lunedì 1 luglio 2013

Un paio di riflessioni

Carissimi lettori, è da molto tempo che non scrivo su questo blog, d'altronde "Pizzica e dintorni" mi ruba molte energie, c'è molta differenza, anche a livello inconscio, tra scrivere in un sito di cui si cura solo il contenuto e la grafica e scrivere invece su un portale in cui si ha la responsabilità della riuscita di ogni singolo particolare. Ciò non toglie che in certe occasioni mi viene voglia, come ora, di tornarmi a sfogare su questo diario in cui da ormai più di quattro anni distillo in maniera disordinata ed anarchica ma emotiva e profonda mia riflessioni a tutto campo prevalentemente sulla musica che amo ma non solo. Ho scritto spesso di musica salentina, anche di ciò che secondo me non va nell'attuale riproposta e più in generale nel rapporto che i musicisti salentini hanno con il repertorio da loro reinterpretato. Mi va di riflettere su un fatto a cui pochi forse hanno fatto caso: sempre in nome di quel famoso "estremismo" (non saprei come definirlo altrimenti) secondo cui o si fa una cosa od un'altra anche laddove queste possono e dovrebbero convivere, ora nel Salento si è passati da una ripetizione ossessiva dei dieci brani immortalati da Melpignano (il 24 agosto staremo a vedere se cambierà qualcosa) ad un'ingiusto oblio della tradizione. Anche i gruppi degli anni Novanta, che sembravano immuni da questa tendenza, si sono ormai conformati e, orgogliosamente, dicono di essersi "staccati dal folk" (per dirla con Lamberto Probo dei miei bene amati Zoè, che poi alla fine sono quelli che hanno meno problemi ad interpretare brani della tradizione anche molto rari). Non voglio entrare nel merito, ricordo solo la mia opinione: reinterpretare la tradizione in maniera costante fa avere i piedi ben saldi a terra e non fa diventare delle "macchine da composizione", perché componendo molto si finisce, anche involontariamente, per essere schiavi di schemi che opprimono e reprimono l'originalità, che è ciò che più si cerca quando si compone. Spero che non si pensi che la tradizione si salva mantenendola in archivi, la tradizione si tramanda reinterpretandone i brani, non solo creando pur lodevoli archivi sonori (quello pugliese è l'antesignano e vado orgogliosa di questa iniziativa). Questi luoghi finiscono per essere (giustamente, si badi bene) luoghi di riunione per veri cultori del tema, non possono arrivare al grande o al medio pubblico. Non si può lasciare morire una tradizione (e se non la si rinnova in repertorio la si ammazza, ma anche se non se ne suonano i brani antichi la si mutila). Dieci anni fa, giustamente, Roberto Raheli tuonava contro la staticità del repertorio salentino in "Mazzate pesanti" mentre qualche anno dopo, in seguito alla creazione dell'Archivio sonoro di Puglia diceva "Missione compiuta". Chissà cosa direbbe ora, che la tradizione la si suona solo in maniera limitatissima (come prima) ma in più quasi con vergogna se non in pochissimi casi. Badate bene che queste sono mie opinioni e sensazioni, che si riassumono nel fatto che si sta più attenti a non far chiamare la pizzica-pizzica taranta che a conservare tutta la tradizione salentina, dai canti narrativi ai ballabili ai canti funebri ecc. Anche certi gruppi tendono a rivendicare più le collaborazioni con artisti d'altro genere che il contatto con le radici del loro stile. Sembra poi che la semplicità esecutiva sia vissuta come un handicap anche laddove non porta alla cattiva esecuzione dei brani (peccato, la semplicità è forse la principale virtù di questa musica e la principale ragione del suo successo). Insomma, brevemente, si ricorda che si deve rispettare la tradizione, poi chi suona lo fa a corrente alternata.

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