martedì 12 maggio 2009

I Canti de 'na fiata" ed altre storie.

Carissimi lettori, mi va questa sera, rimanendo in tema salentino, di elogiare un cd ed un gruppo non molto conosciuto, di cui non ho neanche sentito parlare i "puristi" di http://www.pizzicata.it/.
Il gruppo in questione si chiama Agorà, è originario di Specchia, paesino del basso Salento, ed il cd di cui voglio particolareggiatamente parlarvi, dopo averlo già citato qualche altra volta come esempio di riproposta da me apprezzata, si intitola "Canti de na fiata". Credo che, in questo periodo in cui si pensa che senza rinnovare ed innovare il repertorio della tradizione non si fa niente di interessante, questo disco sia uno dei più folgoranti esempi del contrario. Non vi preoccupate, che come ogni opera umana non è perfetto, e non pensate che non ci abbia trovato difetti.
Intanto, direi che il titolo, per le ragioni citate sopra è provocatorio, perché, e si potrebbe decodificare con una semplice riminiscenza dantesca, significa "Canti di una volta". Non è, signori, uno dei tanti esempi di disco pseudotradizionale o con brani che di tradizionale hanno ben poco, è il secondo album di un gruppo che, con estrema coerenza, esegue solamente "canti antichi" (purtroppo non so con quanta bravura, dato che non ho mai visto un loro concerto dal vivo).
Io conobbi questo gruppo moltissimo tempo fa, prima di venire per la prima ed unica volta in Puglia, perché mi avevano regalato il loro primo ed unico disco uscito sino ad allora, il pregevole "Canti antichi" sopra citato. Questo, e lo dico subito, non fu un cd che fece scoppiare in me una grossa passione, ma mi fece stimare il gruppo, che da ricerche effettuate anche in posti dove si vendeva la musica popolare, mi riferisco al Salento ovviamente, mi risultò essere uno dei meno conosciuti.
Per circa tre anni, fino all'anno scorso, non ebbi occasione di cercare loro notizie. Sono stata piacevolmente riportata sulla buona strada dal programma della Notte Della Taranta, che in una delle serate "premelpignanesche", li vedeva copartecipare addirittura insieme a quello che io ritengo il migliore gruppo di musica popolare salentina: gli Zoè! Portata da questo e da un piacevolissimo sospetto, sono passata sul loro sito, http://www.agoracantiantichi.net/, ed ho sentito alcuni pezzettini dei "Canti de na fiata". Dico sinceramente, signori miei, questo gruppo ha avuto la virtù di migliorare invece di peggiorare. Il cd, e questo è uno dei motivi che lo rende bello, ha la collaborazione del grandissimo Carlo "Canaglia" ai tamburi, e conta nel suo organico con un mandolino magico, che dà sicuramente quella cantabilità, che manca a qualsiasi chitarra solista.
La prima traccia del cd, quella che mi ha fatto venire la prima, istintiva ed irrefrenabile voglia di averlo, è una bellissima, semplice e festosissima versione di "Quantave". Mi si potrebbe replicare, e già vedo chi lo fa, che è un brano sfruttato, che come lo fanno gli Agorà, ossia a pizzica, ce lo fanno tutti, oltretutto la versione "di campo" è lenta. La versione tradizionale io la conosco bene, ma suonata in quel modo, con quell'immediatezza, con quella voglia di coinvolgere la gente non in pogopizzica ma in ballo spontaneo, beh è assolutamente tra le poche versioni che si possano ascoltare.
L'unico neo, ed è grosso e generale rispetto al cd, è la voce della donna che canta. L'ho già detto, ma a me piace ripetere le cose dove serve, la riproposta deve essere intonata, anche chi fa musica popolare deve riconoscersi in standard di "accordatura" di nota moderni, ovvio non si deve arrivare agli estremi della Notte Della Taranta dove la pizzica si canta come musica leggera, ma si dovrebbe utilizzare la "filosofia di canto" degli anziani in modo moderno (c'è già chi lo fa, Cinzia Marzo in primis). La voce femminile, elemento a cui io do un'importanza particolare, perché credo in una certa "femminilità" insita nella musica salentina, purtroppo è stonata, non perché abbia studiato le emissioni tipiche salentine, ma perché lo è e punto. Comunque, a me il brano piace ed ha una "festosità" unica. Vi posso giurare che io, che non sono una che si fa "cotulare lu pete" (muovere il piede) dalla qualsiasi, mi butto in balli sfrenati da seduta, che farebbero invidia ai migliori ballerini.
Il secondo brano, uno dei motivi che mi fa ritenere questo cd un gioiello, è un valzerino intitolato "Beddha ci dormi". E' un canto che non credo sia stato molto riproposto, meno ancora in veste rispettosa. Io l'avevo sentito per la prima ed unica volta, e ve la voglio raccontare, ad un concerto di un gruppo chiamato Orchestrina salentina (che tra l'altro ha una delle più belle voci di basso popolare di tutto il Salento). A fine concerto, mentre parlavo con il chitarrista, lui, sconvolto ed inorgoglito dal fatto che io sapessi tutto ciò che so sulla musica della sua terra, mi ha detto, con un'aria quasi di sfida: "Non mi dire che conoscevi anche quella con cui abbiamo aperto il concerto!". Io, che ho una calamita nei confronti degli inediti sentiti live, gli dissi che non la conoscevo e che mi aveva colpito. Sono restata, durante tutto il periodo di attesa dei "Canti de na fiata", a sprecare il fiato per maledirmi del fatto di non aver neanche tentato di registrare il concerto del gruppo citato. Devo dire che la versione degli Agorà è molto peggiore rispetto a quella che avevo sentito in precedenza, ma comunque il paragone è fatto tra due cose belle. Qui, l'unica versione che esiste su disco in mio possesso perché l'Orchestrina salentina di fare dischi non ne vuole sapere, è molto popolaresca, ed è cantata, nonostante che come "Quantave" parli chiaramente dal punto di vista maschile, dalla donna. So che la tradizione non si fa di queste remore, ma io, che vengo da una serie di esperienze d'ascolto legate a musiche dove questo ha molta importanza, come il fado portoghese, ci tengo.
Venendo tecnicamente al brano, è molto popolare, e forse si rispetta poco l'anima di serenata, si fa troppa festa, anche grazie ad uno strumento (che non so se siano nacchere o cucchiai), che fa uno stranissimo e abbastanza pesante rullato, che va credo in controtempo rispetto al tamburello, che comunque, come è consuetudine degli Agorà, non batte mai troppo forte.
Subito dopo troviamo un brano di cui io possiedo svariate versioni in vari dialetti, dal romano al calabrese, intitolato "La zita". E' un'elencazione, spero esagerata, dei piatti che si potevano mangiare nei luculliani matrimoni contadini o immaginati da questo nobilissimo gruppo sociale. La versione degli Agorà, come è giusto che sia, è a pizzica, e vi si trova un punto, l'ultimo, dove, dato che alla sposa era passato l'appetito, si mette piacevolmente a letto con il suo maritino nuovo di zecca. Anche questa, ma non ho niente da ridire, è cantata dalla voce femminile, o meglio da una delle due voci femminili del gruppo.
Dopodiché, per continuare e non esaurire la serie di brani che mancavano alla mia buona collezione di musica popolare salentina, arriva "Ninella de Calimera", che gli agorà tarantano ma non troppo, resta il ritmo alla Ucci maniera (che ho conosciuto dopo), fa capolino solo una bellissima e semplicissima ma poco usata terzina scandita lentamente. Giusto per dimostrare che gli Agorà hanno perso il difetto di copiare dagli altri (nel cd precedente c'era una "Santu Paulu" che aveva un vocalizzo come chiusura, che a chi è un minimo edotto di "Officina", puzzerebbe di imitazione), le strofe non sono quelle degli Ucci, ma sono liberamente mischiate, rigorosamente prese dalla tradizione perché il gruppo fa canti antichi, ma messe insieme con personalità. Qui fa capolino una voce maschile, che come tutte quelle del gruppo è tutto meno che perfetta. Lo stile del gruppo non mi viene di descriverlo, perché è abbastanza scontato per chi fa musica popolare, ma preferisco questo a molti lavori di gente che si ritiene innovatrice e distrugge tutto! (Alla Bua questa è anche per voi!).
Subito dopo arriva "Lu rusciu de lu mare", che il gruppo ha saggiamente diviso in due tracce, così ognuno si ascolta quello che più gli aggrada. La versione prescelta è quella in minore in tutti due i casi, ma la prima parte è lenta ed anche un po' sofisticata, (forse non c'entra niente con lo stile del gruppo), mentre la seconda, pizzica travolgente e dolce, è completamente compatibile con lo stile degli specchiesi.
Venendo tecnicamente alla descrizione breve della prima delle due tracce, si può dire che è quella più originale, più lontana quantomeno dai modelli che conosco. Ha un ritmo inclassificabile, ed è accompagnata semplicemente da una chitarra acustica, una tammorra che entra in modo libero in corrispondenza di una determinata parte della scansione ritmica, ed un mandolino che tra strofa e strofa ricama un semplicissimo giro, il cui modello è probabilmente la già citata "Officina". Come sempre quando la si esegue in due parti, la strofa mancante dalla prima è quella che io amo di più: "E vola vola vola palomma vola,
e vola vola vola palomma mia;
ca ieu lu core meu te l'aggiu dare".
La seconda parte, quella che io preferisco, conservando il giro di mandolino della prima, arricchisce notevolmente il bagaglio di strumenti con cui è eseguita, diventando una normale, semplice e coinvolgente pizzica. Per quanto riguarda le strofe, poi, va detto che il canto, non mi ricordo chi l'avesse già fatto ma ne ricordo un esempio, invece di partire con la strofa che comunemente da inizio al brano, parte da "Lu rusciu de lu mare...".
Subito dopo, carissimi alfieri della necessità di innovare ad ogni costo il repertorio, arriva un pezzo che voi detestate: il "Fior di tutti fiori". Fate come vi pare, ma io l'adoro, e questa versione è tra le migliori, anzi la migliore che io abbia mai potuto sentire. Gli Agorà non hanno voluto "strappare" niente a questo canto (Zoè: cosa avete fatto a questo brano in "Crita"? L'avete solo appesantito, anche se così mi avete fatto venire un'idea di rielaborazione diversa). Così come era "'na fiata", gli Agorà ce lo restituiscono con lo stesso ritmo, la stessa melodia, le stesse strofe, solo accompagnato dagli strumenti, che per il solo fatto di suonare spessissimo tutti insieme, arrivano ad avere un ruolo innovativo, finalmente preponderante, senza le esagerazioni di cosiddetti gruppi innovatori o contaminatori, spessissimo disonestissimi. Trovo mirabile, oltretutto, il fatto che la voce principale, un giovane che come tutti gli Agorà non è perfettamente intonato, si lasci rispondere dagli altri, che fra l'altro si fanno controcanti di una bellezza che veramente qualcuno se li dovrebbe imparare a memoria.
Il brano successivo, un po' malizioso certamente, mancava nella mia collezione di brani riproposti,. Penso, oltretutto, che l'unico che avesse fatto un tentativo di rielaborarlo, si intende a parità di melodia e quasi parità di testo, fosse stato il calabro-siculo, legato alla Puglia da notevoli rapporti di ricercatore sul campo, Otello Profazio (il brano si trova nel disco "Il filo di seta" e si intitola "Quannu l'aceddrhu pizzica la fica"). Se Profazio, al solito suo ne fa una versione "confidenziale", voce e chitarra, il gruppo salentino la riporta verso gli stilemi più propriamente legati alla salentinità, mettendoci però uno sguaiatissimo tamburello (quando non si fanno le pizziche si dovrebbe usare la tammorra muta!). Per il resto il brano, interpretato anche qui da una delle due voci femminili, è molto piacevole.
il prossimo brano, "L'acqua de la funtana", mancava completamente alla mia collezione, e posso affermare di non averlo praticamente mai sentito prima di avere il disco, se non al già citato concerto dell'Orchestrina salentina, fatto in una versione tamburelli e voce, con un numero imprecisato di membrane e cimbali che suonavano, di mani che battevano sui tamburi, talmente forte da farmi venire il mal di testa (e ce ne vuole!). La versione degli Agorà, signori miei, invece, è piacevolissima, un po' sguaiata, ma nel Salento, se noi paragoniamo la "riproposta" ad una tavola, c'è chi si mette completamente a destra, (mettiamo i contaminatori che m'hanno stancato modello Mascarimirì), e chi si mette a sinistra (chi imita gli anziani, tipo gli Agorà). Io, signori miei, non condivido nessuno di questi due approcci, ma, per fare un paragone politico, preferisco Diliberto a Storace! A me, l'ho già detto ma sono un mulo che ogni tanto si inceppa, piace chi sta in mezzo, ossia quelli nel cui lavoro tu non riesci, se non a costo di ridurne l'entità od il valore, a capire dove sta la tradizione o la modernità (mi riferisco agli Zoè di "Crita" e "Live in Japan").
Subito dopo arriva "aremu rendineddhamu", brano che, come molti in griko, è diventato tradizionale, anche se forse ha l'autore (non lo so ma mi suona di sì). La versione degli Agorà è un po' troppo veloce, troppo valzerata, troppo tamburellata (vedere sopra su come credo si dovrebbero fare i ritmi ternari lenti). La cosa che mi manda in bestia, però, è soprattutto il fatto che i cantanti, scordandosi completamente del testo che cantano (che è un'invocazione all'inseparabile rondinella affinché ci racconti un po' la sua storia ed i suoi voli), si gettano in canti quasi goliardici, come se stessero "'ntr'a 'na putia" (in un'osteria). Posso giurarvi che, è molto ma molto più espressiva, la versione data dai "Cantori di Martano" nel dvd "Cu li trapassa l'anima e lu core": loro, perlomeno, da anziani e grikofoni quali sono, ci mettono anima!
Eccoci qua ad un'altro brano fra i meno carini del cd, non perché sia suonato male, ma perché c'è troppo poco gioco di dialogo tra l'uomo e la donna. E' un brano erotico, come mi ha fatto notare una mia amica potrebbe essere presentato come "La cammesella" al contrario. Se, infatti, nel brano campano d'autore è l'uomo a pregare la donna di spogliarsi mentre questa si rifiuta, nel Salento la donna, per ottenere che l'uomo lasci perdere l'aratro e la terra deve promettere di fargli vedere "Lu tuttu tuttu". Ho già detto che le voci degli Agorà non sono il meglio che c'è in giro, e su questo brano si sente. E' comunque interessante per certe tecniche d'esecuzione (sia del tamburello che della fisarmonica), ma la migliore versione, forse lo dico perché fino all'acquisto del cd di cui parliamo era l'unica che conoscevo, è quella contenuta in "Serenata" del (vero) Canzoniere Grecanico Salentino. Divagazione: lì c'è di geniale, ed è questo che me la fa amare molto, la teatralità che Durante, una delle più brutte voci del Salento, mette nel suo dialogo: non si limita semplicemente a cantare le risposte, emette delle interiezioni e degli incitamenti all'animale che lo deve aiutare ad arare, che sono completamente geniali. Ultimissima: a parte questo brano, almeno per me, il cd del Canzoniere è completamente inascoltabile!
C'era una volta una persona che diceva di volermi bene, il problema è stato che me lo ha voluto dimostrare, consigliata fra l'altro dalla mia negoziante di fiducia, regalandomi il cd, che ovviamente era anche corredato di un fantasticissimo dvd, del Concertone della stupendissima Notte Della Taranta 2003. Io, va da sé, dopo il primo ascolto, che tentai di fare impietosita e perché "a caval donato non si guarda in bocca", gettai quel cd nell'oblio più completo (sto aspettando forse segretamente l'occasione per liberarmene, ma io non voglio male a nessuno). Tra i brani che l'anglo-melpignanese prendeva di mira, c'era anche questao, che si intitola "Lu ballu", per lo meno in "Canti de na fiata". E' la storia di una ragazza che, innocentemente, si giustifica e tenta di non andare a ballare. Io dico una cosa: le contaminazioni alla Copeland, ovviamente avrete capito che si sparava su quella crocerossa, non solo rovinano e massificano il nostro folklore, che già di per sé è un fatto grave, ma ci fanno perdere l'innocenza, che noi, anche come forma di lotta culturale, dobbiamo tornare a coltivare.
Il brano successivo, in maniera lapidaria, lo potremmo commentare con un "Buonanotte decenza!". Va detto, e chi mi conosce lo sa quanto sono arrabbiata con i salentini su questo, che giù nessuno me lo fa come lo vorrei io. Chi ha già letto i miei articoli, potrebbe aver anche il sospetto che si sta parlando di "Cali nitta" (lo scrivo alla Agorà). Questa versione, simile a quella degli Aramirè, suonata solo un pizzichino meglio, è veramente sguaiata, anche perché, e l'ho sempre detto, le voci non sono la caratteristica portante degli Agorà. E' cantata dalla voce femminile più giovane, che tra l'altro pare forsi molto per cantare in re minore, tonalità del brano, ma non mi dà nessuna emozione.
Penultima traccia è "L'uccellino della cummare", fatta con un ritmo miscuglio tra pizzica e ritmi binari (marcettine e simili). Non si poteva usare una tammorra muta? Sì! Il brano, come tutti quelli cantati in italiano accompagnati da strumenti del Sud, mi fa un pochinino "stizzare".
Il cd, però, fortunatamente si chiude alla grande, con una carinissima filastrocca calabrese, eseguita con una terzina non so quanto fidedigna, ma che permette ai tamburellisti improvvisati di avere il piacere di trovare qualcosa di veramente difficile, che li potrebbe obbligare a darsi una calmatina. Come tutte le filastrocche non si può descrivere, quindi non vi posso dire altro.
Spero di avervi fatto venire voglia di scoprire un paio di gruppi salentini non molto conosciuti, giusto per dimostrare che dalla tradizione non si prendono solo melodie fritte e rifritte.
Ultimissima: se un brano che conosco già mi viene suonato meglio di come l'avevo sentito prima, a me ancora riesce ad emozionarmi. Se voi, signori salentini diventaste così, vi divertireste sicuramente di più, e non fareste di "pizzicata" un covo di "cruscanti" della tradizione o della contaminazione.

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