mercoledì 8 agosto 2012

Alla Bua live 2012

Carissimi lettori, in attesa spasmodica di recensire il concerto che gli Inti-Illimani hanno tenuto per i loro quarantacinque anni di carriera, recensisco il nuovo cd degli Alla Bua. Il cd, dal vivo, ha come curiosità principale, quella di riprendere molti brani della tradizione salentina già incisi dal gruppo con formazioni completamente diverse dall'attuale. Sin dall'inizio i fan di vecchia data (tra cui mi conto nonostante tutto) sono sconvolti (e forse anche un po' spiazzati) dal sentire la chitarra di Marti che esegue la mitica introduzione che nel cd da studio ("Alla Bua" del 2002) era appannaggio di Pierpaolo Sicuro (indimenticato flautista degli Alla Bua!). Sin da subito si ha il piacere di costatare la grande maturità a cui è giunta la voce di Irene Toma, seppure è facile sentirla un po' troppo moderna per questa musica (ma sono particolari molto relativi). Quello che sconvolge è la bravura musicale degli Alla Bua,che non si limitano a sterili giri di pizzica tarantata, ma inventano senza sconti per i ballerini o per i musicisti da strapazzo. Basta sentire la lunga chiusa del violino di Michele Calojuri, virtuoso che da un anno circa ha riportato il violino tra gli strumenti utilizzati dal gruppo leccese. La seconda traccia del cd è un brano che io personalmente connoto molto con il repertorio di Otello Profazio, grande cantastorie calabrese che, però, ha sempre dimostrato una grandissima affinità con la cultura salentina. La versione degli Alla Bua è forse un po' troppo ironica, ma non le si può negare di tradurre in maniera fortemente personale il raccoglimento che il contadino in fondo si impone per piangere la morte del suo vero sostegno. Il terzo brano è un classico della tradizione salentina, la pizzica (perché questa è la versione che ne eseugono gli Alla Bua) "Quant'ave". Rispetto alla versione precedente (incias dal gruppo in "Limamo", fondamentale e insuperato cd del 2004) c'è la parte delle minacce proferite dall'uomo alla donna che lo tradisce. Meravigliosa la parte strumentale che va in su di un tono (da sol a la), per acquistare un impeto che pochi gruppi salentini possono vantare. Anche qu i si sente il grido di venditore ambul ante che aveva dato a Gigi Toma (leader e memoria storica del gruppo) ilmotto per il titolo del cd "Limamo". Il brano è una tempesta come tutti i concerti degli Alla Bua. E si continua andandoancora più a ritroso nel repertorio del gruppo, rirpendendo "Lu scarparu", che dal vivo diventa sempre una tarantelluccia coinvolgente (anche se purtroppo, forse per la formazione non tradizionale di Marti) diventa spesso pretesto per fughe troppo rock (e questo è un peccataccio!). Qua ndo è la fisarmonica a fare da traino si respirano sicuramente atmosfere più folk, in qualche senso anche vicine al liscio, genere con cui è molto naturale contaminare la musica meridionale, perché questa è la vera musica nazionale italiana (i valzer, le polke e le mazzurche e non solo questi balli si suonavano indistintamente dal nord a sud!). La tarantella è coinvolgente e festosa. anche grazie alle continue grida di Fiore (carismatico e ormai storico tamburellista del gruppo). L'unico momento deludente di questo cd è la prima parte di questo pezzo, perché per eseguire "Lu rusciu de lu mare" in versione mediterranea civogliono voci adatte (e gli Alla non le hanno, sono il più grande gruppo sulle pizziche e tarantelle, ma sul resto...). Bello è sentire il pubblico cantare, e ancora migliore è che il gruppo si sia redento dall'idea, avuta l'anno scorso, di eseguire il brano completamente mediterraneo. La parte a pizzica, cantata da Irene Toma come prima lo fu da "Mavi" Antonazzo, è sicuramente infinitamente più riuscita. Vorticosi e leggerissimi gli assoli della fisarmonica di FrancescoColuccia, che è letteralmente impazzita! Curiosissimo (e positivissimo) l'arricchimento armonico che porta all'aggiunta di un sibemolle ed un la minroe al tipico giro di tonica e sottotonica che ha reso celebre questa versione e tutte quelle che vi si ispirano. Gli Alla Bua continuano questo concerto con un caratteristico e buon arrangiamento de "La cesarina", che era già nella track list di uno degli ultimi album del gruppo. La "battuta" canora è affidata a Dario Marti, che pur cantandosenza i pur fondamentali melismi mediterranei, riesce a rendere in maniera molto bella la tristezza dello sfogo del carcerato. Anche gli strumenti melodici, violino e fisarmonica, pur svisando nell'inconfondibile stile Alla Bua, hanno pudore di farsi sentire. Si continua con "'Acaddhrina", brano che gli Alla Bua riprendono dal repertorio di Cesare Monte, esponente di spicco del cosiddetto "folk leccese", genere che consiste nell'applicare gli stilemi del "nuovo liscio" (quello da Casadei in poi) alla musica popolare salentina, una tragedia totale si intende! Il pubblico è invitato a cantare i finali di strofa (e a Strudà l'anno scorso cantavo anche io nonostante la mia proverbiale afonia di quella settimana). E come per associazione il gruppo riprende questa molto meno nota "Azzite mamma" (che il gruppo chiama "Lu capone"). La melodia è quella spesso nota come "T'amai" e le strofe sono quelle che fanno parte, in mezzo a tante altre di tematica varia, della "Ninella de Calimera" cantata dagli Ucci a Luigi Chiriatti per "Bona sera a quista casa". Continuando si arriva forse al brano più forte di tutto il cd (non è il più bello, per quello bisogna arrivare alla fine, almeno per me!). Si riprende, modificandola e rendendola forse meno particolare dal punto di vista testuale, "Santu Paulu", pizzica alla Luigi Stifani incisa su "Stella lucente". Sin dall'inizio si impazzisce per andare dietro ai virtuosismi sia di Coluccia (fisarmonicista) che di Calojuri (violinista). Mai si sente il giro alla Stifani, solo la melodia ricorda il musicista neretino, gli interventi strumentali sono tutti in puro stile Alla Bua, molto veloci e lunghi. Mai si arriva alla ripetizione spasmodica di note particolari, prediligendo sequenze veloci, che permettono di mantenere una grande leggerezza, anche se il veleno della pizzica ti viene fortemente iniettato (e secondo me la pizzica deve contemporaneamente mettere e togliere il veleno dall'anima, è una mia convinzione bislacca su cui però quasi probabilmente nessuno mi farà retrocedere!). Molto bello il salto da la a do, che porta a quei dialoghi serrati così tipici dello stile Alla Bua (quando erano a tre anche col flauto di Sicuro toccavo il cielo con un dito!). Il brano, per il forte attaccamento alla tradizione, secondo la quale il cambiamento di tonalità affievolisce l'effetto curativo, il gruppo torna in la per un giro sfianca ballerini e imitatori da strapazzo! E forse prima mi ero sbagliata,definendo l'inizio de "Lu rusciu" come il momento più deludente del disco. Non avevo fatto i conti con "Kalinitta", momento per me di grandissima delusione ad ogni concerto di musica salentina. Eccezione? Gli Zoè! Gli Alla Bua, che affidano il brano a Dario Marti per la sua condizione di gricofono, ne fanno una versione completamente festosa, mentre basta leggere una qualsiasi traduzione per rendersi conto che il brano è tristissimo perché il protagonista dimostra la propria delusione nei confronti dell'indifferenza della donna amata al proprio amore. Musicalmente è bella ma è completamente decontestualizzata (e non mi venite a dire che tanto su un palco non si rispetta la tradizione quindi è tutto lecito, le emozioni sono sempre emozioni e vanno trasmesse per quello che sono. Il pubblico non va solo accontentato, ogni tanto va anche educato, cosa che i gruppi salentini si scordano di fare!). Fortunatamente l'ultima traccia è la più bella e toccante, è un "Santu Lazzaru", tipico canto di Questua di tradizione prevalentemente grica, seppure è cantato in dialetto romanzo. Gli Alla Bua in questo caso vengono presi in acustico, dànno davvero un esempio di attaccamento alla verità contestuale molto grande (questi momenti non perdonano a nessuno i propri momenti di onestà mancante!). La melodia può essere considerata una variante di quella raccolta da Alan Lomax negli anni Cinquanta, quindi è diversa da quella degli Ucci (questa è in minore, quella dei cutrofianesi è in maggiore). Nel complesso è un bellissimo cd, lo consiglio a tutti ma soprattutto ai suonatori da strapazzo per darsi una bella calmatina!

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