Otello Profazio, un cantante per me fondamentale, su cui, però, non mi ero ancora espressa.
Lo faccio senza motivo, portata solo dalla voglia di parlarne.
Io conobbi questo cantante sette anni fa, quando, in una raccolta della Curci, mi imbattei in "Qua si campa d'aria" e, soprattutto, in "Governo 'taliano". Questo ultimo pezzo, uno dei tantissimi canti popolari del sud Italia che il ricercatore ha trovato e riproposto, è stato il mio primo omaggio, durante una mia esibizione ad una "Festa dell'Unità".
Ciò che mi è sempre piaciuto di lui, caratteristica che io ho portato anche in alcuni brani salentini, è quell'intimità che la sua voce, dolcissima ma potente e graffiante, sa creare in maniera unica. E' unico anche il riguardo che lui ha nei confronti della tradizione: come me, per lo meno da sue affermazioni lo si desume, ama molto essere rispettoso della matrice da cui parte, e si limita, secondo me giustamente, a rimetterla a posto a livello di strofe, affinché i brani non siano solo accozzaglie di strofe sciolte. In lui, altro elemento non trascurabile, è presente una simbiosi tale tra brani d'autore e tradizionali, che per capire la provenienza del repertorio che si ascolta, si deve tenere in mano il libretto del disco corrispondente. In lui, altra virtù, c'è una "coscienza di genere", forse propria dei "pionieri", senza però quei difetti opposti di veduta, ossia lui è stato il primo a voler che dalla musica contadina scaturisse lo "spettacolo". Però, agli inizi degli anni Settanta, dopo aver inciso una serie di 45 giri per la Fonit Cetra nei quali ancora seguiva criteri di "folk di consumo", in lui si forma una coscienza politica, ma soprattutto in senso culturale, che lo porta a migliorarsi moltissimo a livello tecnico, soprattutto sulla chitarra, e a puntare decisamente verso l'autonomia. Questo, è bene precisarlo, non significa una abiura della "comunicazione di massa", ma il tendere verso un suo uso maggiormente colto. A questo, credo, si debbano i riferimenti a Domenico Modugno, Roberto Murolo o Matteo Salvatore, che Profazio, anche durante l'intervista contenuta nel libro "Otello Profazio" della collana "A viva voce" della Squilibri, ritiene fondamentali per la sua crescita.
Egli, in maniera paragonabile a Fausto Amodei ma forse meno cosciente, odiava la parte più melensa e patetica della cultura di massa anni Cinquanta, quella, per intenderci, che ruotava intorno al Festival di Sanremo. Però, e questo non se lo scorda, lui non sarebbe mai potuto diventare un "integrato" nella cultura subalterna: ben presto capì che il suo destino era essere l'anello di mediazione tra la cultura contadina e quella "ufficiale". Suo padre fu il primo ad insegnargli la chitarra, a partire dall'accompagnamento della tarantella "ciarameddara". Da lì, verso i vent'anni inizia a cantare, ed è scoperto da quello stesso Nunzio Filogamo che presentava il tanto detestato Sanremo.
I primi 78 giri sono di quegli stessi anni, ancora di semplice folklore "convenzionale", accompagnato dalla fisarmonica di suo fratello, che gli fa anche i controcanti. A questo periodo risale repertorio come "chiamatimi 'u medicu", "Ch'era cafuni (Lu picuraru)" ecc.
Negli anni Sessanta, entrato alla Fonit, anche se ancora con uno stile semplice, inizia già a mostrare una grossa voglia di polemizzare contro chi tratta il folklore in maniera disonesta, facendo semplici accozzaglie di strofe (lui si definisce un "contenutista", attento più a cosa canta che a come lo canta).
A questo periodo risalgono la serie di 45 giri che confluiranno nell'lp "Calabria", il primo "concept album" mai inciso in Italia, oltre allo sperimentale "Profazio Canta Buttitta". Il "concept album" di cui si è parlato, si intitola "Il brigante Musolino" ed è la narrazione precisa, anche basata su testimonianze dello stesso brigante a Profazio, della vita di questo personaggio dell'Aspromonte, che, per vendicarsi di un torto subito, di un'accusa ingiusta, diventa davvero violento. Però, ed è il caso di dirlo, è quella violenza onesta, un po' alla Winspeare (si pensi alla protagonista femminile di "Galantuomini"). Musicalmente, contrariamente agli Album tematici della musica leggera, è basato sulla ripetizione, con strofe diverse, di tre temi tipici dei cantastorie siciliani classici, a cui Profazio ha sempre detto di ispirarsi. E' un lp di cui non posso fare una recensione piena, perché tengo molto alla qualità di audio dei cd, cosa che, purtroppo, al sud è spesso trascurata (questo "mostro sacro" del nostro folk è ristampato dall'Elca, etichetta locale, vergogna!).
Il disco che, almeno per quanto penso io chiuda il primo periodo, è il non molto digeribile "Profazio canta Buttitta", selezione di poesie del poeta palermitano musicate e "ridotte" da Profazio. A me non viene facile digerirlo, signori, più che altro per una questione d'orchestrazioni: i cantanti-chitarristi, come Otello, non dovrebbero mai essere accompagnati da orchestre che, per quanto leggere, non hanno mai avuto niente a che vedere con il folklore.
Degli anni '70, va ricordato innanzitutto l'epocale "Qua si campa d'aria", il cui brano-manifesto è, con un'ironia ed un mordente senza pari, una denuncia, fra l'altro scritta quasi in lingua italiana, della situazione del sud d'Italia che, conosciuta dai nostri governanti, è da essi da sempre negletta. La ballata, che io con i miei schemi sudamericani definirei "milonga", già, irrimediabilmente, segna il distacco dal profazio degli inizi. Non c'è più l'immediatezza propria di chi coltiva tanti stili insieme, ma c'è una vera e propria maturità piena.
Ormai Profazio può iniziare, anche trasgressivamente per quel periodo, ad alternare lp d'impegno sia contenutistico che strutturale ("L'Italia cantata dal Sud), che comunque non escludono il lazzo e lo spasso ("Poveri e ricchi", "Governo 'taliano" ecc) ed lp spassosi come "Sollazzevole" o "Amuri e pilu" dove si parla dell'amore, sia in senso romantico che in senso "sessuale".
La carriera di Profazio, se la vediamo da un punto di vista di gestione, non è sicuramente tra le migliori, perché, a lungo andare, se non ti vendi non ottieni niente. Profazio, però, avendo coscienza che il ripropositore aveva il dovere civico di ricercare brani, gli anni meno fruttuosi della sua carriera, discograficamente parlando, ossia gli anni Ottanta, li ha dedicati a ricerche spregiudicate non solo in calabria ma anche in Basilicata ed in Puglia. Se si dà uno sguardo al "Fondo Profazio" del neonato Archivio delle Tradizioni musicali della Puglia, tra le persone da cui costui ha imparato dei canti popolari, c'è quel Nicola Arigliano che tutti, o molti, si ricordano come esimio cantante di jazz. Se volete vedere questa e molte altre cose sulla Puglia, andate su www.archiviosonoro.org/puglia.
Tra gli album degli anni Settanta, il periodo sicuramente più fertile per il folklore italiano, nonostante tutta la sua ideologizzazione, vanno ricordati "Storie e leggende del Sud" (serie di affreschi antichi e moderni); "Gesù, Giuseppe e Maria" (album di ispirazione natalizia) e quello che a me manca, quello dedicato alla storia dei "Paladini di Francia" appunto così intitolato.
Negli stessi anni, e nell'archivio pugliese prima citato ce ne è testimonianza, Otello Profazio conduce vari programmi radiofonici tra cui "Quando la gente canta", dove a cantare era "gente comune", o "Il nostro Sud", in collaborazione con il foggiano, altrettanto cantante e chitarrista, Matteo Salvatore.
Degli anni Novanta può essere interessante ricordare l'album "Tangentopoli", con ballate pungenti dedicate ai protagonisti di questo scandalo, ma prevalentemente incentrato sulle "Profaziate", geniali componimenti in rima ed in dialetto che il cantastorie andava pubblicando su "La gazzetta del Mezzogiorno". Non è un lp consigliabile, tantomeno naturalmente da consigliare a chi deve scoprire Profazio, anche perché è troppo presente un'orchestra, ottenuta con tastiere, che è veramente poco simile al "vero" Profazio.
Deludente è anche "Il filo di seta", ripresa spenta di "Amuri e pilu". E' un cd composto da una ventina di brani, che sono, tranne qualche eccezione, canzoni "bonsai".
Un caso a parte, d'altronde è risalente al periodo migliore del calabrese, è la collaborazione nell'lp "Gabriella, i suoi amici e tanto folk!" di Gabriella Ferri. Non è che Profazio stia nelle sue condizioni migliori, perché ho già detto che con orchestra o gruppo egli si trova sempre male, ma comunque c'è ancora una certa atmosfera.
Bruttissimo, anche se lui dice di trovarcisi bene, è il progetto con Daniele Sepe, musicista napoletano che, come tanti ora, sfrutta la tradizione per farne "altro", senza avere l'umiltà di ammetterlo. Il progetto, ora, è sfociato nel cd della "Squilibri" "Gli infedeli".
Per chi volesse conoscere bene Profazio, il mio consiglio è di acquistare, invece, un altro volume della casa editrice romana, intitolato "Otello Profazio", contenente due cd antologici, un'intervista ed una serie di stralci dalle introduzioni ai suoi dischi, curate da alcuni fra i più grandi intellettuali italiani, oltre ad una discografia completa.

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