venerdì 10 aprile 2009

Storie inti-illimaniache"

Carissimi lettori, oggi per me è una data molto importante: in un giorno come questo, tredici anni fa, scoprivo quello che tutt'ora rimane il mio gruppo preferito per quanto riguarda la musica hispanoamericana, ossia gli Inti-Illimani.
Non starò qui a raccontarvi la loro storia, che è d'altronde ben raccontata in molti scritti e libri, metterò, per quanto me lo permetterà l'emozione fortissima che sto provando mentre scrivo, in fila una serie di "Storie Inti-Illimaniache", ossia gli eventi più importanti che hanno segnato le tappe di questa mia passione.
Diciamo subito che nella mia famiglia, essendo fortemente connotata politicamente verso sinistra, gli Inti-Illimani avevano già rappresentato una parte degli ascolti musicali, nel periodo in cui i brani politici erano una componente importante del loro repertorio. Non posso dire, però, di averli scoperti così, perché io, forse per segreta deformazione da musicista, se non mi si presenta anche tecnicamente ogni genere musicale che ascolto, sinceramente non me ne riesco ad innamorare. Per fortuna, con gli anni, gli Inti-Illimani hanno iniziato ad allargare il loro repertorio a tutto il continente americano (da intendere alla spagnola come tutta l'America latina), e credo che fu questo che rese possibile il nostro incontro.
Mi innamorai degli Inti-Illimani durante una loro esibizione alla trasmissione Roxibar, condotta da Red Ronnie, nella quale il gruppo cileno presentò un bolero cubano di sua composizione, intitolato "Medianoche". Non avevo ancora tredici anni, ma la mia conoscenza dello spagnolo era già buona, tanto da essere folgorata da quel poeticissimo e sofferto testo, oltre che dalla voce dell'interprete, José Seves, che io tutt'ora ritengo una delle più belle voci di tutto il continente. Non so spiegarvi cosa mi piacque di quel pezzo, so solo dire che aspettai l'uscita di quel cd, "Arriesgaré la piel", con una frenesia che credo di non aver mai avuto precedentemente.
Finalmente quel giorno, il 10 aprile 1996, arriva, e con lui la folgorazione. Ascolto quel cd e, dopo il primo ascolto, ho uno sbandamento profondissimo, che non mi permette neanche di parlare, per un tempo che mi sembra interminabile. I miei genitori, forse presi da nostalgia od emozionati per aver risentito in casa loro quel gruppo, anche se così cambiato, mettono sul piatto un vecchio vinile. Mi sembra di ricordare che io non lo apprezzai, perché, ancora, i tempi non erano maturi per ascoltare i primi Inti-Illimani, che poi, devo ammetterlo subito, sono sempre stati quelli che ho amato ed apprezzato di meno.
Comunque, da quel giorno, inizia un personalissimo percorso dentro la discografia degli Inti-Illimani, che mi porta ben presto a possedere tutto ciò che è reperibile in Italia, rigorosamente in cd originali.
Il primo concerto, invece, è all'interno della "Festa dell'unità" di Pian de Massiano, a Perugia, il 12 settembre 1998, in corrispondenza con il venticinquennale del golpe che aveva fatto cadere il governo democratico in Cile, obbligando gli Inti-Illimani, venuti in Italia come ambasciatori governativi, a restarvi per quindici anni come rifugiati politici.
Di quel concerto mi ricordo particolarmente l'incontro con Jorge, addetto del gruppo alle pubbliche relazioni, a cui consegnai una poesia in lingua spagnola da me composta, dove citavo e commentavo molti degli strumenti che il gruppo usava. Mi ricordo benissimo l'emozione dimostrata da Jorge, ma purtroppo musicalmente non mi riesco a ricordare niente.
Il primo concerto del quale ho un ricordo nitido, è quello al Cinemateatro Esperia di Bastia, che ebbe luogo nel marzo dell'anno successivo. Intanto mi ricordo, e non mi stancherò mai di ringraziare il gruppo e il loro entourage, di aver ricevuto, con molto anticipo sulla data d'uscita ufficiale in Italia, una copia dello strabiliante cd "Amar de nuevo", che forse anche per questo è tutt'ora tra i miei preferiti del gruppo. Il concerto, non me lo scorderò mai, si aprì con una straordinaria versione di "Tatati", brano strumentale tra i più belli del gruppo, e permise ai numerosi presenti di scoprire in anteprima i brani di quello che era il più recente disco del gruppo, il già citato "Amar de nuevo". Mi ricordo benissimo che, tra questi, mi colpì particolarmente "Esta eterna costumbre", romanticissimo bolero, dopo il quale io, tra gli applausi, mi misi a gridare dannatamente: "Bella! Bella!..." Un altro brano che mi emozionò particolarmente fu "La fiesta eres tú", ma credo che questo derivasse più dalla mia passione per i ritmi centroamericani a cui la canzone si ispira, che da un'effettiva emozione causatami dalle sue caratteristiche concrete e specifiche.
Dopo "Amar de nuevo", in Italia c'è una pausa per quanto riguarda la distribuzione degli album degli Inti, che viene interrotta nel 2002 con "Lugares comunes" che, secondo quanto dichiarato da Jorge a varie televisioni italiane, come filosofia è un omaggio al "Sono solo canzonette" di bennatiana memoria. Gli Inti-Illimani, in questo periodo, vengono spesso invitati in televisione, specialmente da Fabio Fazio, che se ne è sempre dimostrato grandissimo ammiratore. Contemporaneamente, purtroppo, a livello personale, inizia un processo di allontanamento, forse anche causato dal fatto che dei fondatori ce ne restino sempre di meno e che il direttore musicale sia cambiato, che non mi permette più di vivere il loro repertorio ed i loro concerti con quella partecipazione di cui ho parlato sopra. Ormai, a partire appunto da "Lugares comunes", continuo a riconoscere la bravura del gruppo, ma forse, siccome sento che si è allontanato troppo dalle proprie radici andine e cilene, in fondo non lo amo più.
Ciò non toglie che nel 2003 io sia corsa a comperare il libro con cd "Treinta años en vivo, viva Itália", attestato di gratitudine al paese che aveva permesso al gruppo di lavorare in libertà e di avere un futuro come gruppo professionista. Devo dire, però, di aver apprezzato molto di più il libro, che fu anche oggetto di una settimana a "Storyville" su Radio tre, piuttosto che il cd, incisione di un concerto ai Fori imperiali di Roma, dove ho sempre sentito da parte dell'appena entrato direttore Manuel Meriño, una grandissima presunzione che lo portava a voler distruggere trentacinque anni di storia gloriosa.
Quello che per ora resta il mio ultimo contatto con il gruppo, si è avuto tre anni fa, in occasione dell'uscita di "Pequeño mundo", distribuito anche questo, come i precedenti due cd, dalla "Storie di note". Questo è l'album che ho amato di meno di tutta la discografia del gruppo, ma forse, come ho detto poco sopra, non lo capisco più. Sono, comunque, andata alla presentazione avutasi alla mia facoltà, Lettere e filosofia dell'Università di Perugia, anche se quell'atto l'ho trovato molto ipocrita e pietoso. Nonostante tutto, devo ammettere di essermi emozionata, e di avere ritrovato in me un amore che credevo sopito.
Se dovessi consigliare a qualcuno cosa ascoltare degli Inti, direi semplicemente di guardarsi dentro e scegliere in questo modo. Non mi sento infatti abilitata a dare consigli categorici, quindi chi vuole si getti alla ventura.

giovedì 9 aprile 2009

Roberto Murolo canta i grandi della canzone napoletana

Carissimi lettori, oggi voglio tornare a parlare di Roberto Murolo, per consigliarvi caldamente il cofanetto "Roberto Murolo canta i grandi della canzone napoletana", inciso dal grande cantante e chitarrista vomerese, come seguito ed integrazione della sua insuperabile "Napoletana, antologia cronologica della canzone partenopea".
Il cofanetto in questione, infatti, segna il ritorno ad un'antologia non dedicata ad un genere specifico, dopo la pionieristica esperienza dell'interpretazione di macchiette napoletane, notoriamente orchestrali, con un semplice accompagnamento di chitarra. Qui Roberto Murolo, non tradendo la sua proverbiale scrupolosità nella scelta dei brani e nella loro esecuzione, pur essendo secondo me molto obbiettivo nella scelta dei quattro autori da omaggiare, si lascia andare un po' al sentimento. Questo lo si può notare nella passionalità di alcune presentazioni, scritte dal cantante stesso per i vinili qui ristampati, dove fa più spesso capolino il ricordo che la fonte bibliografica. Per questo, oltre che per l'assenza di stucchevoli introduzioni alla ristampa, va consigliata quest'edizione nuova di zecca, anche se va detto, purtroppo, che spesso la qualità d'audio lascia un po' a desiderare.
Entrando concretamente nel cofanetto, il cd di apertura è dedicato al sommo poeta napoletano, l'erudito, storico e bibbliotecario Salvatore Di Giacomo. Nel libretto vi sono brevi cenni biografici oltre ad una piccola foto, quindi non mi dilungherò qui in informazioni che potrete reperire con grande facilità. Voglio piuttosto spezzare una lancia a favore di Murolo che, in questo cofanetto, per ogni monografia, ha spesso preferito darci le chicche piuttosto che stare a ricantare o reincidere i successi dell'autore in questione, che spesso poi figurano nella già citata "Napoletana".
Comunque il cd su Di Giacomo si apre con Marechiaro, primo successo del poeta, qui riprodotta dall'antologia su citata. I brani inediti, che in tutti i cd si alternano e praticamente dominano i brani già conosciuti, in questo si aprono con una strabiliante versione di "Carulì cu st'uocchie nire nire", brano dove Di Giacomo, per conquistare una donna, invece di usare quel tono romantico da serenata che lo contraddistingue in un'immagine ristretta ormai diventata luogo comune, usa espressioni popolaresche e pittoresche, che invece dominano nella sua poesia non appena se ne faccia una lettura un po' più approfondita.
Si torna poi indietro di qualche anno, per conoscere una vera chicca, la tarantella "Mena mé", che prende ufficialmente ritmo solo nella parte pittoresca d'ogni strofa, perché in verità è un brano con una doppia anima, anche se poi il pittoresco finisce quasi per annullare questa doppiezza.
Si continua poi con "Napulitanata", uno dei più bei brani di Di Giacomo, questa volta votato ad un romanticismo pieno e mediterraneo. Si parte, per fare la serenata ad una donna, dalla descrizione estasiata dei suoi occhi, per poi dire che questi occhi sono lo specchio di tutto il suo corpo e della sua anima.
Da notare è anche "Tiritì tiritommolà", altro esempio geniale di "serenata piccantina", di cui, credo, esistono pochissime incisioni.
Rara è anche "Dimane chi sa", dove si riflette sulla caducità dei nostri amori, ai quali non ci si può affidare.
Il secondo cd è invece dedicato ad Ernesto Murolo, padre del cantante, poeta dalle "dolci cadenze". Anche qui troviamo brani che, sicuramente meno rari, rappresentano comunque delle chicche, poiché non si erano mai sentiti nell'interpretazione del figlio.
E' questo il caso di "Te si scurdata 'e Napule", brano su una forastiera che lascia Napoli cedendo alle lusinghe dei parenti ed alla nostalgia, senza però avvertire con il dovuto rispetto il geloso e possessivo amante napoletano. E' un brano che spesso si identifica con cantanti dalla voce tenorile, o comunque con timbriche meno confidenziali del Murolo, ma anche nella sua interpretazione ha un grande fascino.
E' bellissima "Tarantella internazionale", anche questa inedita nell'interpretazione di Murolo, dove Ernestino ed Ernestone (il poeta Murolo e il musicista Tagliaferri), si prendono gioco, ma costatano anche con un grande orgoglio, il successo internazionale della tarantella napoletana.
Il disco contiene, tra le altre, una versione di "Quanno ammore vò filà" che, essendo stata incisa in 78 giri ed essendo stata riprodotta nel 33 originale da questo supporto, purtroppo è anche la canzone con la peggior qualità audio di tutto il cofanetto. E' però innegabilmente un documento importante per conoscere l'effettiva evoluzione dello stile chitarristico e canoro di Roberto Murolo, che in questo cofanetto, si vede piano piano diventare padrone di un modo profondamente tradizionale ma interiorizzato di dialogare con se stesso, che poi è ciò che si fa ogni volta che ognuno di noi suona da solo.
Il terzo disco è dedicato a Libero bovio, soprannominato dai suoi contemporanei "'O chiattone", il grassone. Anche di Bovio se ne ha spesso un'immagine ristretta, dato che i brani più conosciuti del suo repertorio sono "sceneggiate", canzoni "guappe", o comunque brani improntati ad una grossa drammaticità. Murolo, di questo tipo di repertorio, ci offre numerosi esempi, tra cui "Guapparia", "Sona chitarra", "Silenzio cantatore", "Tu ca nun chiagne", ecc. Ma nel repertorio di Bovio vi erano anche canzoni umoristiche o ispirate alla macchietta. E' questo il caso di "Tatonno" (o Totonno) "se ne va", canzone umoristica ispirata ad un Don Giovanni che lascia le sue numerose spasimanti in attesa del suo ritorno dal militare.
L'ultimo volume, invece, è dedicato al repertorio in lingua napoletana del poliedrico E. A. Mario. Credo, innanzitutto, che si debba dire che, nel caso di questo personaggio, uno dei pochissimi artisti italiani a scrivere musica e versi delle proprie canzoni e tra i primi a potersi considerare cantautore perché qualche volta si è pure divertito ad eseguirle, basare un'antologia solo sul repertorio vernacolare è riduttivo. Infatti, va ricordato, che sono sue alcune delle canzoni che più hanno fatto sognare gli italiani negli anni Venti, da "Balocchi e profumi" a "Vipera". Nel libretto Murolo, molto correttamente cita anche il repertorio italiano di E. A. Mario, ma sarebbe ora che qualche interprete classico napoletano, si decidesse a pubblicare una monografia sull'autore, dove i due mondi non siano in lotta tra loro, ma convivano e si integrino. Da questo punto di vista mi va, scusate la divagazione, di ricordare la televisione satellitare "Teleacheri", che ora è tornata una semplice televisione locale campana, la quale, all'interno del programma "Napoli d'autore", riuscì a fare questo miracolo.
Tornando al cd di Murolo, è forse, insieme con quello su di Giacomo, quello con la maggior quantità di canzoni ignote o quasi. Sono particolarmente "sfiziose" "'E tre studiente", brano scritto da Ernesto Murolo per il testo e da E. A. Mario per la musica, e Napule signorsì, che, per il suo essere un brano umoristico-militaresco, potrebbe ricordare la già citata "Tatonno se ne va".
Avrete notato che io non voglio mai, o quasi mai, fare delle recensioni esaurienti da un punto di vista giornalistico, di quelle in grado di condizionare i gusti di coloro che poi decideranno di ascoltare i prodotti che recensisco. Mi piace molto di più, ve lo posso assicurare, "pizzicare" la curiosità della gente, raccontandole un po' di aneddoti, condendoli magari con un pochino di esperienza personale che non guasta mai.
Spero di avervi incuriosito con questo viaggio dentro il cofanetto "Roberto Murolo canta i grandi della canzone napoletana", buon ascolto e, magari, buone cantate a squarciagola!

mercoledì 8 aprile 2009

Intervista a Silvio Trotta

Carissimi lettori, introducendo il post con l'intervista a Daniele Girasoli avevo detto che mai e poi mai avrei potuto riportarvi interviste così come sono avvenute. Il tempo passa, le cose cambiano, ed ecco a voi un'intervista a Silvio Trotta, musicista molisano, eccellente suonatore di strumenti a plettro e leader dei musicanti del piccolo borgo.
D: Qual era la musica che circolava in famiglia quando eri bambino?
R: La mia famiglia non era una famiglia musicale: non c'era una particolare attenzione per l'acquisto di dischi o cassette, né si cercavano programmi televisivi o radiofonici che trasmettessero specifici generi musicali. La musica era semplicemente ciò che passava la radio che mio padre, facendo il sarto e lavorando in casa, teneva sempre accesa.
D: Quando hai iniziato a condizionare musicalmente la vita della tua famiglia?
R: Tutto è iniziato verso i quattordici o quindici anni, quando ho cominciato a suonare qualche strumento, la chitarra in particolare.
Non ho mai fatto studi classici, ho sempre suonato la chitarra acustica e d'accompagnamento oltre all'elettrica. Fino a vent'anni circa suonavo pop, rock e anche qualcosa di leggero italiano. Facevo cover dei Led zepelin, Deep Purple e altri gruppi simili, all'interno dell'oratorio dei Salesiani, dove si era allestito un gruppetto, nel quale io suonavo o la chitarra elettrica o il basso.
Tutto ciò è durato fino a quando dei miei compagni di classe del liceo ebbero la folgorazione dopo l'ascolto della "Tammurriata nera" interpretata dalla Nuova Compagnia di Canto popolare. I ragazzi rimangono sconvolti dall'ascolto (non erano musicisti e non glie ne importava nulla), tanto da parlarne sempre in classe ed essere andati a Roma per vedere il gruppo napoletano. I due, intanto, si divertono a suonare insieme chitarra e flauto, in modo completamente dilettantistico, mentre io, a mio modo, ero affermato e già facevo dei concerti, anche se di tutt'altro genere. Venne un giorno, però, che non potei più trattenere la mia curiosità, quindi ebbi l'occasione di ascoltare anch'io la Nuova Compagnia, rimanendone a mia volta folgorato, soprattutto dalle voci di Giovanni Mauriello e Peppe Barra, specialmente dalla loro "sanguignità". Siamo nel 1975. Proposi ai miei compagni di fare qualcosa di serio e, tornato a Roma al negozio dove avevo preso la chitarra elettrica circa l'anno prima, riportandola indietro presi un mandolino. Da qui iniziò l'avventura dei Musicanti del Piccolo Borgo.
D: Chi erano questi due compagni di liceo?
R: Stefano Tartaglia, (fiatista del gruppo, n.d.a.) e Franco Giusti, che è stato il nostro chitarrista fino a due anni fa.
D: Quando nasce invece il Silvio Trotta ricercatore?
R: All'inizio, come facevano tutti i gruppi alle prime armi, anche noi, per il primo anno o anno e mezzo di vita, facevamo solo cover della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Mettemmo su velocemente un repertorio di quindici-venti pezzi, con tutti i loro brani più famosi. Entrò subito la cantante Marica Spiezia, che era più grande di noi. Era solo una nostra amica napoletana, che quindi ci facilitò il compito di rifare i brani della NCCP. Poi, grazie a Stefano Tartaglia, che si era iscritto a Etnomusicologia all'Università, ci chiedemmo: dato che il repertorio raccolto da De Simone viene tutto da ricerche archivistiche confrontate con fonti orali, perché non iniziamo a nostra volta a ricercare canti "sul campo" (Dai suonatori anziani n.d.a)?
Le ricerche le iniziammo noi tre nell'estate dell'anno successivo, partendo da Capracotta, mio paese d'origine, in Molise. Ora noi abbiamo un archivio di circa trentasei cassette, incise in sei anni di ricerca.
D: Però nel lavoro dei Musicanti non si è mai rinnegata la cover.
R: Se si guarda la nostra discografia in ordine cronologico, si vede che, nella prima incisione, una cassetta autoprodotta intitolata "Musicanti del piccolo borgo" ci sono solo brani nostri, ricercati e rielaborati da noi in maniera molto tradizionale e semplice, d'altronde eravamo agli albori. Anche il secondo lavoro, uscito solo su cassetta ed intitolato "Canti e ritmi dell'appennino", conteneva solo brani rielaborati da noi, mentre poi abbiamo pensato di pubblicare "Pacenza nenna mia", omaggio alla Nuova Compagnia di Canto popolare, per ringraziarla della scintilla che aveva fatto scoppiare in noi. L'album contiene brani come "Sia maledetta l'acqua", "Si te credisse" e altri. Non abbiamo fatto questo album come chi vuole fare delle cose per la prima volta, ma solo come omaggio, la cosa ci è piaciuta molto, ma, ad un certo punto, ogni musicista deve fare le proprie cose.
Per quanto riguarda il nostro archivio, l'anno scorso è stato digitalizzato, permettendoci di non toccare più quei fragili nastri incisi negli anni Settanta.
Per giugno è' prevista l'uscita del nuovo cd dei "Musicanti", che conterrà molti brani molisani, tra cui due canzoni in dialetto albanese raccolte da Cirese.
Il cd si chiamerà "Ecchite maio", ecco maggio, e nel titolo si ispira ad un rito che ha luogo a Fossalto, nella Pagliara di Fossalto, in Molise, dove un uomo vestito completamente di arbusti, viene accompagnato nel suo peregrinare per il paese dalle zampogne, ed innaffiato d'acqua affinché il nuovo raccolto sia buono.
D: Con che spirito rielaborate i brani?
R: Noi, quasi sempre, abbiamo trovato solo la persona anziana che ci ha cantato la melodia e ci ha dato un testo. Tutto il resto è nostra creazione.
Intanto individuiamo un'armonia, che rispetti i canoni della musica popolare, infatti noi, molto difficilmente, usiamo accordi che abbiano spudoratamente a che fare con altri generi musicali. Ci permettiamo, invece, di godere di una maggiore libertà per quanto riguarda gli strumenti usati. Noi, infatti, abbiamo uno strumentario che, a grosse linee, rispecchia tutta la tradizione del centro-sud Italia, ma l'abbiamo voluto gestire in maniera molto libera, facendoci magari portare più dalle sonorità e dai nostri gusti, piuttosto che da uno studio attento del folklore di ogni zona. Comunque, i nostri interventi, sono stati sempre portati verso una riconoscibilità del testo e della melodia, perché ne abbiamo massimo rispetto. La cosa che più ci fa piacere, quando torniamo a suonare in paesi dove abbiamo ricercato brani, è ritrovare gli anziani che ce li hanno insegnati, che a fine concerto ci vengono a dire che hanno riconosciuto i brani che loro ci avevano dato. Non ci è mai piaciuto contaminare tanto per farlo, oltretutto questa parola racchiude in sé qualcosa di negativo.
D: Come nascono le collaborazioni con Riccardo Marasco e altri musicisti tosco-emiliani?
R: Io, circa vent'anni fa, mi sono trasferito ad Arezzo, dove ho incontrato Riccardo Marasco, migliore e più grande interprete di musica popolare toscana.
D: Come vi siete conosciuti?
R: Ci siamo conosciuti tramite un giornalista di Firenze, che conosceva i Musicanti del Piccolo Borgo, il quale ci ha detto di pensare ad una collaborazione.
Marasco fu subito molto aperto e inizialmente collaborò con tutto il gruppo (ribattezzandolo spesso "I musici di Acanto" n.d.a). Con il tempo, poi, io sono diventato l'arrangiatore dei suoi brani, ho cominciato a seguirlo da solo, anche per questioni pratiche. Questa collaborazione, naturalmente, è sfociata in due dischi di Riccardo Marasco: "Pace e non più guerra", dedicato alle laudi, e "Un bacione a Firenze", dedicato al grande autore, cantante ed attore fiorentino Odoardo Spadaro. Anche con i "Viulan" (gruppo di ricerca e riproposta emiliano, di cui fa parte anche Lele Chiodi che spesso canta con Francesco Guccini n.d.a), è stato un incontro fortuito. Stavo incidendo il cd dei Musicanti del Piccolo Borgo "Stella cometa" nello studio di Giorgio Albiani. In quei dieci giorni lui, che già faceva parte dei "Viulan" da cinque o sei anni, si è accorto che io suonavo tutti questi strumenti, proponendomi di entrare nel gruppo. Mi fece ascoltare il cd che avevano fatto e a me piacque da morire ed accettai. Poi venne il disco live, numerosissimi concerti dappertutto, l'imminente disco nuovo...
Ho anche progetti più piccoli che mi fanno un po' respirare, perché muovere un gruppo di sei persone come Musicanti del Piccolo Borgo, oggi come oggi è molto difficile.
Faccio parte del trio tresca, con il quale eseguo musica da ballo del centro Italia, ed i nostri concerti sono fondamentalmente feste da ballo, il duo con Jessica Lombardi, che mi ha permesso anche di aprire alcuni concerti di Davide Vandesfross. Ultimamente mi sono messo a collaborare anche con i Setamoneta, gruppo di folk toscano, per il quale sto ultimando gli arrangiamenti del disco.
L'anno scorso ho fatto un'esperienza molto interessante con Claudia Bombardella, musicista che lavora in Val d'Arno, che ha una formazione in quartetto, con fisarmonica e clarinetti suonati da lei, violino, violoncello e contrabbasso. Avevo paura perché tutti quei musicisti provenivano dalla musica classica, mentre, devo dire di essermi trovato benissimo e di essere stato molto apprezzato.
D: Come hai studiato gli strumenti popolari?
R: Nella maniera più tradizionale: guardando gli altri. Per i plettri guardavo nel revival gente come Eugenio Bennato o la Nuova Compagnia, mentre per quanto riguarda i tamburelli, i pifferi e le zampogne, ho imparato dai suonatori tradizionali. La cosa non riguarda solo me, tutti noi dei "Musicanti" abbiamo sviluppato la nostra cultura e tecnica imparando dagli altri, senza particolari approcci di studio.
D: Però siete molto rigorosi nell'intonazione degli strumenti.
R: Sì, su questo Stefano Tartaglia è micidiale, lui, praticamente, passa la vita con il piffero e la zampogna che sono strumenti che fanno dannare!.
Nel nostro nuovo disco avremo delle collaborazioni, tra cui Nando Citarella alle percussioni, avremo l'aiuto del nostro ex percussionista Andrea Piccioni, e Giancarlo Parisi, straordinario suonatore di zampogna a paru messinese.
Per scoprire un po' Silvio Trotta e i suoi "Musicanti", vi consiglio di andare su http://www.musicantidelpiccoloborgo.it/ oppure su www.myspace.com/musicantidelpiccoloborgo, da cui ci sono i link ai profili degli altri progetti di cui si parla in questa intervista.
Buon ascolto e buon divertimento.

martedì 7 aprile 2009

Parlando degli Aramirè

Carissimi lettori, oggi voglio tornare a parlare di musica popolare salentina, facendo un omaggio al gruppo che io ritengo il principale "colpevole" del viscerale amore che ho per questa musica: gli Aramirè.
Tengo a precisare che non saranno tutte lodi, anzi manderò loro un bel po' di "Mazzate pesanti", che però sono sicura non arriveranno al bersaglio perché sono sferrate con amore.
Il mio primo contatto con la musica salentina fu nel 1998 quando, ad una Festa dell'"Unità", come supporter degli Inti-Illimani, noto gruppo cileno di cui presto si dovrà riparlare in questo blog, si esibì il gruppo degli Xanti Yaca.
Sinceramente non riesco a ricordarmi niente di quella scoperta, se non la rabbia causatami dal dover ascoltare un qualcosa che non sapevo di dover ascoltare.
Io, però, sono una persona che, spesso e volentieri, torna, magari casualmente, su quasi tutte le strade che il destino le fa piano piano percorrere. Una cosa simile si verificò quando mi arrivarono delle cassette da Taranto, e qualche anno dopo il doppio cd del Circolo Gianni Bosio "vent'anni e più di...", dove appunto scoprii gli Aramirè. Il cd ora non è più in mio possesso, ma non me ne dolgo da un punto di vista freddamente musicale. Emotivamente, naturalmente, questa è una grossa ferita, perché, appunto, da lì è nato questo grandissimo amore per tutto quello che è musica popolare del sud acustica e con strumenti tipici.
Per la scoperta effettiva degli Aramirè, però, dovetti aspettare due anni, ossia l'incontro con un musicista leccese residente a Perugia. Mi ricordo benissimo che una delle prime volte che ci incontrammo gli parlai di questo gruppo.
L'incontro successivo segnò la folgorazione tramite il cd "Sud est", che tutt'ora considero uno dei migliori lavori di musica popolare salentina (quella che io chiamo "popolare" è la musica tradizionale riproposta da professionisti o i brani d'autore che si rifanno a tutti o molti aspetti, incluso lo strumentario, di questa stessa musica).
Non mi ricordo quanto tempo passò prima di avere anche il primo cd degli Aramirè, che mi fu riportato sempre da questo amico mio direttamente da Lecce, ma posso dire di aver provato una felicità profondissima nell'averlo.
I rapporti con gli Aramirè si iniziarono a guastare quando mi fu masterizzato "Mazzate pesanti". Condividevo la teoria, e ancora la condivido, ma iniziavo a sentire che per esprimere questa teoria i cantanti si erano scordati di essere soprattutto artisti e non politicanti all'arringa. Il cd, tra i tre del gruppo, è difatti quello che amo di meno, che ho sentito di meno, e che forse mi ha formato di meno. Ho amato molto "Scusati signori", che mi dilettavo ad interpretare durante i nostri concerti di musica popolare salentina, "La tabaccara", per la sua insuperabile lentezza, ma in generale è un disco fiacco.
Ancora più fiacco mi risultò il concerto che andai a sentire in Puglia, alla "Sagra della municeddhra" di Cannole (Le) il 12 agosto 2005. Lì il gruppo non aveva messo in pratica nessuno dei "precetti" che Roberto Raheli, storico leader del gruppo, tuonava sia dal forum di http://www.pizzicata.it/ che sul blog degli Aramirè dove praticamente scriveva solo lui, all'indirizzo aramire.splinder.com.
Descrivendo ora quello che mi ricordo del concerto in questione dirò che i tamburelli erano scordinati, le voci senza pathos, ma soprattutto mi sconvolse, e me lo ricordo ancora, il fatto che il fisarmonicista suonasse solo con la mano sinistra. Mi arrabbiai alquanto anche perché, ad un anno dall'uscita di "Mazzate pesanti", il gruppo fece solamente un brano che io non conoscevo: "La carmina", che poi, tra l'altro, non ho neanche ritrovato da nessuna parte e mi dispiace moltissimo.
Questo, però, è ancora niente. Mi sono "stizzata" a morte con gli Aramirè quando hanno deciso di andarsene. Non mi sono arrabbiata per il fatto che se ne andassero, ma per il modo in cui l'hanno fatto, la loro rabbia, protervia e mancanza di effettiva voglia di lottare.
E' facile fare le cose quando non le fa nessuno, poiché, anche se si viene sbeffeggiati, in fondo non si ha un'effettiva concorrenza e non si deve difendere molto la propria linea di pensiero.
Gli Aramirè, naturalmente avevano tutto il diritto di andarsene dopo il concerto alla Carnegie Hall di New York, a cui Raheli nei siti citati sopra ha dedicato un bel po' di scritti anche carini, ma sarebbe stato meglio che questo evento ce l'avesse mostrato come saluto a tutti noi che avevamo amato il suo progetto e il suo stile. Insomma, quello che mi ha fatto infuriare è stato l'aver saputo dell'addio del gruppo da un post sul loro blog, oltre all'aver visto che, insieme al gruppo, finiva ogni traccia anche delle Edizioni Aramirè.
Questo sinceramente non lo trovo giusto, poiché chi sta su un territorio dove un determinato genere di musica è vivo ed effettivamente suonato, ha il dovere di continuarlo a difendere.
Avrei gradito molto, ad esempio, vedere le Edizioni Aramirè diventare un rifugio per tutta quella buona riproposta salentina che oggi mi pare che abbia troppo poco spazio nei cataloghi delle case discografiche specifiche, mi sarebbe anche piaciuto che continuassero a pubblicare gioielli tradizionali come "Bonasera a quista casa" o altri che ancora non possiedo.
Credo che, quando si può, bisogna dare più opportunità possibili alla gente su un determinato repertorio, lasciando poi, naturalmente alla gente il diritto di sfruttarlo come vuole.
Io, ad esempio, stando ad ottocento chilometri dal Salento non potrei mai lavorare con questa tradizione, ma sinceramente, se potessi, io mi intestardirei per difenderla per come la amo, ma gradirei, pur non condividendoli tutti, interventi sul materiale da me eventualmente pubblicato.
Credo poi, e così concludo, che ci dovrebbe essere un codice etico, tramite il quale si obbligano i cantanti a tenere certi comportamenti nei confronti del loro pubblico: io posso esserti grata se sei un buon artista, ma vorrei anche essere da te ricambiata!


g

domenica 5 aprile 2009

Commento ad una discussione di pizzicata.it

Carissimi lettori, voglio questa sera commentare per voi una discussione, che certamente avrà sviluppo e forse vi entrerò anch'io, in atto nel forum del già citato sito http://www.pizzicata.it/.
La discussione riguarda la tammurriata, questo genere di musica tradizionale campana che, nonostante l'uso "classico" in numerose canzoni come la "Tammurriata nera", non si può dire che sia molto conosciuto nella sua variante rurale.
E' una discussione di una serenità meravigliosa, non si ha ancora voglia di polemiche infuocate e rabbiose, la parte più grande della discussione è infatti costituita da un bello, semplice e documentatissimo articolo scritto da Luca, un utente del forum che sta direttamente in quel mondo, sia per la sua competenza come suonatore di tamburo, sia perché nella sua famiglia vi sono ancora dei cantatori tradizionali.
Io avrei voluto semplicemente raccontare una mia esperienza, che conferma quanto affermato da Luca nell'articolo, sulla poca necessità o importanza data al numero degli spettatori ed esecutori in una tammurriata. Infatti, dice l'articolo, la cosa importante è l'empatia che si crea tra cantatore, suonatore e spettatori.
Mi è capitato di assistere ad una tammurriata improvvisata subito dopo il concerto degli Alla Bua a Perugia il 25 agosto 2007. I suonatori erano due: il geniale Valerio Saini, napoletano verace ed insieme suonatore e cantatore, e l'umbro Gianluca, buon percussionista, sicuramente senza la tempra di un vero suonatore rituale. Infatti, mentre Valerio continuava imperterrito a suonare e a battere su quella tammorra, tanto ha fatto che l'ha pure spaccata, Gianluca suonava semplicemente ed ogni pretesto era buono per fermarsi. Dimenticavo di dire che nel cerchio c'erano dei "ballatori", due o tre persone ognuna con il rispettivo paio di castagnette, oltre ad una cinquantina di persone estasiate. E' proprio vero quello che si afferma nella discussione, che la tammurriata non deve essere presa solo come un semplice canto religioso, cattolico o cristiano, perché il senso di devozione che trasuda è profondo e va al di là di qualsiasi contesto.
Scusatemi, pubblico sul mio blog questo post, ma spero di farlo leggere quanto prima ai visitatori di http://www.pizzicata.it/.

Alla scoperta della "battente"

Carissimi lettori,questa volta voglio portarvi alla scoperta di uno dei più interessanti e sonori strumenti della tradizione del centro-sud Italia: la chitarra battente. Questa scoperta o riscoperta, ve la faccio fare pubblicando un'intervista fatta, tramite e-mail, ad uno dei più grandi esperti in materia, il cilentano Alfonso Toscano, curatore dell'unico sito monografico sullo strumento, il bellissimo http://www.alfonsotoscano.it/. Buona lettura.
Domanda:
Mi descriva, innanzitutto, la chitarra battente nelle sue caratteristiche principali, enunciando anche le maggiori differenze tra le varianti regionali.
Risposta:
Pur essendo la chitarra battente uno strumento non codificato esso presenta dei caratteri che lo contraddistinguono: le corde tutte uguali, la spezzatura del piano armonico, il ponticello mobile, l’assenza di tastiera e la presenza di 9-10 tasti, ma questi caratteri non sono rigidi, difatti in diverse aree (Gargano e Calabria) è diffusa e radicata la pratica di adattare a battente vecchie chitarre acustiche (o classiche), sostituendone le corde ed eliminandone alcune. Questi strumenti ibridi vengono poi usati esclusivamente per un repertorio “a battente”. Possono essere quindi considerate chitarre battenti a tutti gli effetti ma questo porta anche ad una considerazione: la caratteristica principale della battente è di avere un repertorio proprio, imprescindibile e irripetibile senza questo strumento.
Gli anziani chiamano questo strumento semplicemente “la chitarra” e indicano invece la chitarra classica con il termine di “chitarra francese”.
L’espediente di trasformare una chitarra “francese” in “battente” è adottato a causa della scarsa mobilità e disponibilità economica dei suonatori anziani, che non avendo alternative nel procurarsi uno strumento allorché gli venga a mancare, ed essendo altissimi i costi dello stesso rispetto alle possibilità economiche di un anziano del sud, ricorrono a questo semplice espediente pur di continuare a cantare le loro tradizioni.
Anche per questo motivo, quando decisi anni fa di dare il via al mio progetto di rivalorizzazione e ridiffusione della chitarra battente nel centro-sud, ritenni essenziale includere fra le iniziative utili, oltre la realizzazione di incontri, conferenze, laboratori, stage ed eventi, anche e soprattutto la realizzazione di chitarre battenti a costo “politico”, appunto per favorire la riattivazione di anziani suonatori nonché favorire l’approccio dei giovani, che altrimenti non potrebbero permettersi di entrare in possesso di uno strumento.
Altre iniziative importanti incluse nel mio progetto e realizzate sono: la realizzazione di seminari sull’argomento nelle scuole di ogni ordine e grado e, non ultima, la guida all’autocostruzione della chitarra battente per chi volesse costruirsela da solo. Tengo a precisare che anche quest’ultima iniziativa è stata realizzata nel solco della tradizione essendo questo fenomeno diffuso e radicato in tutto il territorio nazionale.
La chitarra battente presenta senza dubbio differenze fra le varie aree del centro-sud, differenze mantenute anche a causa dello scarso sviluppo di questi territori. Per quanto riguarda il Lazio per ora sono sulle tracce di alcuni strumenti rilevati nella zona di Viterbo. Nelle Marche, Abruzzi e Molise il modello appare simile (ma non uguale) a quello in uso nel Gargano. Nel Gargano la battente presenta due modelli ben distinti: uno con il corpo molto affusolato e con spalle e cassa di medesima ampiezza e vita poco accentuata, a fondo bombato, l’altro invece con la pancia più pronunciata delle spalle, fondo piatto, vita molto stretta ma soprattutto la presenza di tre buche sul piano armonico, di cui una centrale e due di dimensioni ridotte e posizionate prossime alle spalle. Il primo modello presenta da 5 o 6 corde singole fino a 14 (3+3+3+3+2) in cori multipli e spesso tripli, il secondo presenta da 10 corde (2+2+2+2+2) a cori doppi fino a 12 a cori doppi e tripli (2+3+2+3+2). In alcuni casi sono presenti alcune corde non accordate all’unisono.
Nel Salento (patria della Pizzica) lo strumento, fino ad alcuni anni fa, era assolutamente inusato e sconosciuto.
In Basilicata sono sulle tracce di alcuni esemplari. Nel Cilento è diffuso un modello con pancia più pronunciata delle spalle, che monta 4 corde, con accordatura LA RE SI MI, a fondo sia piatto che bombato. Tale modello si diffonde fino al nord della Calabria dove però, spesso, troviamo aggiunto uno scordino, ossia una corda che termina al 7° tasto, e che quindi, non venendo tastata, svolge la funzione di bordone. (la corda esegue sempre lo stesso suono).
In altre zone della Calabria è diffusa la battente a 5 corde doppie e fondo bombato, questo a causa della presenza nel territorio di una famiglia di liutai che, operando da diversi secoli, ha portato ad una standardizzazione e alla diffusione generalizzata di questo modello, che oggi viene a mio giudizio erroneamente indicato come “la chitarra battente”, e ciò anche a causa dell’adozione di questo modello da alcuni musicisti assurti alla notorietà. Questo modello, prediletto dai “musicisti” (rispetto ai “suonatori”), permette a questi ultimi di essere utilizzato sia per la cosiddetta “musica popolare” che, forse più appropriatamente, per la “musica barocca”.
In Sicilia non sembra esistere un modello autoctono ed in Sardegna non ne abbiamo traccia.
Una notizia in anteprima: grazie ad un musicista e ricercatore del luogo siamo sulle tracce di un modello “bresciano” che sembra fosse, fino al dopoguerra, radicato e diffuso in alcune valli bresciane, e la presenza di questo modello è suffragata anche dalla presenza di un repertorio documentato.
Domanda:
Quando è nata la chitarra battente e quali sono gli effettivi rapporti tra la battente attuale e la chitarra barocca.
Risposta:
Io sono solo un suonatore, testimone del mio tempo, quello che so è frutto di pratica ed esperienza quotidiana, o di ricordi, non sono né organologo né un musicista e quindi non so dirti nulla sulle origini dello strumento e sui rapporti con la chitarra barocca. Lascio a studiosi ed accademici lo studio dei documenti limitandomi a illustrare e trasmettere la cronaca del mio tempo.
Con il termine “suonatore” si suole indicare l’esecutore di tradizione che ha acquisito tecnica e repertorio attraverso l’ascolto degli anziani, ossia per trasmissione orale, al contrario del termine “musicista”, con il quale si suole indicare un esecutore che abbia seguito un corso di studi, istituzionali o meno, e che esegua musiche codificate e trasmesse per trasmissione scritta.
Chi volesse approfondire l’argomento battente/barocca può farlo leggendo le pagine del forum dove è stato ampiamente trattato l’argomento, non senza polemiche, da parte di musicisti di fama e di esperti di indubbia autorità. Questo è l’indirizzo del topic in oggetto: http://www.alfonsotoscano.it/forum/Subject.asp?S_ID=444&H_ID=36&seekword=barocca&pageid=2&show=1
Domanda:
Parlando ora del suo suono, tenti di descriverlo e di spiegare l'uso che se ne fa tradizionalmente, anche qui evidenziando, eventualmente, differenze tra le varie zone di utilizzo.
Risposta:
il suono è assolutamente particolare, l’abilità del suonatore è nel produrre una grande quantità di armonici mediante una tecnica che prevede la percussione repentina delle corde, così che il complesso di armonici sostenga e avvolga la voce del suonatore creando un canto armonico unico e suggestivo.
Pur fra una miriade di diversità, variazioni e stili differenti, in tutte le aree dove essa è in uso la battente viene usata immancabilmente per accompagnare il canto, sia esso d’amore, di sdegno o di lontananza.
Un “suonatore” di chitarra battente non può dirsi “completo” se non canta. Si noti che nella musica di tradizione orale il cantore deve necessariamente accompagnarsi da solo, non può essere accompagnato da altri in quanto gli attacchi e i tempi del canto sono estremamente personalizzati, in funzione dell’abilità espressiva del cantore e delle esigenze del momento, insomma il canto è influenzato da una infinità di variabili irripetibili, che spesso mutano ad ogni esecuzione, rendendo appunto impossibile l’accompagnamento musicale se non effettuato personalmente.
Domanda:
Provi a spiegare cosa è cambiato nel modo di suonare lo strumento negli ultimi anni, dagli anni 70 ad oggi, ossia da quando la musica popolare è suonata anche da musicisti professionisti o comunque con formazioni non più propriamente tradizionali. Risposta:
E' cambiato sia lo strumento che la sua funzione. Al contrario dei suonatori tradizionali, i musicisti ne hanno sperimentato, spesso con eccellenti risultati, le vaste possibilità espressive e interpretative. In questo sono stati incoraggiati anche dalle modifiche apportate allo strumento originale dai liutai, come per esempio l’aggiunta dell’undicesimo e dodicesimo tasto, che non sono presenti nei modelli tradizionali.
Al di là dei cambiamenti ed evoluzioni dello strumento ritengo opportuno sottolineare l’importanza di trasmettere ai giovani la tradizione nel modo più rigoroso possibile in quanto essa è parte di un patrimonio da salvaguardare ed è espressione della propria identità culturale, al pari dei Bronzi di Riace o della poesia del Carducci.
Salvaguardata e trasmessa la tradizione nulla vieta ai giovani musicisti di cimentarsi nella composizione, contaminazione o sperimentazione di nuovi impieghi dello strumento, ma invitando sempre la gente a distinguere fra innovazione e tradizione, in modo da perpetrarne l’opera di trasmissione. Alfonso Toscano

sabato 4 aprile 2009

navigando a suon di pizzica

Carissimi lettori, avrete capito che una delle mie più grandi passioni, se non la più grande, è la musica tradizionale salentina. Vorrei parlarvene, ma questa volta consigliandovi un po' di siti Internet da vedere, più che altro alcuni gruppi da dover ascoltare.
Iniziamo subito con http://www.pizzicata.it/, senza dubbio il miglior portale dedicato alla musica di tradizione, soprattutto salentina ma non solo, specie se l'utente vuole essere informato su tutto ciò che in quel mondo succede. Il sito è curato da Carlo Trono, già curatore del sito http://www.aramire.it/, dedicato specificatamente al gruppo degli Aramirè, uno dei più esperti in materia di pizzica e musica popolare.
Continuando posso e devo consigliarvi il sito http://www.vincenzosantoro.it/, dove l'addetto alla cultura dell'ANCI, il salentino Vincenzo Santoro, sfoga tutta la sua passione e mostra la sua cultura riguardante la musica di tradizione, prevalentemente salentina, ma non solo. Nel sito vi sono recensioni, interviste ed approfondimenti.
L'ultimo sito di approfondimento che vi consiglio è quello di Brizio Montinaro, un attore salentino che vive a Roma, il quale si trovò negli anni '70, ad incidere una raccolta di canti popolari, pubblicata in tre dischi, intitolati "Musiche e canti popolari del Salento". Il sito è http://www.briziomontinaro.it/, e tra le altre cose vi si reperiscono alcuni estratti audio, soprattutto del terzo volume della collana, pubblicato direttamente in cd dalle Edizioni Aramirè, a cui va anche il merito di aver ristampato i due vinili della casa discografica Albatros con i primi due volumi.
Iniziamo a parlare ufficialmente di siti propriamente musicali, dove cioè si può venire a contatto con gruppi noti o meno noti che si dedicano a questa bellissima ed antichissima musica.
Voglio consigliarvi intanto il sito, dentro myspace, del gruppo Mara ci ne sente, con sede a Bologna, che reinterpreta in maniera fedele, forse anche troppo, la tradizione salentina. Ve lo consiglio perché lì dentro suona uno dei migliori organettisti di pizzica che mi sia mai stato dato di sentire, il grande Antonio Corsano. Il sito è www.myspace.com/maracinesente
L'organettista Antonio Corsano, di cui abbiamo appena parlato, è stato allievo di Donatello Pisanello, storico organettista degli Officina Zoè, quindi il prossimo gruppo di cui voglio consigliarvi un sito è appunto l'Officina Zoè. Per protesta nei loro confronti, mi fa male dirlo perché li adoro, non consiglierò il loro sito ufficiale, che a noi non vedenti è completamente inaccessibile, ma il loro myspace all'indirizzo www.myspace.com/officinazoe
Veniamo ad un gruppo sicuramente meno noto e più tradizionale, gli Agorà, gruppo nato a Specchia, paesino della punta estrema del Salento. Il gruppo è molto orgoglioso della propria scelta di interpretare solo brani tradizionali, tanto è vero che nella sua denominazione c'è un esplicito "Gruppo di canti antichi". Il loro sito è http://www.agoracantiantichi.net/
Con la stessa filosofia, con repertorio allargato a tutta la Puglia, o meglio alle province di Foggia, Lecce e Brindisi, si presentano i Malicanti, gruppo che, orgogliosamente, ma forse irrealisticamente, impara dagli anziani e li imita. Il loro sito è http://www.malicanti.it/, e vi si può ascoltare una strabiliante versione della pizzica di San Vito dei Normanni.
A proposito di gruppi brindisini voglio consigliarvi un duo, chitarra e mandolino, che non ha un repertorio lmitato al tradizionale italiano, ma lo fa molto bene. Il gruppo si chiama Barbieria, ed è reperibile su myspace, all'indirizzo www.myspace.com/maurosemeraro
Tornando alla zona leccese ma restando sempre in tema di duetti strumentali, per concludere questa lista voglio darvi il sito, sempre dentro myspace, del duo Doi te mazze, di cui in questo stesso blog si è già parlato. L'indirizzo è www.myspace.com/doitemazze
Buona navigata e buon ascolto!