sabato 2 maggio 2009

Commento alla puntata di "Effetto notte in Italia" del primo di maggio.

Carissimi lettori, ho già commentato una puntata di "Effetto notte inItalia", programma che va in onda su Blusat 2000, ma ce n'è un'altra che voglio commentare. La puntata in questione è quella del primo maggio, che mi permette, cosa che avrei dolcemente voluto evitare, di sentire un po' di canzoncine, più o meno leggere, ed un bel pacchettino di retorica sul lavoro.
La prima riflessione che mi viene, soprattutto riguardante il primo brano, di Pino Marino ed intitolato "Io lavoro", è che, signori miei, la musica leggera, per quanto stupida e nulla a livello di arte, è molto più impegnata del nostro folklore, che, in nome di questa voglia di evadere che ci pervade da sempre, ha sostituito od affiancato la musica tecno, cito la tecno per essere quella che rende più incoscienti tra tutte le musiche indecenti che si producono adesso, nei gusti del popolo. Gli unici che continuano ad usare, in maniera artistica e poetica, la musica popolare (vera) per mandare messaggi sono quei due o tre gruppi di nicchia.
Semplicemente vergognoso, poi, trovo il fatto che si citi una canzone come riguardante il lavoro, solo perché vi si include la frase "Io lavoro". Il brano in questione, se ancora non l'avevate capito, è "Io penso a te" dell'insostituibile, soprattutto se mi si vuole far arrabbiare, Lucio Battisti.
Subito dopo è stata programmata, la stiamo ascoltando adesso, una canzone che si chiama "L'ufficio in riva al mare", scritta da Bruno Lauzi, grande cantautore, e cantata da Antonella Ruggero, ottima interprete. Il brano non è malvagio, per ora è il più bello tra quelli ascoltati, ma non capisco cosa c'entra con una puntata sul lavoro. Certo, è vero, che tutto dipende da ciò che si intende per "programma sul lavoro". Io oggi ho cantato ed ho fatto brani che non passeranno mai per radio, perché non hanno poesia, non hanno autori a cui dare miliardi di diritti. Ecco qua, l'impagabile cliché, del dover far "digerire" ogni cosa al "sistema", che non è stato buttato giù neanche da quel sessantotto, che con tanta violenza e demagogia, diceva di volerlo distruggere.
Mi fa comunque piacere ascoltare la poetica e bella canzone di Fabio Concato intitolata "Oltre il giardino", dove, però, si veicola il messaggio che invece di rivoltarsi contro il destino, che magari ci procura spesso ingiustizie, ci si deve rassegnare. Infatti è la storia di un cinquantenne, che con la massima serenità, riesce a diventare giardiniere, senza apparentemente dire "no" o cose simili.
Un esempio di rivolta, forse, molto mascherata e poeticizzata, si ha in questo rockettino, un po' latino perché noi lo siamo come ho già detto in qualche post precedentemente, dove credo che si parli di qualcuno che, pensate, sciopera (può darsi). Il brano è della Banda Bardò, si intitola "Vento in faccia".
Per dimostrare che questa puntata, come tutte le altre tematiche, è completamente all'acqua di rose, tutti i temi sono "digeriti dal sistema", ecco a voi il grandissimo (completamente "inutile"!) Omar Pedrini con la canzone "Lavoro inutile". Sinceramente, grazie a Dio la stessa Paola de Simone lo ha ammesso, il brano è più su un amore finito che sul lavoro, sullo sfruttamento dei lavoratori o cose simili.
Mi fa male, ma lo voglio dire, la musica più di lotta, oggi, è il rap. Certo, ragazzi miei, non è la musica nostra, quindi io direi che dovrebbe rinascere un cantautorato come si deve. Il brano, sicuramente ben giocato e impegnativo si chiama "Precariato" ed è di Frankie High Energy (scusate per come l'ho scritto, ma questa non è una musica che io ascolto!).
A proposito di precariato, tra l'altro nella scuola, uno degli ambiti più rovinati da questo signor governo, ecco "Sicuro precariato" scritta e cantata da Samuele Bersani, scoperto una ventina di anni fa da Lucio Dalla. La conoscevo già, mi era già piaciuta, soprattutto a livello di testo. Musicalmente, infatti, in nome di quella bellissima opinione che abbiamo della nostra melodia e della nostra identità, questo brano è un rock un po' dark, un po' inglese, insomma moderno ed incantabile. Direi, insomma, che queste saranno anche canzoni sul lavoro, ma solo difficilmente potranno mai essere cantate da dei lavoratori in lotta. Non mi scorderò mai, signori miei, diquel servizio del tg1, dedicato ad uno degli ultimi scioperi della CGIL, dove i lavoratori in lotta cantavano "Tutti c'hanno quarche cosa", brano veramente sul lavoro, quindi, siccome tra l'altro è antico e popolare, ignorato da questa scaletta.
La playlist, scelta sinceramente elaborata con successi più qualche brano sconosciuto per nascondere lo scempio, continua con un brano intitolato "Bum bum", dove si fa riferimento al lavoro, ma è più una filastrocca innocente "Ben fedele al vecchio schemadi non sollevar nessun problema" (Fausto Amodei, "Le canzoni in scatola", da "Per fortuna c'è il cavaliere, già recensito in questo blog. Per trovare il testo di questo capolavoro di poesia, ironia e sagacia e di tanti altri brani del torinese andate su http://www.ildeposito.org/).
Finalmente voglio dire un "bella!" completamente convinto, su questa canzone che sta adesso suonando, intitolata "Pane e coraggio" di Ivano Fossati. E' il grido di un immigrato, uno dei tanti clandestini che ho detto che dovrebbero essere cantati dal folklore, che chiede a questo paese accoglienza. Noi, smemorati come siamo, vendicativi come sempre, invece di essere diversi dagli altri, facciamo passare agli stranieri ciò che abbiamo sofferto noi. Io, ai signori del folk contemporaneo (Rione Junno, Triace, Nidi d'arac, ecc), direi: fate capitale del vero cantautorato e cominciate a raccontare in dialetto, anche con le sonorità elettroniche se vi piacciono, ciò che ci succede ora, senza cantare più questi brani vecchi, che dovete lasciare a chi, molto più coraggioso di voi, magari racconta il presente con le sonorità del passato.
Tornando alla puntata di "Effetto notte", si è sentita una versione terribile di "Chi non lavora non fa l'amore". E' una versione bruttissima, ma effettivamente con lo spirito giusto, completamente qualunquista, perché, anche se il canto è politico (apparentemente), vi giuro che quello di Piotta, tipico ragazzotto romano "de borgata", non è altro che demagogia ipocrita.
Subito dopo, grazie a Dio, è arrivata una versione, bellissima, sinceramente, del brano "Miniera" del 1927, interpretata da Gian Maria Testa. Il brano, ricantato oggi, potrebbe essere veramente dedicato ad un immigrato, di quelli di cui si sta parlando spesso, ormai anche in questo blog, che come avete visto, non è un blog musicale tout court, si parte dalla musica per parlare di tutto ciò che mi interessa e mi preoccupa.
Stiamo ascoltando, adesso, un brano bruttissimo, sguaiato, anche se molto cinematografico, intitolato "Mille euro al mese". E' un gioco, ritenuto forse da qualcuno geniale, fatto da Daniele Silvestri, cantante che ha molti problemi per comporre un pezzo da capo a piedi, quindi si è appoggiato su una canzone degli anni Trenta intitolata "Mille lire al mese". La canzone è penosa perché odio quando una persona, se non lo fa per qualche motivo "speciale" come per cantare una canzone di quella terra, utilizza un accento che non è il proprio. In questo brano, il nostro cantautore raccomandato, utilizza in maniera sguaiata, ed oserei dire irrispettosa, l'accento barese, ritenuto da molti comico ma che a me fa semplicemente vomitare (non se ne abbiano i baresi). Io amo molto di più quelle persone che dicono che nel Sud Italia (od in qualsiasi posto), se tu te lo crei il lavoro c'è sempre. Un conto è poi se uno decide di vivere altrove, per motivi magari legati alla sua personalità ed i suoi interessi, ma non concepisco che si vada via dalla propria terra solo per cercare lavoro.
Alla fine di questo programma, ripeto quello che ho già detto nell'altra occasione: non se ne può più. Non amo la presunzione di questa gente, di questi media, che credono di fare una trasmissione dedicata ad un tema, mentre fanno trasmissioni dedicate ad un punto di vista (per quanto sfaccettato) su questo stesso tema.
Sinceramente, lo dico senza pudore, avrei almeno gradito una "Saluteremo il signor padrone", classico indiscusso dei "canti di lavoro", anche nella terribile versione di De Gregori e la Marini. Stavo dimenticando, però, che queste non sono canzoni sul lavoro, ma veramente "canti di lavoro" per di più utilizzati dai lavoratori in lotta, quindi fanno paura.

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