Carissimi lettori, ecco a voi il commento all'ultima puntata del ciclo su Pasquale Cinquegrana di "Canzonenapoletana@rai.it".
Si inizia l'ultimo periodo della produzione di Cinquegrana, con questa tarantelluccia sfiziosa, musicata da Vincenzo di Chiara, fabbro e mandolinista autodidatta, intitolata "Rosa rusella".
La rosa in questione, ovviamente, è una donna, a cui, con queste parole sicuramente rispettose e galanti, l'uomo dichiara il proprio amore. Il cantante è Ferdinando Rubino, tenore "leggero" di notevole grazia. Non so da chi altri sia stato inciso, infatti è un pezzo che mancava alle mie conoscienze.
Arriviamo al 1911, anno a cui risale questa "'A voce 'e maggio", altrimenti conosciuta come "'A testa aruta".
La musica è di Rodolfo Falvo, noto per aver composto brani come "Guapparia". Anche questo brano, interpretato qui da un duetto, è una tarantella "intiepidita" da numerose pause e cambi di tempo. La musica è più solenne e meno leggera rispetto a quella della precedente canzone.
Il testo, purtroppo, non è codificabile da questa versione che, al contrario del brano di Ferdinando Rubino, si sente molto male.
Si continua poi con "Vicariello apecondruso", risalente al 1912. E' un brano in tempo binario, la cui musica è di Oscar Cattedra. Vi si trova una caratteristica comune anche a molta musica popolare contadina antica, l'alternanza tra accordi maggiori e minori. L'interpretazione è di Diego Giannini, e anche qui si sente male il testo.
Ma eccoci tornati verso Eduardo di Capua, autore della musica di questa "Duorme Marì", brano a tempo di Habanera, sempre risalente al 1912. E' un brano dove, da quello che mi pare di capire nonostante l'audio terribile, nel ritornello si chiede all'innamorata di non svegliarsi, ma nella seconda strofa si dice esattamente il contrario.
E' del 1913 "Rusinella 'e Margellina", sempre in tempo binario. Il cantante, un tenore, ha una voce abbastanza meno impostata rispetto alle abituali timbriche dei cantanti dell'epoca.
Del testo si capisce pochissimo, perché, come sempre, sono incisioni d'epoca, messe, tra l'altro, con dischi d'epoca.
Ed eccoci ad una "barcarola" composta nel 1914, che, secondo Pietro Gargano e la sua "Enciclopedia illustrata della canzone napoletana", è l'ultimo successo scritto da Cinquegrana. Si chiama "Voca e canta" ed è cantata da Giuseppe Godono, tenore di potenza veramente notevole. Il brano, in verità, si divide in due parti, ma non riesco a descrivervelo bene.
Adesso si sta ascoltando la cosa più inascoltabile mai sentita da me: "'E femmene belle", brano scritto nel 1917 da Cinquegrana e musicato da Eduardo Migliaccio, "Farfariello", pioniere della canzone italo-americana. La melodia si intuisce bellissima, e si capisce anche che si alternano accordi maggiori e minori, ma, vi giuro, non si può dire di più.
Spero che vi siano piaciuti questi commenti a Cinquegrana, non vi preoccupate che, cambiando autore, si continuerà ancora!
domenica 22 novembre 2009
domenica 15 novembre 2009
Commento alla puntata del 15 novembre 2009 di "Canzonenapoletana@rai.it".
Carissimi lettori, ecco qui il commento alla terza puntata del ciclo su Pasquale Cinquegrana di "Canzonenapoletana@rai.it".
La puntata precedente si era conclusa con Nicola Maldacea, anche questa ci comincia. Il brano è una macchietta, già strutturata ormai nella forma che le conosciamo, ossia come ritratto di un "tipo", in questo caso "'O tranviere".
La musica di questa macchietta è di un certo Faini, che ha trovato una di quelle melodie da cinema muto, che stanno bene a questo genere di canzone.
Anche qui, come sempre, c'è comunque un certo riferimento alla politica, in particolare al socialismo.
Anche questa puntata, e forse non poteva essere altrimenti, continua con un brano del repertorio da "piazza", cioè appannaggio dei posteggiatori, del poeta napoletano. Il brano, "Fenesta 'ntussecosa", è interpretato, in incisione d'epoca, da un notevole gruppo chiamato I figli di Ciro.
E' una canzone caratterizzata da quel ritmo di habanera che si sposa benissimo con il napoletano dolce, di quando ancora non lo si mutilava per fargli imitare modelli stranieri. Di questo brano, secondo me, notevolissima è la versione di Mario Abbate.
Ora stiamo ascoltando una versione storica, anche se non risalente all'epoca di composizione del brano, di "Napule bello", brano con cui Cinquegrana e Di Gregorio riuscirono a battere in un concorso la più blasonata e famosa "'O sole mio". Il brano è molto sfizioso, ma la versione che stiamo ascoltando, forse caratterizzata da note troppo lunghe e da troppe pause, fa perdere molta allegria. Gli interpreti, Elvira Donnarumma e Roberto Ciaramella, sono tra i più importanti cantanti degli anni '20 e '30 napoletani. Da ascoltare, secondo me, sono le versioni di Franco Ricci, anni '50, Bruno Venturini, anni 2000, e Antonello Rondi, che non so in che epoca abbia inciso il brano.
Subito dopo ascoltiamo, dalla voce tenorile e potente di Diego Giannini, una canzone a me sconosciuta scritta dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, intitolata "Luntananza amara". E' una marcetta che, credo, parli d'amore. E' incisa con una chitarra ed un mandolino, che dànno una grande atmosfera, ma non vi posso dire di più perché l'incisione è disastratissima.
Ed eccoci ad una macchietta risalente agli inizi del '900, intitolata "'A cura 'e mammà".
L'incisione, degli anni '50, probabilmente, è praticamente completamente recitata, e queste, come ho già detto, sono le migliori interpretazioni dei brani comici.
Notevole, sempre in duetto, come questa di Agostino Salvetti e Tecla Scarano, quella di Mario Pasqualillo e Pina Lamara. Tra le interpretazioni singole, anche se sono di minor impatto, notevoli sono quelle di Roberto Murolo in "Come rideva Napoli (1967) e Bruno Venturini ("Antologia della canzone napoletana", 2004).
Chi crede che il cinema americano si sia inventato qualcosa con il concetto di sequel, si potrebbe ricredere ascoltando questa macchietta intitolata "'O figlio d'o tenore", seguito di una macchietta di Ferdinando Russo, unico autore che competeva con Cinquegrana in questo genere, intitolata "'O tenore 'e grazia".
Il brano è una sfiziosissima presa in giro dei tenori di forza, ma è molto specifico, usa molto gergo lirico, quindi è difficilissimo da capire.
Ed eccoci all'ultima canzone della puntata, la macchietta "'A figlia rosa", musicata da Giuseppe Giannelli ed interpretata da un duetto. E' una sfiziosissima tarantella, come spesso sono le macchiette, ma si incrina spesso, tramite l'uso delle pause, che obbliga ad una "cultizzazione" del ritmo.
Spero che vi sia piaciuto il commento a questa puntata, e spero che qualcuno voglia riscoprire la macchietta napoletana.
La puntata precedente si era conclusa con Nicola Maldacea, anche questa ci comincia. Il brano è una macchietta, già strutturata ormai nella forma che le conosciamo, ossia come ritratto di un "tipo", in questo caso "'O tranviere".
La musica di questa macchietta è di un certo Faini, che ha trovato una di quelle melodie da cinema muto, che stanno bene a questo genere di canzone.
Anche qui, come sempre, c'è comunque un certo riferimento alla politica, in particolare al socialismo.
Anche questa puntata, e forse non poteva essere altrimenti, continua con un brano del repertorio da "piazza", cioè appannaggio dei posteggiatori, del poeta napoletano. Il brano, "Fenesta 'ntussecosa", è interpretato, in incisione d'epoca, da un notevole gruppo chiamato I figli di Ciro.
E' una canzone caratterizzata da quel ritmo di habanera che si sposa benissimo con il napoletano dolce, di quando ancora non lo si mutilava per fargli imitare modelli stranieri. Di questo brano, secondo me, notevolissima è la versione di Mario Abbate.
Ora stiamo ascoltando una versione storica, anche se non risalente all'epoca di composizione del brano, di "Napule bello", brano con cui Cinquegrana e Di Gregorio riuscirono a battere in un concorso la più blasonata e famosa "'O sole mio". Il brano è molto sfizioso, ma la versione che stiamo ascoltando, forse caratterizzata da note troppo lunghe e da troppe pause, fa perdere molta allegria. Gli interpreti, Elvira Donnarumma e Roberto Ciaramella, sono tra i più importanti cantanti degli anni '20 e '30 napoletani. Da ascoltare, secondo me, sono le versioni di Franco Ricci, anni '50, Bruno Venturini, anni 2000, e Antonello Rondi, che non so in che epoca abbia inciso il brano.
Subito dopo ascoltiamo, dalla voce tenorile e potente di Diego Giannini, una canzone a me sconosciuta scritta dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, intitolata "Luntananza amara". E' una marcetta che, credo, parli d'amore. E' incisa con una chitarra ed un mandolino, che dànno una grande atmosfera, ma non vi posso dire di più perché l'incisione è disastratissima.
Ed eccoci ad una macchietta risalente agli inizi del '900, intitolata "'A cura 'e mammà".
L'incisione, degli anni '50, probabilmente, è praticamente completamente recitata, e queste, come ho già detto, sono le migliori interpretazioni dei brani comici.
Notevole, sempre in duetto, come questa di Agostino Salvetti e Tecla Scarano, quella di Mario Pasqualillo e Pina Lamara. Tra le interpretazioni singole, anche se sono di minor impatto, notevoli sono quelle di Roberto Murolo in "Come rideva Napoli (1967) e Bruno Venturini ("Antologia della canzone napoletana", 2004).
Chi crede che il cinema americano si sia inventato qualcosa con il concetto di sequel, si potrebbe ricredere ascoltando questa macchietta intitolata "'O figlio d'o tenore", seguito di una macchietta di Ferdinando Russo, unico autore che competeva con Cinquegrana in questo genere, intitolata "'O tenore 'e grazia".
Il brano è una sfiziosissima presa in giro dei tenori di forza, ma è molto specifico, usa molto gergo lirico, quindi è difficilissimo da capire.
Ed eccoci all'ultima canzone della puntata, la macchietta "'A figlia rosa", musicata da Giuseppe Giannelli ed interpretata da un duetto. E' una sfiziosissima tarantella, come spesso sono le macchiette, ma si incrina spesso, tramite l'uso delle pause, che obbliga ad una "cultizzazione" del ritmo.
Spero che vi sia piaciuto il commento a questa puntata, e spero che qualcuno voglia riscoprire la macchietta napoletana.
venerdì 13 novembre 2009
Gianni Morandi "Canzoni da non perdere"
Carissimi lettori, oggi scrivo due articoli di cui sono particolarmente felice, dirò di più, del primo cd che recensirò mi sento un po' responsabile, perché è un disco in cui Gianni Morandi, grandissimo interprete della canzone italiana, fa un omaggio a canzoni che lui ha amato molto e che stanno molto bene nella sua voce.
Il cd, che è uscito questa mattina, è nato, anche, da una mia provocazione al cantante di Monghidoro, in occasione di un nostro incontro qui a Perugia, prima del primo dei due concerti acustici tenuti con il suo teatro tenda.
Venendo al disco, intitolato "Canzoni da non perdere", è una serie di rifacimenti, molto rispettosi, di brani negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. La prima canzone è "Inevitabile follia", forse la più bella canzone di Raf, tratta dal suo primo repertorio. La versione di Morandi è talmente perfetta che, se non si sa di chi è, si potrebbe pensare che il brano sia un inedito.
Subito dopo si omaggia la canzone vincitrice del Sanremo 1982, quella "Storie di tutti i giorni", cantata da Riccardo Fogli. L'arrangiamento elettrico ma senza elettronica, rispetto all'originale, tipicamente infarcito invece di strumenti "sintetici", dà maggior forza a questo brano che, se paragonato a brani classici di Morandi, potrebbe ricordare canzoni come "Solo all'ultimo piano" o comunque quei ritratti quotidiani che il cantante ora ama molto.
Ed eccoci ad "A te", grandissimo successo di Jovanotti, tratto dal cd "Safari". L'interpretazione di Morandi, permette al brano di acquistare quella melodicità "naturale" che, per quanto il toscano si impegni a cantare, non avrà mai perché per cantare veramente melodico bisogna avere una buona voce.
Ed eccoci a "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato, tratta da un lp che, nonostante i suoi quasi trent'anni di vita, continua ad esercitare una grandiosa attrazione, anche per i miti che esso traduce modernamente ("Sono solo canzonette", dedicato alla favola di Peter Pan).
Se vogliamo trovare un collegamento morandiano, si potrebbe anche pensarla come una gemella lontana di "C'era un ragazzo", per l'anelito, per nulla mascherato anche se non specifico, all'assenza di guerre dal mondo.
Se devo descrivere questa versione, suona un po' strana, ci si deve fare l'orecchio ma è bella, anche perché questo è un brano a cui io sono profondamente legata, come a tutto l'lp di Bennato. L'arrangiamento rafforza l'anima country, che è ancora rappresentata da un violino, che sostituisce l'armonica, strumento abbastanza estraneo a Morandi, se non fosse per gli assoli di "Sono un treno".
E si ritorna alle melodie altrui che potrebbero essere state scritte benissimo per Morandi. Si parla, in questo caso, di uno dei gioielli assoluti dell'ultima produzione di Antonello Venditti, la struggentissima "Ogni Volta". Il brano, bellissimo, ha rappresentato per il cantautore romano, l'ultimo brano melodicamente tradizionale, prima della fase sperimentale plasmata dal cd "Goodbye n9ecento", che a sua volta è stato già superato.
Arriviamo al brano che ci ha fatto sapere, qualche settimana fa, che questo cd ci sarebbe arrivato tra le mani. E' un'ottima interpretazione di "Tu sei l'unica donna per me", brano romantico di Alan Sorrenti, cantautore napoletano dalla voce falsettata, che forse non riusciva, e non riesce, a rendere giustizia a questa melodia che, seppur un po' ristretta, gode di ricchezza. L'interpretazione di Morandi, con le sue leggere incrinature, così tipiche di certo canto del monghidorese, riesce a tradurre perfettamente la felicità che, nonostante la paura che si ha della fine dell'idillio amoroso, riempie il brano.
Una mensione va fatta agli arrangiamenti, che non contemplano quasi strumenti elettronici, lasciando spazio alle sonorità acustiche ed elettriche, che sono sicuramente più gradevoli, ma sono spesso ritenute banali.
Ed ecco l'omaggio che Morandi fa ad un artista che esordì qualche anno dopo di lui, il cantante di Poggio Bustone Lucio Battisti.
Il brano che Morandi sceglie di ricantare è famoso, ma forse non come "Pensieri e parole" od "Emozioni". E' un interessante pop-valzer intitolato "Perché no". Anche qui si trova questa sensazione di felicità profonda, data da questi programmi strani di cui il testo di Mogol parla in maniera così rilassata. Da notare è l'uso del falsetto, completamente ricalcato d'altronde dalla versione originale, poco tipico in Morandi, ma comunque presente nella sua personalità canora.
Ed ecco "Fiore di Maggio", uno dei brani a cui sono più legata del repertorio di Fabio Concato, perché l'album originale mi fu regalato, in cassetta, quando facevo la scuola materna (ebbene sì, io già ascoltavo musica!).
La tenerezza che Concato riserva alla figlia, per la cui nascita fu scritta questa canzone, Morandi la "sporca" un po', senza però mai incrinarsi esageratamente, conservando sempre questa intimità favolistica così bella.
E come poteva mancare un omaggio a Lucio Dalla, compagno di così tante avventure, non ultima quel bellissimo "Dalla-Morandi" che ha cullato, insieme a tante altre cose, la mia musicalissima infanzia?
L'omaggio viene fatto attraverso uno degli ultimi gioielli della produzione del bolognese, una versione, forse poco rispettosa perché infarcita di suoni elettronici, ma comunque bella, di quel capolavoro di tenerezza che è "Tu non mi basti mai".
Forse, anche per la provenienza da zone vicine di autore e cantante, questo è uno dei brani più riusciti del cd.
Compagno d'avventura di Lucio Dalla è stato anche Francesco de Gregori, a cui Morandi fa un bellissimo omaggio, con l'interpretazione di "Rimmel", una delle canzoni più famose del cantautore romano, che qui, dopo essere stata per circa trentaquattro anni (tanti ne sono passati dalla pubblicazione dell'lp omonimo di De Gregori che la conteneva!) di dominio assoluto della chitarra, nella prima parte del brano, si trova una predominanza del pianoforte. L'anima più rock, impressa dalla presenza della chitarra elettrica distorta, non distoglie assolutamente questo brano dal suo essere una ballata romantica e country, genere che è sempre stato nelle corde del De Gregori.
Ed eccoci ad un altro "classico della tenerezza", scritto questa volta da Claudio Baglioni, altro grande esponente della scuola romana dei cantautori.
Il brano, "Avrai", ha una melodia molto aperta che permette, sia a Baglioni che a Morandi, che d'altronde hanno due delle voci più estese attualmente ascoltabili nel panorama della musica leggera italiana, di esibirsi in maniera piena.
Ed eccoci ad uno dei classici indiscussi degli anni '80, "Luna", scritta dal cantautore toscano Gianni Togni.
Morandi, come si è già detto per altri brani, si è limitato solo ad attualizzare l'arrangiamento strumentale, perché, e questo gli va riconosciuto, è cosciente che si tratta di canzoni che non gli appartengono del tutto, ed oggi, basta vedere altri dischi di cover per capirlo, chi ha questa coscienza fa parte di una sparutissima élite! (Trovo brutta, ad esempio, la cover di "Meraviglioso" di Domenico Modugno eseguita dai Negramaro, con l'armonia stravolta ogni tanto ed il ritmo completamente diverso).
Gli ultimi due brani sono inediti, o meglio uno faceva già parte del precedente cd di Gianni Morandi, il già qui recensito "Grazie a tutti: il concerto".
Il primo dei due inediti è "Credo nell'amore", cantato in coppia con Alessandra Amoroso, ragazza leccese uscita da "Amici", che possiede una delle più belle e limpide voci uscite ultimamente.
Spero di avervi incuriosito e, permettetemelo, voglio dire un grazie particolare e personale a Gianni Morandi per aver fatto questo cd che, come ho detto, è anche un po' mio.
Il cd, che è uscito questa mattina, è nato, anche, da una mia provocazione al cantante di Monghidoro, in occasione di un nostro incontro qui a Perugia, prima del primo dei due concerti acustici tenuti con il suo teatro tenda.
Venendo al disco, intitolato "Canzoni da non perdere", è una serie di rifacimenti, molto rispettosi, di brani negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. La prima canzone è "Inevitabile follia", forse la più bella canzone di Raf, tratta dal suo primo repertorio. La versione di Morandi è talmente perfetta che, se non si sa di chi è, si potrebbe pensare che il brano sia un inedito.
Subito dopo si omaggia la canzone vincitrice del Sanremo 1982, quella "Storie di tutti i giorni", cantata da Riccardo Fogli. L'arrangiamento elettrico ma senza elettronica, rispetto all'originale, tipicamente infarcito invece di strumenti "sintetici", dà maggior forza a questo brano che, se paragonato a brani classici di Morandi, potrebbe ricordare canzoni come "Solo all'ultimo piano" o comunque quei ritratti quotidiani che il cantante ora ama molto.
Ed eccoci ad "A te", grandissimo successo di Jovanotti, tratto dal cd "Safari". L'interpretazione di Morandi, permette al brano di acquistare quella melodicità "naturale" che, per quanto il toscano si impegni a cantare, non avrà mai perché per cantare veramente melodico bisogna avere una buona voce.
Ed eccoci a "L'isola che non c'è" di Edoardo Bennato, tratta da un lp che, nonostante i suoi quasi trent'anni di vita, continua ad esercitare una grandiosa attrazione, anche per i miti che esso traduce modernamente ("Sono solo canzonette", dedicato alla favola di Peter Pan).
Se vogliamo trovare un collegamento morandiano, si potrebbe anche pensarla come una gemella lontana di "C'era un ragazzo", per l'anelito, per nulla mascherato anche se non specifico, all'assenza di guerre dal mondo.
Se devo descrivere questa versione, suona un po' strana, ci si deve fare l'orecchio ma è bella, anche perché questo è un brano a cui io sono profondamente legata, come a tutto l'lp di Bennato. L'arrangiamento rafforza l'anima country, che è ancora rappresentata da un violino, che sostituisce l'armonica, strumento abbastanza estraneo a Morandi, se non fosse per gli assoli di "Sono un treno".
E si ritorna alle melodie altrui che potrebbero essere state scritte benissimo per Morandi. Si parla, in questo caso, di uno dei gioielli assoluti dell'ultima produzione di Antonello Venditti, la struggentissima "Ogni Volta". Il brano, bellissimo, ha rappresentato per il cantautore romano, l'ultimo brano melodicamente tradizionale, prima della fase sperimentale plasmata dal cd "Goodbye n9ecento", che a sua volta è stato già superato.
Arriviamo al brano che ci ha fatto sapere, qualche settimana fa, che questo cd ci sarebbe arrivato tra le mani. E' un'ottima interpretazione di "Tu sei l'unica donna per me", brano romantico di Alan Sorrenti, cantautore napoletano dalla voce falsettata, che forse non riusciva, e non riesce, a rendere giustizia a questa melodia che, seppur un po' ristretta, gode di ricchezza. L'interpretazione di Morandi, con le sue leggere incrinature, così tipiche di certo canto del monghidorese, riesce a tradurre perfettamente la felicità che, nonostante la paura che si ha della fine dell'idillio amoroso, riempie il brano.
Una mensione va fatta agli arrangiamenti, che non contemplano quasi strumenti elettronici, lasciando spazio alle sonorità acustiche ed elettriche, che sono sicuramente più gradevoli, ma sono spesso ritenute banali.
Ed ecco l'omaggio che Morandi fa ad un artista che esordì qualche anno dopo di lui, il cantante di Poggio Bustone Lucio Battisti.
Il brano che Morandi sceglie di ricantare è famoso, ma forse non come "Pensieri e parole" od "Emozioni". E' un interessante pop-valzer intitolato "Perché no". Anche qui si trova questa sensazione di felicità profonda, data da questi programmi strani di cui il testo di Mogol parla in maniera così rilassata. Da notare è l'uso del falsetto, completamente ricalcato d'altronde dalla versione originale, poco tipico in Morandi, ma comunque presente nella sua personalità canora.
Ed ecco "Fiore di Maggio", uno dei brani a cui sono più legata del repertorio di Fabio Concato, perché l'album originale mi fu regalato, in cassetta, quando facevo la scuola materna (ebbene sì, io già ascoltavo musica!).
La tenerezza che Concato riserva alla figlia, per la cui nascita fu scritta questa canzone, Morandi la "sporca" un po', senza però mai incrinarsi esageratamente, conservando sempre questa intimità favolistica così bella.
E come poteva mancare un omaggio a Lucio Dalla, compagno di così tante avventure, non ultima quel bellissimo "Dalla-Morandi" che ha cullato, insieme a tante altre cose, la mia musicalissima infanzia?
L'omaggio viene fatto attraverso uno degli ultimi gioielli della produzione del bolognese, una versione, forse poco rispettosa perché infarcita di suoni elettronici, ma comunque bella, di quel capolavoro di tenerezza che è "Tu non mi basti mai".
Forse, anche per la provenienza da zone vicine di autore e cantante, questo è uno dei brani più riusciti del cd.
Compagno d'avventura di Lucio Dalla è stato anche Francesco de Gregori, a cui Morandi fa un bellissimo omaggio, con l'interpretazione di "Rimmel", una delle canzoni più famose del cantautore romano, che qui, dopo essere stata per circa trentaquattro anni (tanti ne sono passati dalla pubblicazione dell'lp omonimo di De Gregori che la conteneva!) di dominio assoluto della chitarra, nella prima parte del brano, si trova una predominanza del pianoforte. L'anima più rock, impressa dalla presenza della chitarra elettrica distorta, non distoglie assolutamente questo brano dal suo essere una ballata romantica e country, genere che è sempre stato nelle corde del De Gregori.
Ed eccoci ad un altro "classico della tenerezza", scritto questa volta da Claudio Baglioni, altro grande esponente della scuola romana dei cantautori.
Il brano, "Avrai", ha una melodia molto aperta che permette, sia a Baglioni che a Morandi, che d'altronde hanno due delle voci più estese attualmente ascoltabili nel panorama della musica leggera italiana, di esibirsi in maniera piena.
Ed eccoci ad uno dei classici indiscussi degli anni '80, "Luna", scritta dal cantautore toscano Gianni Togni.
Morandi, come si è già detto per altri brani, si è limitato solo ad attualizzare l'arrangiamento strumentale, perché, e questo gli va riconosciuto, è cosciente che si tratta di canzoni che non gli appartengono del tutto, ed oggi, basta vedere altri dischi di cover per capirlo, chi ha questa coscienza fa parte di una sparutissima élite! (Trovo brutta, ad esempio, la cover di "Meraviglioso" di Domenico Modugno eseguita dai Negramaro, con l'armonia stravolta ogni tanto ed il ritmo completamente diverso).
Gli ultimi due brani sono inediti, o meglio uno faceva già parte del precedente cd di Gianni Morandi, il già qui recensito "Grazie a tutti: il concerto".
Il primo dei due inediti è "Credo nell'amore", cantato in coppia con Alessandra Amoroso, ragazza leccese uscita da "Amici", che possiede una delle più belle e limpide voci uscite ultimamente.
Spero di avervi incuriosito e, permettetemelo, voglio dire un grazie particolare e personale a Gianni Morandi per aver fatto questo cd che, come ho detto, è anche un po' mio.
Etichette:
"Canzoni da non perdere",
Gianni Morandi,
nuovi dischi,
recensioni
domenica 8 novembre 2009
Commento alla puntata dell'8 novembre di Canzonenapoletana@rai.it".
Carissimi lettori, dopo tre settimane di digiuno, ecco il commento alla seconda puntata del ciclo dedicato a Pasquale Cinquegrana di "Canzonenapoletana@rai.it".
La puntata, così come la precedente, inizia con una bellissima interpretazione di Tommaso Maione (scusate l'errore di grafia nel commento precedente). Il testo del brano è pieno di quella "tristezza tiepida" così tipica del vero napoletano, tradotta perfettamente dalla musica che è piena di riferimenti barocchi e popolari, così tipici del primo Di Capua, musicista che insieme a Cinquegrana scrisse questo sconosciuto gioiellino intitolato "'A luntananza".
Ed eccoci alla prima "macchietta" di questa puntata, che d'altronde le sarà quasi monograficamente dedicata. Il brano, però, non è assolutamente compatibile con l'idea che oggi si ha della "macchietta". Il brano, infatti, è fortemente politico e, addirittura, sulle tavole del café-chantant si fanno i nomi di Giolitti, all'epoca ministro dell'economia e Crispi primo ministro.
E dopo "'O 'mbriaco", si arriva a "Furturella", una delle più famose canzoni del repertorio cinquegraniano, scritta insieme a Salvatore Gambardella, un mandolinista autodidatta, che di mestiere faceva il fabbro, ed ha scritto alcuni tra i più grandi classici della canzone napoletana.
La versione che stiamo ascoltando è interpretata da un posteggiatore che possiede una potentissima voce tenorile e, forse con troppa tragicità, dice i versi che forse sono più sfiziosi che tragici.
E, come si era visto per Gill, quando si parla di "macchietta" non si può prescindere da Roberto Murolo. Infatti, con grandissimo piacere, stiamo ascoltando "Don Saverio" scritta nel 1895, che utilizza il tema del tradimento amoroso non compreso o permesso con complicità. La musica, lenta, maliziosa, veramente fa capire, anche a chi non sa il napoletano, il clima che Cinquegrana ha voluto dipingere.
Ed eccoci alla prima incisione d'epoca (o quasi) della puntata. Siamo con una delle canzoni più note del maestro elementare napoletano, intitolata "'Ndringhete 'ndrà". E' interpretata da Francesco Daddi che, finalmente, dato che l'incisione è passabile, si può apprezzare in tutta la sua tenorilità che, forse, non permette di capire lo "sfizio" di questa canzone. Da ascoltare, secondo me, è la versione di Bruno Venturini.
Un altro imprescindibile interprete della "macchietta" e di tutta la "canzone teatrale" napoletana, è il grandissimo Nino Taranto, da cui abbiamo ascoltato "Serenata profumata", bellissima canzone, quasi in italiano.
La puntata si conclude con "'O rusecatore" che viene interpretata da Nicola Maldacea, un interprete che aveva dei problemi di balbuzie che gli sparivano nell'atto di cantare o recitare.
La musica viene eseguita da un pianoforte, come se fosse una musica da cinema muto.
Spero di aver reso le atmosfere di questa puntata, forse particolarmente difficili da dipingere a parole, ma ricordatevi che, per ascoltare queste trasmissioni potete andare su ben due siti legati alla rai: www.international.rai.it/notturnoitaliano (dove cliccate sull'icona "canzone napoletana"), o su http://www.canzonenapoletana.rai.it/, dove, dal lunedì successivo alla messa in onda della puntata, c'è il podcast che vi resta per una settimana intera.
Buon divertimento e buon ascolto!
La puntata, così come la precedente, inizia con una bellissima interpretazione di Tommaso Maione (scusate l'errore di grafia nel commento precedente). Il testo del brano è pieno di quella "tristezza tiepida" così tipica del vero napoletano, tradotta perfettamente dalla musica che è piena di riferimenti barocchi e popolari, così tipici del primo Di Capua, musicista che insieme a Cinquegrana scrisse questo sconosciuto gioiellino intitolato "'A luntananza".
Ed eccoci alla prima "macchietta" di questa puntata, che d'altronde le sarà quasi monograficamente dedicata. Il brano, però, non è assolutamente compatibile con l'idea che oggi si ha della "macchietta". Il brano, infatti, è fortemente politico e, addirittura, sulle tavole del café-chantant si fanno i nomi di Giolitti, all'epoca ministro dell'economia e Crispi primo ministro.
E dopo "'O 'mbriaco", si arriva a "Furturella", una delle più famose canzoni del repertorio cinquegraniano, scritta insieme a Salvatore Gambardella, un mandolinista autodidatta, che di mestiere faceva il fabbro, ed ha scritto alcuni tra i più grandi classici della canzone napoletana.
La versione che stiamo ascoltando è interpretata da un posteggiatore che possiede una potentissima voce tenorile e, forse con troppa tragicità, dice i versi che forse sono più sfiziosi che tragici.
E, come si era visto per Gill, quando si parla di "macchietta" non si può prescindere da Roberto Murolo. Infatti, con grandissimo piacere, stiamo ascoltando "Don Saverio" scritta nel 1895, che utilizza il tema del tradimento amoroso non compreso o permesso con complicità. La musica, lenta, maliziosa, veramente fa capire, anche a chi non sa il napoletano, il clima che Cinquegrana ha voluto dipingere.
Ed eccoci alla prima incisione d'epoca (o quasi) della puntata. Siamo con una delle canzoni più note del maestro elementare napoletano, intitolata "'Ndringhete 'ndrà". E' interpretata da Francesco Daddi che, finalmente, dato che l'incisione è passabile, si può apprezzare in tutta la sua tenorilità che, forse, non permette di capire lo "sfizio" di questa canzone. Da ascoltare, secondo me, è la versione di Bruno Venturini.
Un altro imprescindibile interprete della "macchietta" e di tutta la "canzone teatrale" napoletana, è il grandissimo Nino Taranto, da cui abbiamo ascoltato "Serenata profumata", bellissima canzone, quasi in italiano.
La puntata si conclude con "'O rusecatore" che viene interpretata da Nicola Maldacea, un interprete che aveva dei problemi di balbuzie che gli sparivano nell'atto di cantare o recitare.
La musica viene eseguita da un pianoforte, come se fosse una musica da cinema muto.
Spero di aver reso le atmosfere di questa puntata, forse particolarmente difficili da dipingere a parole, ma ricordatevi che, per ascoltare queste trasmissioni potete andare su ben due siti legati alla rai: www.international.rai.it/notturnoitaliano (dove cliccate sull'icona "canzone napoletana"), o su http://www.canzonenapoletana.rai.it/, dove, dal lunedì successivo alla messa in onda della puntata, c'è il podcast che vi resta per una settimana intera.
Buon divertimento e buon ascolto!
giovedì 5 novembre 2009
Cos'è "tradizione"
Carissimi lettori, voglio scrivere dopo tanto forse troppo tempo. L'argomento è un po' duro, un po' complicato ed è stato già affrontato in questa sede, ma, dopo uno dei commenti apparso su http://www.pizzicata.it/ al cd "Alla banca", disco prodotto dall'Associazione Cesta dedicato alla musica tradizionale brindisina, nello specifico di San Vito dei Normanni, mi va di ripetere e precisare la mia posizione.
Nel commento in questione, signori miei, con molta caparbietà, si dice che i brani tradizionali sono quelli antichi e, ogni forma di nuova composizione, anche se magari rispettosa delle prassi esecutive e del contesto tradizionale, si deve considerare musica "tradizionale moderna" (parole testuali!).
Io, forse perché storicamente e irrimediabilmente contaminata da generi di musica molto meno tradizionali e forse per questo più "sereni" nella loro evoluzione, non la penso assolutamente così.
Io, piuttosto, il problema lo porrei da un punto di vista freddamente musicale e tecnico, anche perché non piango sul fatto che i contadini in molti casi abbiano smesso di spezzarsi la schiena nei campi, e la musica popolare salentina è diventata, da ormai quarantasette anni, nondimentichiamocelo, musica con cui si fa spettacolo. (D'altronde anche i nostri maestri, specialmente Luigi Stifani, quando andava a suonare in Rai per Diego Carpitella non stava facendo spettacolo, dato che suonava in un contesto che non era quello tradizionale d'esecuzione delle sue "pizziche tarantate"?).
Io direi che tutto ciò che rispetta le prassi armoniche e ritmiche di una determinata tradizione, può essere chiamato musica tradizionale, o può anche solo aspirare a diventarlo. Io poi sono la prima a fare una netta distinzione tra musica "tradizionale", quella suonata in acustico e senza fini "spettacolari", e quella "popolare", suonata con strumenti acustici, amplificati, anche per fini diversi dal puro piacere di suonare.
Il cd di Fernando Giannini, grande ricercatore e musicista di San Vito che vive e lavora nella nostra città, (Perugia), per la distinzione di cui sopra è assolutamente musica "tradizionale", perché è suonato in acustico, in rigorosa presa diretta ed i brani, addirittura, sono quasi completamente (o completamente) improvvisati nella loro maggior parte.
Poi, siccome Giannini ha voluto rappresentare una tradizione viva, le cui prassi armoniche sono vissute come proprie dalla comunità di suonatori, certamente molto ristretta e specifica, sono nati con naturalezza i brani d'autore che, spesso e volentieri, non sono che varianti di un unico grande troncone tradizionale (si vedano le pizziche che, invariabilmente, contengono pezzettini riconoscibilissimi della bellissima e purtroppo da troppi maltrattata "Pizzica originaria" che, forse simbolicamente, chiude il cd).
Per quanto riguarda poi specifiche mie opinioni, dico di più: laddove il "cantore" che ci ha "portato" il brano è identificato, noi suonatori, invece di essere disonesti e ladroni, dovremmo dire da chi si è imparato, non annullando persone con una loro vita e creatività in questo grandissimo fiume neutro e neutrale della tradizione. Ad esempio, l'ho già scritto ma qui cade a fagiolo, quando io presentavo la "Pizzica tarantata", nei miei concerti dicevo sempre che era stata resa celebre da Luigi Stifani. Quindi si vede che io non santifico la tradizione, ma tantomeno la voglio morta, e ancor meno voglio che si facciano distinzioni puramente teoriche e non basate su caratteristiche concrete dei brani tra "Musica tradizionale moderna" e "musica tradizionale antica". Infatti ciò che per noi è "tradizionale" ed "antico" è stato "moderno" per una generazione precedente, che a sua volta lo aveva creato da un troncone che percepiva come radice, magari senza accorgersene (fortunatamente).
Limitandomi ad esempi leccesi, voglio ora far capire concretamente ciò che intendo, citando dei titoli di "Canzoni tradizionali moderne", insieme a titoli di "canzoni tradizionali antiche" scritte modernamente.
Infatti, e questa è veramente l'ultima considerazione prima dell'elenchino, alcuni dei generi a cui ho accennato prima, ad esempio, ,pur non avendo "tradizione" intesa all'italiana, definiscono "tradizionale" certo loro repertorio (penso soprattutto al Fado portoghese), e comunque trovano naturale comporre brani nuovi su matrici tradizionali, e non per questo smettono di considerarsi, o meglio i loro cultori smettono di considerarli, "tradizionali" (penso a molta musica sudamericana, africana, spagnola, francese eccetera).
Eccoci alle citazioni:
- "A mammata" (testo e musica di Cinzia Marzo, tratta da "Maledetti guai"). Questo è un brano di "musica tradizionale moderna", anzi addirittura per questa canzone dovremmo inventare un'altra ulteriore categoria che potrebbe essere "musica d'autore tradizionale", perché non si rispettano per tre quarti del brano le prassi armoniche di nessuna variante di pizzica presistente, se eccettuiamo "Sale", altro brano dell'"Officina" che metteva su un giro armonico moderno testi tradizionali, cosa che trovo molto più ingiusta piuttosto che comporre brani nuovi nel solco della tradizione e chiamarli musica tradizionale, e si canta in un italiano "standard", voglio dire senza la minima sbavatura a livello di costruzione di frase, dando così spazio ad un'altra forma di "innaturalezza" o quantomeno di uscita dalla tradizione che si è sempre espressa in dialetto, in un dialetto che poi, ed è meglio riconoscerlo, si sta dimostrando da ormai diversi anni in grado di vincere le sfide della modernità, si vedano i Sud Soud System (che a me non piacciono).
- "Mazzate pesanti" (Testo e musica di Roberto Raheli, tratta dal cd "Mazzate pesanti"). Esempio di "Musica tradizionale antica" perché, pur essendo completamente d'autore, rispetta le prassi esecutive, compositive e linguistiche della tradizione.
- "Ijentu" (Testo e musica di Cinzia Marzo, tratta da "Sangue vivo"). Esempio di "musica tradizionale antica" perché è composta su una variante di pizzica molto precisa, che è la pizzica con cui spesso si tira di scherma, oltretutto con un testo ed una maniera di cantare che richiamano una musica salentina storica che, spesso in silenzio, sta morendo e tutti stanno contribuendo a far morire, per far nascere a tavolino qualche cosa di "altro", con cui noi, ormai senza creatività, vogliamo derubare della propria chi l'aveva.
Spero di avervi fatto capire ciò che mi stava a cuore dirvi, comunque spero che si smetta di deplorare od essere contrari spesso stupidamente a dinamiche che sono inevitabili e non sono nemmeno del tutto negative o assenti da questa tanto falsamente amata "tradizione", ed auspico che laddove una tradizione è davvero "viva" non se ne voglia fare un oggetto da museo.
Nel commento in questione, signori miei, con molta caparbietà, si dice che i brani tradizionali sono quelli antichi e, ogni forma di nuova composizione, anche se magari rispettosa delle prassi esecutive e del contesto tradizionale, si deve considerare musica "tradizionale moderna" (parole testuali!).
Io, forse perché storicamente e irrimediabilmente contaminata da generi di musica molto meno tradizionali e forse per questo più "sereni" nella loro evoluzione, non la penso assolutamente così.
Io, piuttosto, il problema lo porrei da un punto di vista freddamente musicale e tecnico, anche perché non piango sul fatto che i contadini in molti casi abbiano smesso di spezzarsi la schiena nei campi, e la musica popolare salentina è diventata, da ormai quarantasette anni, nondimentichiamocelo, musica con cui si fa spettacolo. (D'altronde anche i nostri maestri, specialmente Luigi Stifani, quando andava a suonare in Rai per Diego Carpitella non stava facendo spettacolo, dato che suonava in un contesto che non era quello tradizionale d'esecuzione delle sue "pizziche tarantate"?).
Io direi che tutto ciò che rispetta le prassi armoniche e ritmiche di una determinata tradizione, può essere chiamato musica tradizionale, o può anche solo aspirare a diventarlo. Io poi sono la prima a fare una netta distinzione tra musica "tradizionale", quella suonata in acustico e senza fini "spettacolari", e quella "popolare", suonata con strumenti acustici, amplificati, anche per fini diversi dal puro piacere di suonare.
Il cd di Fernando Giannini, grande ricercatore e musicista di San Vito che vive e lavora nella nostra città, (Perugia), per la distinzione di cui sopra è assolutamente musica "tradizionale", perché è suonato in acustico, in rigorosa presa diretta ed i brani, addirittura, sono quasi completamente (o completamente) improvvisati nella loro maggior parte.
Poi, siccome Giannini ha voluto rappresentare una tradizione viva, le cui prassi armoniche sono vissute come proprie dalla comunità di suonatori, certamente molto ristretta e specifica, sono nati con naturalezza i brani d'autore che, spesso e volentieri, non sono che varianti di un unico grande troncone tradizionale (si vedano le pizziche che, invariabilmente, contengono pezzettini riconoscibilissimi della bellissima e purtroppo da troppi maltrattata "Pizzica originaria" che, forse simbolicamente, chiude il cd).
Per quanto riguarda poi specifiche mie opinioni, dico di più: laddove il "cantore" che ci ha "portato" il brano è identificato, noi suonatori, invece di essere disonesti e ladroni, dovremmo dire da chi si è imparato, non annullando persone con una loro vita e creatività in questo grandissimo fiume neutro e neutrale della tradizione. Ad esempio, l'ho già scritto ma qui cade a fagiolo, quando io presentavo la "Pizzica tarantata", nei miei concerti dicevo sempre che era stata resa celebre da Luigi Stifani. Quindi si vede che io non santifico la tradizione, ma tantomeno la voglio morta, e ancor meno voglio che si facciano distinzioni puramente teoriche e non basate su caratteristiche concrete dei brani tra "Musica tradizionale moderna" e "musica tradizionale antica". Infatti ciò che per noi è "tradizionale" ed "antico" è stato "moderno" per una generazione precedente, che a sua volta lo aveva creato da un troncone che percepiva come radice, magari senza accorgersene (fortunatamente).
Limitandomi ad esempi leccesi, voglio ora far capire concretamente ciò che intendo, citando dei titoli di "Canzoni tradizionali moderne", insieme a titoli di "canzoni tradizionali antiche" scritte modernamente.
Infatti, e questa è veramente l'ultima considerazione prima dell'elenchino, alcuni dei generi a cui ho accennato prima, ad esempio, ,pur non avendo "tradizione" intesa all'italiana, definiscono "tradizionale" certo loro repertorio (penso soprattutto al Fado portoghese), e comunque trovano naturale comporre brani nuovi su matrici tradizionali, e non per questo smettono di considerarsi, o meglio i loro cultori smettono di considerarli, "tradizionali" (penso a molta musica sudamericana, africana, spagnola, francese eccetera).
Eccoci alle citazioni:
- "A mammata" (testo e musica di Cinzia Marzo, tratta da "Maledetti guai"). Questo è un brano di "musica tradizionale moderna", anzi addirittura per questa canzone dovremmo inventare un'altra ulteriore categoria che potrebbe essere "musica d'autore tradizionale", perché non si rispettano per tre quarti del brano le prassi armoniche di nessuna variante di pizzica presistente, se eccettuiamo "Sale", altro brano dell'"Officina" che metteva su un giro armonico moderno testi tradizionali, cosa che trovo molto più ingiusta piuttosto che comporre brani nuovi nel solco della tradizione e chiamarli musica tradizionale, e si canta in un italiano "standard", voglio dire senza la minima sbavatura a livello di costruzione di frase, dando così spazio ad un'altra forma di "innaturalezza" o quantomeno di uscita dalla tradizione che si è sempre espressa in dialetto, in un dialetto che poi, ed è meglio riconoscerlo, si sta dimostrando da ormai diversi anni in grado di vincere le sfide della modernità, si vedano i Sud Soud System (che a me non piacciono).
- "Mazzate pesanti" (Testo e musica di Roberto Raheli, tratta dal cd "Mazzate pesanti"). Esempio di "Musica tradizionale antica" perché, pur essendo completamente d'autore, rispetta le prassi esecutive, compositive e linguistiche della tradizione.
- "Ijentu" (Testo e musica di Cinzia Marzo, tratta da "Sangue vivo"). Esempio di "musica tradizionale antica" perché è composta su una variante di pizzica molto precisa, che è la pizzica con cui spesso si tira di scherma, oltretutto con un testo ed una maniera di cantare che richiamano una musica salentina storica che, spesso in silenzio, sta morendo e tutti stanno contribuendo a far morire, per far nascere a tavolino qualche cosa di "altro", con cui noi, ormai senza creatività, vogliamo derubare della propria chi l'aveva.
Spero di avervi fatto capire ciò che mi stava a cuore dirvi, comunque spero che si smetta di deplorare od essere contrari spesso stupidamente a dinamiche che sono inevitabili e non sono nemmeno del tutto negative o assenti da questa tanto falsamente amata "tradizione", ed auspico che laddove una tradizione è davvero "viva" non se ne voglia fare un oggetto da museo.
Etichette:
riflessioni,
scritti vari,
tradizione
domenica 18 ottobre 2009
Commento alla puntata del 17 ottobre di "Canzonenapoletana@rai.it".
Carissimi lettori, ecco qui il commento ad una puntata, la prima, di un ciclo di "Canzonenapoletana@rai.it", dedicato a Pasquale Cinquegrana.
Si inizia con un brano, intitolato "Margaretella", risalente al 1887, interpretato, fortunatamente con un audio buonissimo, da Tommaso Maglione, da annoverare tra i cantanti chitarristi, tra cui Romano Zanotti, Mario maglione, Antonio Siano, che spesso amano ripescare gioielli d'epoca.
Il brano, tra i primi composti da Cinquegrana su musica di Di Capua, autore di "O sole mio", è già caratterizzato da quella ludicità che vedremo essere una delle caratteristiche di questo grande, anche se dilettante, poeta dialettale, tra i padri della canzone classica napoletana.
La melodia è fortemente legata ad un certo ambiente tardo-romantico napoletano, che amava spessissimo giocare con influenze colte e popolari.
Ed ecco qua una delle tante canzoni dedicate a maggio, questo mese che a Napoli ha sempre avuto una speciale atmosfera, allegra e devota ad un tempo.
Il brano è, ancora una volta composto dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, una canzoncina d'amore sfiziosissima, con influenze barocche.
Iniziamo con le incisioni d'epoca, con un brano intitolato "Montevergine", dedicato ad uno dei santuari più importanti della devozione popolare napoletana.
Il testo è difficilmente intellegibile, ma vi si riconoscono echi di tammurriate e strofe popolari. Il pezzo è inciso con il tipico duetto di strumenti napoletani, la chitarra ed il mandolino. E' interpretato da un tenore, o baritenore, voce che attualmente è estinta, molto efficace. (Scusate se non lo cito, ma la trasmissione è saltata e non si è sentito il nome dell'interprete).
Molti autori napoletani si sono dilettati a fare canti patriottici, ma, ovviamente, il patriottismo napoletano è "sollazzevole", giocoso, ironico, anche se non sempre irrispettoso (luogo comune da sfatare!).
Il brano, intitolato "E bersagliere", è una marcetta molto bella, che stiamo sentendo in una incisione d'epoca abbastanza buona. Io, però, vi consiglio caldamente di sentire la versione di Nunzia Marra, unica cantante che, almeno secondo le mie informazioni, ha riproposto questo canto. Questa canzone, tra l'altro, o meglio una sua parodia, fu la causa, non so se la principale, del fatto che Cinquegrana smettesse di insegnare.
Stiamo sentendo una canzone che prelude al genere di cui Cinquegrana diventerà uno dei più grandi esponenti, la "macchietta napoletana". Il brano si chiama "'O sentimento" ed è un duetto. Non vi posso dire di più perché l'incisione, anche questa d'epoca, è molto rovinata quindi non si capisce né il testo né la struttura musicale.
Ecco l'ultimo brano della puntata, quella "Margarita de Parete" scritta nel 1891 da Cinquegrana e Fassone, autore tra l'altro di "A tazza 'e cafè", stupenda tarantella che tutt'ora si canta.
Il brano di Cinquegrana, invece, è una marcetta sfiziosa, che d'altronde permette alla libertà espressiva del poeta di esprimersi e tradursi benissimo.
L'interpretazione è di Gennaro Pasquariello, il più grande interprete di canzone napoletana tra i due secoli.
Spero che vi piaccia questo ciclo, io mi sto divertendo un mondo a commentarlo!
Si inizia con un brano, intitolato "Margaretella", risalente al 1887, interpretato, fortunatamente con un audio buonissimo, da Tommaso Maglione, da annoverare tra i cantanti chitarristi, tra cui Romano Zanotti, Mario maglione, Antonio Siano, che spesso amano ripescare gioielli d'epoca.
Il brano, tra i primi composti da Cinquegrana su musica di Di Capua, autore di "O sole mio", è già caratterizzato da quella ludicità che vedremo essere una delle caratteristiche di questo grande, anche se dilettante, poeta dialettale, tra i padri della canzone classica napoletana.
La melodia è fortemente legata ad un certo ambiente tardo-romantico napoletano, che amava spessissimo giocare con influenze colte e popolari.
Ed ecco qua una delle tante canzoni dedicate a maggio, questo mese che a Napoli ha sempre avuto una speciale atmosfera, allegra e devota ad un tempo.
Il brano è, ancora una volta composto dalla coppia Cinquegrana-Di Capua, una canzoncina d'amore sfiziosissima, con influenze barocche.
Iniziamo con le incisioni d'epoca, con un brano intitolato "Montevergine", dedicato ad uno dei santuari più importanti della devozione popolare napoletana.
Il testo è difficilmente intellegibile, ma vi si riconoscono echi di tammurriate e strofe popolari. Il pezzo è inciso con il tipico duetto di strumenti napoletani, la chitarra ed il mandolino. E' interpretato da un tenore, o baritenore, voce che attualmente è estinta, molto efficace. (Scusate se non lo cito, ma la trasmissione è saltata e non si è sentito il nome dell'interprete).
Molti autori napoletani si sono dilettati a fare canti patriottici, ma, ovviamente, il patriottismo napoletano è "sollazzevole", giocoso, ironico, anche se non sempre irrispettoso (luogo comune da sfatare!).
Il brano, intitolato "E bersagliere", è una marcetta molto bella, che stiamo sentendo in una incisione d'epoca abbastanza buona. Io, però, vi consiglio caldamente di sentire la versione di Nunzia Marra, unica cantante che, almeno secondo le mie informazioni, ha riproposto questo canto. Questa canzone, tra l'altro, o meglio una sua parodia, fu la causa, non so se la principale, del fatto che Cinquegrana smettesse di insegnare.
Stiamo sentendo una canzone che prelude al genere di cui Cinquegrana diventerà uno dei più grandi esponenti, la "macchietta napoletana". Il brano si chiama "'O sentimento" ed è un duetto. Non vi posso dire di più perché l'incisione, anche questa d'epoca, è molto rovinata quindi non si capisce né il testo né la struttura musicale.
Ecco l'ultimo brano della puntata, quella "Margarita de Parete" scritta nel 1891 da Cinquegrana e Fassone, autore tra l'altro di "A tazza 'e cafè", stupenda tarantella che tutt'ora si canta.
Il brano di Cinquegrana, invece, è una marcetta sfiziosa, che d'altronde permette alla libertà espressiva del poeta di esprimersi e tradursi benissimo.
L'interpretazione è di Gennaro Pasquariello, il più grande interprete di canzone napoletana tra i due secoli.
Spero che vi piaccia questo ciclo, io mi sto divertendo un mondo a commentarlo!
giovedì 15 ottobre 2009
Intervista a Paquito del bosco (Direttore artistico dell'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana)
Carissimi lettori, aggiorno il mio blog con particolarissimo piacere, tramite un'intervista a Paquito del Bosco, direttore artistico dell'Archivio sonoro della Canzone Napoletana.
Per approfondire la conoscienza di questo grande "trovatore" di materiali d'epoca, si può anche andare sul sito http://www.canzonenapoletana.rai.it/, casa virtuale di questo juke-box partenopeo, che si può consultare, ascoltando anche i materiali in esso contenuti, sia nella sede rai di napoli, che alla Discoteca di Stato di Roma.
D: Nel documentario che Rai Educational ha curato sulla sua storia, si raccontano i suoi inizi come collezionista. Prima di iniziare a collezionare dischi e materiale d'epoca: cos'era la musica per lei?
R: Non ho un concetto preciso di cosa fosse la musica per me in quel periodo. Come tutti i miei coetanei ne ascoltavo tanta, sia classica che leggera.
Io, come tutti i ragazzi siciliani di buona famiglia, avevo iniziato a studiare pianoforte, ma con scarsissimi esiti, perché non era uno dei miei interessi principali, e la musica non era una delle mie prospettive immediate: dovevo fare l'ingegnere.
Oltre alla musica, ad esempio, mi piaceva molto viaggiare o andare al cinema.
Tutto è cambiato quando, in un mercatino, incontrai un vecchio giradischi d'epoca con una manciata di dischi antichi, da cui sono rimasto folgorato.
D: Nella sua famiglia che musica circolava quando lei era molto piccolo?
Mia nonna era un'insegnante di piano, ed è l'unica persona che si sia occupata di musica. Mio padre era ingegnere e preside in una scuola, ed io, che venivo chiamato "l'ingegnerino", ero destinato a fare quel mestiere. Non ho avuto precedenti musicali in famiglia.
D: Mi parli dei suoi inizi come collezionista.
R: Come ho detto è stato un incontro casuale ma, quel repertorio, a forza di sentirlo, ha finito per folgorarmi.
Iniziai ben presto a contestualizzare quei materiali musicali, ritratto di un'epoca lontana, con documenti storici riguardanti tutti gli argomenti e di tutti i tipi. Questo durò fino a quando decisi di creare la collana "Fonografo italiano" (Fonit Cetra n.d.r), che comprende materiale dagli inizi dell'incisione discografica alla fine della Seconda guerra mondiale.
D: Mi racconti la nascita della collana e come ebbe la possibilità di farla pubblicare dalla Fonit Cetra.
R: Dopo aver collezionato tutto quel materiale, mi venne in mente che l'avrei potuto condividere con altre persone. Il fatto era che i discografici erano interessati a pubblicare uno o due dischi 33 giri, ma io per otto anni avevo inseguito una casa discografica che mi facesse fare una pubblicazione generale di cinquanta lp, perché alcune antologie generiche erano già state sfornate. Oltretutto mi sembrava anche di fare un torto a cantanti e canzoni che, se sparite, non sarebbero mai stati conosciuti. Tra i fenomeni di marginale interesse per questo repertorio, va ricordato il caso di Monica Vitti che impazzì per il repertorio di Ria Rosa (interprete della canzone napoletana anni '20-'30 n.d.r.), pensando di dedicarle anche un lp.
La casa discografica che credette nel progetto, che secondo alcuni è stato di proporzioni esagerate, fu la Fonit Cetra. Devo qui ricordare un amico, che non è stato mai citato, Sergio Bardotti, il quale portò la proposta alla casa editrice che la approvò. Il problema fu che, quasi subito, Bardotti fu mandato via dalla casa discografica e gli subentrò Ugo Gregoretti, che si prese il merito di aver concepito "Fonografo italiano", non dandomi nessuna rilevanza.
D: Come nasce in lei la passione per la canzone napoletana?
R: Ai tempi di "Fonografo italiano" io dovetti sacrificare molta canzone napoletana, quindi io la sto scoprendo adesso, perché, in questo archivio virtuale, noi possiamo immettere di tutto senza scelte obbligate.
Mi dispiace moltissimo che, ai tempi del "miracolo economico", si siano buttate tonnellate di vecchi dischi senza che nessuno lo sapesse.
D: Lei possiede degli apparecchi di riproduzione di dischi d'epoca?
R: Sì ma ne ho pochissimi, comperati occasionalmente a prezzi stracciati. A me interessa la storicità ritrovata nei materiali "minori". Infatti possiedo anche molti opuscoli e molte pubblicità d'epoca.
D: E la sua attività di archivista?
R: Io inizialmente volevo fare del cinema, ed iniziai a collaborare con una rivista intitolata "Cinema e film" diretta da Pier Paolo Pasolini, per la quale, oltre ad essere il segretario di redazione, scrivevo alcune recensioni. Dopo il sservizio militare iniziai a collaborare con la televisione, facendo il regista, ma ogni volta si scopriva questa mia passione per i materiali del passato. Ho curato, una trentina di anni fa, una serie intitolata "Come eravamo", dove, attraverso le testimonianze di coloro che avevano vissuto fatti storici importanti e materiali sonori d'epoca, si raccontava la storia d'Italia. Ho anche curato alcune serie per l'Istituto Luce, e, in generale ho girato tutti gli archivi nazionali, incluso quello diaristico, da cui ho tratto spunto, insieme a miei collaboratori, per una serie di documenti usciti in edicola.
Come arriva all'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana?
R: L'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana è stato creato dalla Rai per due motivi: innanzitutto per dare una prospettiva ai numerosi tecnici del centro rai del capoluogo campano, da cui in quegli anni si era iniziato a trasmettere solo i notiziari regionali. La seconda ragione è anche quella di far avverare un antico sogno napoletano, quello che da circa un secolo auspicava una seria conservazione della canzone cittadina. Io fui invitato da Antonio Bottiglieri che, quando fu stipulato il patto fra la Rai e le amministrazioni locali per la nascita dell'archivio, ricordandosi della mia passione per il materiale storico, mi fece questo regalo.
D: Come reperite i materiali dell'Archivio Sonoro della Canzone napoletana?
R: Inizialmente abbiamo deciso di riunire tutto il materiale sparso per le varie sedi Rai, evitando così che fosse buttato via, cosa che avveniva fino a poco tempo fa. Subito dopo ci siamo dotati di una cerchia di collaboratori esterni che, cosiccome tutti noi, apporta sempre materiale nuovo all'archivio, dove ormai non viene immesso solo materiale audio. Attualmente, con il numero di donazioni fisso di duecento brani napoletani all'anno a testa, si è arrivati ai quarantunmila titoli. Io, anche se ormai sono in età abbastanza avanzata, spero di vedere il traguardo dei centomila.
Attualmente è molto più facile reperire materiale sulla canzone napoletana all'estero piuttosto che in Italia, perché la melodia partenopea viene considerata un semplice prodotto regionale, mentre si ignora che essa sia stata ciò che di meglio l'Italia abbia saputo dare musicalmente da molto tempo. Va poi ricordato che molti autori italiani, specialmente anni '20-'30, erano d'origine napoletana o nascevano artisticamente a Napoli.
Per approfondire la conoscienza di questo grande "trovatore" di materiali d'epoca, si può anche andare sul sito http://www.canzonenapoletana.rai.it/, casa virtuale di questo juke-box partenopeo, che si può consultare, ascoltando anche i materiali in esso contenuti, sia nella sede rai di napoli, che alla Discoteca di Stato di Roma.
D: Nel documentario che Rai Educational ha curato sulla sua storia, si raccontano i suoi inizi come collezionista. Prima di iniziare a collezionare dischi e materiale d'epoca: cos'era la musica per lei?
R: Non ho un concetto preciso di cosa fosse la musica per me in quel periodo. Come tutti i miei coetanei ne ascoltavo tanta, sia classica che leggera.
Io, come tutti i ragazzi siciliani di buona famiglia, avevo iniziato a studiare pianoforte, ma con scarsissimi esiti, perché non era uno dei miei interessi principali, e la musica non era una delle mie prospettive immediate: dovevo fare l'ingegnere.
Oltre alla musica, ad esempio, mi piaceva molto viaggiare o andare al cinema.
Tutto è cambiato quando, in un mercatino, incontrai un vecchio giradischi d'epoca con una manciata di dischi antichi, da cui sono rimasto folgorato.
D: Nella sua famiglia che musica circolava quando lei era molto piccolo?
Mia nonna era un'insegnante di piano, ed è l'unica persona che si sia occupata di musica. Mio padre era ingegnere e preside in una scuola, ed io, che venivo chiamato "l'ingegnerino", ero destinato a fare quel mestiere. Non ho avuto precedenti musicali in famiglia.
D: Mi parli dei suoi inizi come collezionista.
R: Come ho detto è stato un incontro casuale ma, quel repertorio, a forza di sentirlo, ha finito per folgorarmi.
Iniziai ben presto a contestualizzare quei materiali musicali, ritratto di un'epoca lontana, con documenti storici riguardanti tutti gli argomenti e di tutti i tipi. Questo durò fino a quando decisi di creare la collana "Fonografo italiano" (Fonit Cetra n.d.r), che comprende materiale dagli inizi dell'incisione discografica alla fine della Seconda guerra mondiale.
D: Mi racconti la nascita della collana e come ebbe la possibilità di farla pubblicare dalla Fonit Cetra.
R: Dopo aver collezionato tutto quel materiale, mi venne in mente che l'avrei potuto condividere con altre persone. Il fatto era che i discografici erano interessati a pubblicare uno o due dischi 33 giri, ma io per otto anni avevo inseguito una casa discografica che mi facesse fare una pubblicazione generale di cinquanta lp, perché alcune antologie generiche erano già state sfornate. Oltretutto mi sembrava anche di fare un torto a cantanti e canzoni che, se sparite, non sarebbero mai stati conosciuti. Tra i fenomeni di marginale interesse per questo repertorio, va ricordato il caso di Monica Vitti che impazzì per il repertorio di Ria Rosa (interprete della canzone napoletana anni '20-'30 n.d.r.), pensando di dedicarle anche un lp.
La casa discografica che credette nel progetto, che secondo alcuni è stato di proporzioni esagerate, fu la Fonit Cetra. Devo qui ricordare un amico, che non è stato mai citato, Sergio Bardotti, il quale portò la proposta alla casa editrice che la approvò. Il problema fu che, quasi subito, Bardotti fu mandato via dalla casa discografica e gli subentrò Ugo Gregoretti, che si prese il merito di aver concepito "Fonografo italiano", non dandomi nessuna rilevanza.
D: Come nasce in lei la passione per la canzone napoletana?
R: Ai tempi di "Fonografo italiano" io dovetti sacrificare molta canzone napoletana, quindi io la sto scoprendo adesso, perché, in questo archivio virtuale, noi possiamo immettere di tutto senza scelte obbligate.
Mi dispiace moltissimo che, ai tempi del "miracolo economico", si siano buttate tonnellate di vecchi dischi senza che nessuno lo sapesse.
D: Lei possiede degli apparecchi di riproduzione di dischi d'epoca?
R: Sì ma ne ho pochissimi, comperati occasionalmente a prezzi stracciati. A me interessa la storicità ritrovata nei materiali "minori". Infatti possiedo anche molti opuscoli e molte pubblicità d'epoca.
D: E la sua attività di archivista?
R: Io inizialmente volevo fare del cinema, ed iniziai a collaborare con una rivista intitolata "Cinema e film" diretta da Pier Paolo Pasolini, per la quale, oltre ad essere il segretario di redazione, scrivevo alcune recensioni. Dopo il sservizio militare iniziai a collaborare con la televisione, facendo il regista, ma ogni volta si scopriva questa mia passione per i materiali del passato. Ho curato, una trentina di anni fa, una serie intitolata "Come eravamo", dove, attraverso le testimonianze di coloro che avevano vissuto fatti storici importanti e materiali sonori d'epoca, si raccontava la storia d'Italia. Ho anche curato alcune serie per l'Istituto Luce, e, in generale ho girato tutti gli archivi nazionali, incluso quello diaristico, da cui ho tratto spunto, insieme a miei collaboratori, per una serie di documenti usciti in edicola.
Come arriva all'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana?
R: L'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana è stato creato dalla Rai per due motivi: innanzitutto per dare una prospettiva ai numerosi tecnici del centro rai del capoluogo campano, da cui in quegli anni si era iniziato a trasmettere solo i notiziari regionali. La seconda ragione è anche quella di far avverare un antico sogno napoletano, quello che da circa un secolo auspicava una seria conservazione della canzone cittadina. Io fui invitato da Antonio Bottiglieri che, quando fu stipulato il patto fra la Rai e le amministrazioni locali per la nascita dell'archivio, ricordandosi della mia passione per il materiale storico, mi fece questo regalo.
D: Come reperite i materiali dell'Archivio Sonoro della Canzone napoletana?
R: Inizialmente abbiamo deciso di riunire tutto il materiale sparso per le varie sedi Rai, evitando così che fosse buttato via, cosa che avveniva fino a poco tempo fa. Subito dopo ci siamo dotati di una cerchia di collaboratori esterni che, cosiccome tutti noi, apporta sempre materiale nuovo all'archivio, dove ormai non viene immesso solo materiale audio. Attualmente, con il numero di donazioni fisso di duecento brani napoletani all'anno a testa, si è arrivati ai quarantunmila titoli. Io, anche se ormai sono in età abbastanza avanzata, spero di vedere il traguardo dei centomila.
Attualmente è molto più facile reperire materiale sulla canzone napoletana all'estero piuttosto che in Italia, perché la melodia partenopea viene considerata un semplice prodotto regionale, mentre si ignora che essa sia stata ciò che di meglio l'Italia abbia saputo dare musicalmente da molto tempo. Va poi ricordato che molti autori italiani, specialmente anni '20-'30, erano d'origine napoletana o nascevano artisticamente a Napoli.
Iscriviti a:
Post (Atom)